La storia di Macerata a piccole dosi, XXIII puntata

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Liberamente tratta da

“Storia di Macerata”,

origini e vicende politiche

di Adversi, Cecchi, Paci

 

Continue paure

tra pericolo turco e banditismo

 

Si rinforzano le mura

Nel 1562 in città, visti i pericoli corsi in precedenza, si pensò bene di restaurare le mura per cui si chiesero finanziamenti alla Santa Sede. Furono concessi al comune tre quarti dei proventi giudiziari e Macerata fu esentata dal pagamento della tassa per il porto di Ancona, a patto che la somma fosse destinata al restauro delle mura. Fu una saggia decisione perché nel maggio del 1566 passarono nel territorio 4mila fanti e 200 cavalieri svizzeri che si recavano nel Regno di Napoli in difesa contro i turchi, che si erano riversati anche lungo la costa adriatica.

 

Si rinnova il pericolo turco

Per questo motivo il Governatore ordinò ai “cavalieri lauretani” di portarsi a Loreto in difesa della Santa Casa, posto di combattimento che mai raggiunsero. A Macerata vennero 4mila soldati al comando di Paolo Giordano Orsini. Poi, nel 1570, Pio V allestì nel porto di Ancona una piccola flotta di dodici galere e chiese rematori al circondario. Macerata ne fornì 37, tra gli altri Recanati fu tassata per 108 ed Ascoli per 124. La vittoria di Lepanto allontanò finalmente la minaccia turca ma la Marca ebbe l’onere del mantenimento dei prigionieri. Questi passarono per Macerata, diretti a Fermo, nel 1575.

 

I maceratesi in guerra

Anche se la guerra contro i turchi da noi non assunse toni popolari furono diversi i maceratesi che vi parteciparono, magari per spirito d’avventura: Ciccotto Cinelli (prigioniero e schiavo al Cairo), Ippolito Aurispa (con Carlo V ad Algeri, poi in Ungheria); Nicolò Ciminella (prigioniero a Gerba), Cecchino Costa (fu all’assedio di Malta), Mario Compagnoni (assedio di Famagosta), Camillo Ferri (morì durante l’assedio di Famagosta), Amico Amici (catturato a Famagosta, poi liberato combatté in Ungheria), Emilio Francia, Pierconte Gabuzi (prigioniero a Cipro), Francesco Barrocci (catturato, per la sua liberazione la famiglia vendette beni), Ludovico Pellicani, Giulio Ferri, Giansimone Guidoni (fu a Lepanto), Giulio Angelucci, Aurelio Alaolini, Lorenzo Narducci (agli ordini di Venezia), Giuliano Bonacquisti, Fabio Ridolfi, Annibale e Achille Calderini (partirono con truppe da loro stessi stipendiate), Ercole Pellicani (prigioniero dei turchi), Giacomo Caldarelli (fu a Corfù). Ci fu chi dalle guerre trasse guadagni, come Fulvio Nardi che facendo compravendita di cavalli ne ebbe 5000 scudi, ma in generale la città per carestia, peste e per la perdita di tanti giovani venne frenata nel suo sviluppo.

 

Il banditismo

Ad aggravare questa situazione giunse il fenomeno del banditismo, causato sia dallo sbandamento degli eserciti di passaggio che dall’esilio di molti nobili dal loro comune (esiliare eguale a bandire dalla città). Da Macerata, a esempio, erano stati “banditi” il nobile Nicola Ciminella, fra’ Egidio di Gabriele Jozzi, i nobili Pirro Virgini e Gianfrancesco Gabuzi, il balivo della Curia Marco Petrosilli, don Giacomo Floriani, i nobili Bartolotto jr. e Ciccotto Mozzi. Dal 1555 al 1583 furono ben 27 i “banditi” maceratesi. Contro questo fenomeno, dannoso e destabilizzante, nel 1559 il Governatore Lauri proibì le riunioni clandestine e, soprattutto, concesse la impunità a chi avesse ucciso banditi.

 

Le carceri

L’aumento della delinquenza costrinse il Governatore Odescalchi a costruire nuove carceri e il 17 marzo del 1564 si prese in affitto, da Andrea Pellicani, una casa “a pié’ di piazza per sistemarvi il bargello della Marca”. In quel periodo anche il Comune aveva le sue carceri in una bottega sottostante il Palazzo Apostolico e quando il Pretore, nel 1565, chiese nuove carceri e una sala da tortura il Comune restaurò i vecchi locali. Questi risultarono così malsani che nel 1568 vi morirono “de cattivo aere” tre prigionieri, suscitando le lamentele del nobile maceratese Anton Maria Amici.

 

Le azioni dei banditi

L’attività dei banditi era intensa e investì tutto il territorio dello Stato Pontificio, compresa la Marca, tanto che nel 1564 costoro giunsero ad assalire Recanati e Loreto. A testimonianza dei danni arrecati è menzionato che durante il periodo della mietitura venivano assunte delle guardie per controllare i raccolti.

 

Iniziative di contrasto

Numerose furono le iniziative per contrastarli. Il 25 ottobre 1564 Marck Sittich von Honenems fu nominato Legato della Marca con il compito specifico di combattere il banditismo e il suo Vicelegato, Vincenzo Portico, emanò bandi per evitare l’infiltrazione dei banditi nelle città, poi indisse una leva di 200 fanti e con questi ispezionava tutta la provincia. Arruolò anche, a spese dei Comuni, 100 armati a cavallo. Il Governatore Alessandro Pallantieri (costui aveva, ironia della sorte, suoi congiunti fuoriusciti!) fece una leva di 440 uomini per combattere i banditi, organizzò archibugieri a cavallo e ordinò di distribuire armi ai soldati. Si emanò anche un bando con cui si concedeva l’immunità a quei banditi che fossero passati al servizio delle galere (imbarcazioni) papali. Grazie a queste azioni si ebbe un periodo di pace relativa, almeno fino al 1578 quando iniziarono nel camerinese le scorrerie di Marcello, Tibalduccio e Mariannaccio che, però, furono rapidamente catturati.

 

Giustizia definitiva

Intanto tutti gli armati pervenuti in città (soldati corsi e casacche rosse) per contrastare gli assalti alle diligenze, ai corrieri e anche ai privati cittadini, arrecavano grandi disagi in special modo alle campagne. Il 29 settembre costoro catturarono Morgante Manardi e il fratello, Capitan Cecco, con altri otto banditi che furono “scannati, coppati e squartati” sulla piazza di Macerata.

continua

 

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