I fucilati di Cercivento

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La storia fornisce molti esempi di avvenimenti non spiegabili razionalmente. C’è spesso la reticenza di molti, paurosi di dire che il re è nudo: il politicamente corretto è il credo dei pusillanimi, che antepongono la tranquillità privata alla Verità degli eventi. La guerra del 15/18 fu non solo inutile (l’Austria aveva aperto la trattativa) ma anche una spaventosa carneficina con una infinita serie di errori e di orrori: non solo per l’assalto alla baionetta in montagna, la fame, la vita in trincea, i gas asfissianti ecc.; ma pure per gli arbitrii nella giustizia militare. Vigeva il Codice Penale militare del 1859 che prevedeva:

1 – Tribunali militari di guerra, con qualche diritto per gli imputati; 2 – Tribunali straordinari, per le decisioni sbrigative, quasi tribunali sommari; 3 – Esecuzioni senza processo (si sarebbe dovuto redigere verbali?!?); 4 – Esecuzioni sommarie, quasi sempre senza verbali.

Cadorna il 24.5.1915 emanò la circolare 1: “Il Comando Supremo vuole che…, regni sovrana in tutto l’esercito una ferrea disciplina… si prevenga con oculatezza e si reprima con inflessibile vigore”. Poi esplicitata con circolare 3525/1915: “… il superiore ha il sacro diritto e dovere di passare immediatamente per le armi i recalcitranti e i vigliacchi. Per chiunque riuscisse a sfuggire a questa salutare giustizia sommaria, subentrerà inesorabile quella dei tribunali militari”. Segue il telegramma 01/11/1916: “…ricordo che non vi è altro mezzo idoneo a reprimere reato collettivo che quello dell’immediata fucilazione dei maggiori responsabili e allorché… non è possibile …estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e punirli con la morte. Le esecuzioni sommarie spesso servivano a coprire inettitudine professionale, tattica e strategica di comandanti incapaci. Gli ufficiali esonerati per incapacità nei primi anni di guerra furono 807, tra i quali 217 generali e 225 colonnelli. Diaz: “molte volte chi sostituisce non vale di più di chi è esonerato”. Alcuni esoneri avvennero su richiesta di coloro che non condividevano le sanguinarie disposizioni. Era anche aperta la caccia:  “Si  concedono  Lire 60  per la cattura di ogni disertore”  (diciottenni o anziani fiaccati nel fisico e nello spirito) da consegnare alla “giustizia”. I militari denunciati furono oltre 600.000; tra essi anche mio nonno. Dal suo “ruolo matricolare” risulta che era emigrato a Buenos Aires dal 1911 e fu accusato di diserzione per non aver risposto immediatamente alla mobilitazione del 22 maggio 1915 (moltissimi ebbero la stessa sorte, per costringerli a imprese impossibili). Il documento tace sul reparto cui fu assegnato e sui luoghi in cui era in prima linea, però nel 1920 lo autorizzano a fregiarsi di medaglia d’argento. Ma è datato 1 maggio 1925 “Il non luogo a procedersi” per diserzione! I soli tribunali militari processarono almeno 262.500 soldati:170.000 colpevoli, 15.345 ergastoli, 4028 condanne a morte (750 eseguite). I dati ufficiali sono approssimati per molto difetto. Quanti furono i morti per processi sommari, in applicazione delle circolari e per fuoco amico (si fa per dire)? Nelle retrovie era spiegata la polizia militare che sopprimeva chi retrocedeva e che nelle trincee, durante gli assalti,“consigliava” rapidità di azione: i poveri fanti cadevano per il piombo austriaco e italiano. Di episodi infami ce ne furono molti, su di essi è calato uno spesso velo di vile silenzio. I grandi storici e i libri scolastici ne sono all’oscuro.

 

La “decimazione di Cercivento”

Grazie alla memoria di molti, alla trentennale costanza di Mario Flora (pronipote di Ortis), alle pubblicazioni di quotidiani veneti e di alcuni nazionali, la storia vera comincia a squarciare le tenebre . Nelle alte vallate della Carnia era ed è commemorata, con religiosa pietà, la decimazione di Cercivento. Padre Antonio Bellina, “Pre Belìne”, della Chiesa carnica, raccoglieva testimonianze. “Costanzute” (Costanzina) di Treppo Carnico, parlava di un anziano mezzo matto che venne lì in vacanza nel 1928 e mormorava di aver condannato i quattro, e se ne vergognava. La giornalista Mariarosa Calderoni pubblica: “La fucilazione dell’alpino Ortis”. Gian Paolo Leschiutta, ricercatore universitario, trova casualmente a Parigi, in un mercatino delle pulci, un faldone con gli atti del processo (i pochi atti dei numerosi processi militari erano gelosamente custoditi!!!) e pubblica il libro: “Sameavin animes dal purgatori (trad. Sembravano anime dal purgatorio) -La decimazione di Cercivento – Un episodio dell’altra guerra: quella combattuta dalle gerarchie militari italiane contro i soldati italiani”. Toni Capuozzo presenta un documentato servizio televisivo. Vale a dire: se si volesse cercare, la documentazione esisterebbe.

 

Storia ufficiale e no

Dai faldoni di Parigi si ricava una sola certezza: il capitano Ciofi di Napoli, comandante della compagnia 109 dell’8° reggimento alpini, brigata Julia, appoggiato dal tenente Pasinetti di Venezia, il 23 giugno 1916, ordina l’attacco frontale del monte Cellon (2238 mt. nei pressi del passo di Monte Croce Carnico), gli alpini si sarebbero rifiutati. I montanari Carnici della 109 a quota 2000, conoscono bene quel monte, non rifiutano l’Ordine impartito da ufficiali da pianura, cercano solo di farli desistere da un assalto suicida. Sicuramente avranno spiegato lo stato dei fatti. Gli austriaci, superiori per uomini, mezzi e posizione, hanno fortificato la vetta a quota 2200 con trincee, gallerie e con ben protetti nidi di efficienti mitragliatrici. La parete del Cellon è irta, liscia e brulla, non offre copertura e la salita è impegnativa anche con armi leggere.

Il Cellon, parete orientale
Il Cellon, parete orientale

Nel precedente mese di marzo un analogo attacco ha prodotto centinaia di morti (500/700?), molti schiacciati dai massi lanciati dall’alto. Si dichiarano pronti a salire per il canalone laterale, con il favore della nebbia notturna, con più forze e con l’appoggio dell’artiglieria. Consigli saggi ma inutili e pleonastici. I poveri diavoli devono solo tacere e farsi uccidere… pena la morte. Vengono sorteggiati 80 processandi per “rivolta in presenza del nemico”; ma il 23 giugno, alcuni di essi non erano nella baracca in cui sarebbe scoppiata la rivolta e il caporal maggiore Ortis non era in forza alla compagnia 109! La notte del 30 giugno1916 inizia il processo nella Chiesa del paese, dalla quale il parroco, furtivamente, asporta il “Santissimo”.  L’1 luglio 1916 ore 2:30 c’è la lettura della Sentenza: oltre i 29 condannati a vari anni di galera, 4 fucilati perché ritenuti i capi della rivolta (individuati con il sorteggio!): caporal maggiore Silvio Gaetano Ortis di Paluzza 25 anni, due medaglie al valore:

medaglie

nel 1912 guerra Italo-Turca e nel 1915 guerra per l’unità – caporale Basilio Matiz di Timau, 22 anni – soldato Giovan Battista Corradazzi di Forni di Sopra 27 anni – soldato Angelo Massaro di Maniago 28 anni. Gli alpini della 109 rifiutano di attivare il plotone di esecuzione. I condannati a morte sono condotti dietro il cimitero, il parroco scongiura, inutilmente: “Fucilate me al posto di questi ragazzi!”; le donne piangono e implorano invano.  Alle 4:30 arrivano  i regi carabinieri: “Caricate, mirate, fuoco”. Tre alpini stramazzano a terra, il quarto, solo gravemente ferito, sorretto e legato a un albero con il filo del telefono, dovrà subire altre 2 esecuzioni. Segue l’ordine di funerali con i soli stretti familiari e senza suono di campane. Il parroco saluta quei ragazzi con solenni lenti rintocchi. Il 7 luglio1916 il capitano Ciofi viene rinvenuto morto a Busa dell’Orco, località irraggiungibile da fuoco nemico; il giorno successivo cade anche il tenente Pasinetti. Il Cellon sarà poi conquistato con la strategia suggerita dagli alpini fucilati. Nel 1919, la madre di Silvio Ortis fa richiesta di pensione di guerra, vende il campo per pagare l’avvocato che non può fare niente: nulla è dovuto a chi muore con disonore. Nel 1990, marzo, Mario Flora invia alla Corte militare documentata istanza di riabilitazione per Silvio Gaetano Ortis. Roma risponde: “Istanza inammissibile, manca la firma dell’interessato”: prima la resurrezione! Nel 1996 inaugurazione del cippo commemorativo senza ANPI, associazioni di combattenti, reduci e d’arma.  L’Associazione nazionale alpini, sez. di Tolmezzo, “diffidò” chi aveva presenziato alla cerimonia “inaudita” e complice di quanti “strumentalizzano episodi non certo gloriosi per denigrare le forze armate” (sic!). Risposta: “Il cappello è mio e lo porto dove voglio”. Esistono ancora uomini dalla schiena non piegata dal politicamente corretto. Anno 2010, Ignazio La Russa, Ministro della Difesa, riprova. I giudici militari lo cicchettano: “Le testimonianze non sono verbalizzate dall’autorità giudiziaria”. Il 21 maggio 2015 la Camera approva la legge per la riabilitazione dei caduti dimenticati (331 favorevoli e un astenuto). Il testo passa al Senato. E lì giace. Lor signori hanno cose più importanti cui pensare… “in tutt’altre faccende affaccendato a questa roba è morto e sotterrato”, per dirla come il Giusti. Per tutto il resto ci sono, come sempre, molte corti marziali nelle trincee della vita. Quei poveri italiani aspettano da 100 anni, possono aspettare ancora. Speriamo, dopo altri 100 anni, di non dover cercare nel mercatino delle pulci di Parigi. Andate a Cercivento, non c’è un mausoleo marmoreo, non c’è un museo retorico con aerei sul soffitto, foto di generaloni grondanti medaglie, elmetti forati, cannoni, fucili, baionette e bombe a mano. Troverete solo un piccolo cippo e una lapide in ricordo di quattro ragazzi ingiustamente fucilati. La loro morte salvò la vita a tutta la compagnia 109. Onorateli! pur se la stolta burocrazia che li fucilò si ostina, da 100 anni, a definirli morti con disonore.

13 settembre 2016 

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