I tempi (e i costi) dell’arte

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Il pittore e incisore David Giovannini spiega…

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Per cercare di capire cosa c’è “dietro” un dipinto mi avvalgo della collaborazione del pittore e incisore David Giovannini. Nei pittori la materia prima incide circa il 10% sul prezzo dell’opera, meno rispetto alle creazioni degli scultori e degli artigiani. L’artigiano ha bisogno di ammortizzare un certo capitale: macchinari, legno, ecc. e spesso lavora su committenza. Lo scultore ha delle spese non indifferenti: creta, plastilina e in ultimo la fusione in bronzo o in altre leghe. I formati standard delle tele vanno dal 18-24 al 70-100, il telaio di solito è di abete stagionato; molti artisti le montano da soli, secondo le esigenze dell’opera che stanno realizzando. Le tele di lino sono più costose e preferite per dipinti figurativi raffinati, si trovano più economiche in misto cotone e anche di puro cotone o di juta. Quando l’artista è in grado di fare l’imprimitura (preparazione a base di gesso, colla, ecc.) può usare la tavola. I pennelli di martora usati per finiture accurate sono i più pregiati e costosi, poi ci sono quelli di pura setola e sintetici, il prezzo varia secondo le dimensioni, la loro durata dipende dall’uso. I colori a olio da 60 ml costano mediamente 7 euro a tubetto, tutti i colori sono a base di terre mescolate con olio di lino, le tempere hanno la stessa base ma sono composte con un collante, gli acrilici hanno come legante l’acrilico (un composto moderno più resistente dell’olio) sono solubili in acqua, più pratici e resistenti alla luce e al tempo. I colori di alcune marche non sono brillanti. Per le incisioni Giovannini usa la carta calcografica Fabriano a base di cotone, appositamente studiata. Dal ‘300 all’800 i pittori lavoravano su committenza con una certa sicurezza degli introiti, invece oggi lavorano per sé e la produzione è molto superiore alle vendite: un dipinto può giacere completato nello studio per un tempo indefinito. Nella committenza, all’ordinazione l’artista riceve l’acconto di un terzo, due terzi a metà lavoro e il resto alla fine; spesso il committente contesta il lavoro come accadeva frequentemente durante il Rinascimento. L’artista doveva sottostare al volere del committente e alle direttive ricevute, non aveva la libertà di ricercare ed esprimersi come oggi, seguendo i gusti della moda. Giovannini sostiene: “Il tempo non è retribuito da nessuno, spesso il pittore lascia il dipinto in lavorazione senza terminarlo, anche per mancanza d’ispirazione, problematiche tecniche o ripensamenti. Le spese da tenere in considerazione, se l’artista se lo può permettere, sono quelle pubblicitarie su periodici, riviste e mass media, necessarie per farsi conoscere. Per una pagina su un mensile specializzato ci vogliono circa tremila euro. Poi allestimenti e inaugurazioni di mostre, partecipazione a concorsi, stampa di cataloghi, ecc.”. L’opera realizzata dall’artista dopo vari studi deve avere un periodo di “collaudo visivo”, superandolo resiste nel tempo ed è idonea a essere esposta. In caso contrario l’artista serio può portare a termine l’opera dopo una settimana, un mese o sei anni come facevano Carrà o De Chirico. Picasso diceva che il quadro non è mai finito, per cui l’artista può continuare a intervenire sull’opera fino a che la sua soddisfazione sia appagata. L’opera non può essere collaudata appena finita, ma solo dopo un certo periodo, trascorso il quale anche lo stesso autore osserva l’opera mettendola a fuoco in modo diverso: si sorprende positivamente o in senso negativo. È questo è il dramma dell’artista! Il vero artista è quello che crea, molti oggi vendono direttamente le loro opere, sono manager di se stessi, Giovannini ritiene siano meglio due figure separate.

Eno Santecchia

 

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