Hai fatto il tuo dovere!

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Estate del 1971. Sottotenente veterinario di fresca nomina ero stato assegnato al battaglione Alpini Gemona, già ai campi estivi nei pressi di Sella Nevea sul monte Canin. Poco lontano una compagnia di “alpini d’arresto” verificano le strutture difensive del confine nord-est. La giornata è calma e serena, solo il plotone rocciatori e il medico sono all’addestramento su roccia. Intorno alle 14 l’accampamento si anima; vengo richiesto nella tenda infermeria. Quando arrivo, un alpino d’arresto giace sul materassino e avverte dolore sul labbro superiore, tumefatto, cianotico e con evidenti due tagli di circa 1,5 mm alla distanza di 1,5 cm tra loro. Lui segue con distaccato interesse la discussione: è una vipera, non è una vipera. Dormiva al sole, non l’ha vista e sembra che la cosa non lo riguardi. Alla discussione partecipa anche un capitano dal quale spero di ottenere il “nulla osta” ad attivarmi, in assenza del medico militare e di altri medici prontamente reperibili. “Guardi, capitano, quei due taglietti sono evidenti e caratteristici: in Carnia è presente la vipera del corno, il rettile italiano più pericoloso per l’uomo.” – “No, è un insetto che ha punto due volte.” – “La puntura degli insetti lascia lesioni più modeste e puntiformi… se è una vipera e non si interviene il rischio è la morte. Se fosse un insetto, iniettando il siero si può solo scatenare una reazione controllabile.” – “Beh, portiamolo all’ospedale di Tolmezzo”. Compreso che non sarei mai stato spalleggiato, certo di essere in presenza di un morso di vipera e di avere poco tempo per intervenire, mi rivolgo all’alpino: “Ti fidi di me?” – “Sì, fai quello che credi opportuno”.  

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Considerato rischioso e tardivo eliminare il veleno, chiedo una fiala di siero e lo inietto in muscolo all’alpino che avverte più forti i conati di vomito. Ragiono: “Il veleno ha raggiunto il cervello. Proviamo il tutto per tutto”. Mi rivolgo all’infermiere: “Subito un’altra fiala… stringi il braccio”. La vena viene centrata al primo colpo. “Subito una campagnola! …infermiere: analettici, cortisone e vieni con noi”. La campagnola si avvia con l’alpino adagiato, moralmente sorretto dal suo sergente. Le condizioni del ragazzo peggiorano e con ansia comunica: “Oddio, non riesco più a respirare” (il veleno degli afidi provoca anche la paralisi dei muscoli intercostali, rendendo più difficoltoso il respiro). Avevo già percepito il polso filiforme e un notevole calo del sensorio oltre ad altri sintomi classici. Il sergente legge sulla mia faccia una prognosi rapidamente infausta. Dominando l’angoscia, continuo la terapia e penso:“Sta morendo!… Gli fanno l’autopsia… trovano un embolo e finisco in galera… ma anche senza l’embolo finisco in galera… sono veterinario non posso operare sugli uomini… chi mi ha autorizzato a prendere la Campagnola e a disporre dell’infermiere?,… che avrei dovuto fare in questa situazione?… i giudici guardano la legge e la legge mi condanna”… e se avessi sbagliato intervento? Dopo qualche chilometro la cute perlacea comincia a divenire un po’ più rosea e l’alpino inizia a ridestarsi dal torpore. “Forse… ce la fa, anche se il colorito vira progressivamente al  violaceo… Forse mi daranno meno anni di galera…”. La campagnola vola, l’ospedale si avvicina. Arriviamo. Riprendo fiato: “Forse la scampo… all’ospedale l’ho consegnato vivo… ora sono cavoli del medico”. L’alpino viene introdotto nel Pronto Soccorso; sale sul lettino da visita, informo i sanitari dell’accaduto e degli interventi operati. Altro siero; ma ormai sta bene. Tanto bene che spesso le sue braccia scivolano dal lettino e sfiorano le curve dell’infermiera. “Adesso fai lo spiritoso!” – “Sì ma me l’ho vista tanto brutta e morire 15 giorni prima del congedo mi dispiaceva molto”. Salutiamo l’alpino e l’equipe che lo ha preso in consegna. Ci avviamo per tornare sul Canin. Al primo bar ci fermiamo: due whisky! Ero astemio ma non mi tenevo più in piedi. L’accampamento è in fermento: paura per l’alpino e… per le vipere. Il colonnello Alzetta leggendomi in faccia l’aspettativa di qualche gratificazione verbale, mi dice: “Hai fatto il tuo dovere!”. Il volto era serio ma non riusciva a celare la soddisfazione di avere alle sue dipendenze chi senza saperlo era alpino nell’anima. Subito rimasi esterrefatto: “Se fosse andata male, in galera ci sarei andato io!”.  Poi ho capito quello che mi voleva insegnare: ricordati che per un alpino il dovere è fare tutto quello che può, non solo quello che deve, sei degno del tuo cappello e della tua penna. Una decina di giorni dopo un capitano degli Alpini d’arresto venne a ringraziarmi per quanto avevo fatto per  il suo alpino. “Capitano, ho fatto solo il mio dovere”. Non so il nome né di dove sia quel ragazzo, ma confesso che oggi non mi dispiacerebbe incontrarlo per rivivere insieme la giornata della più grossa paura della mia vita e forse anche della sua: baciato in bocca da una vipera lasciva e curato da un veterinario alle prime armi! Ho ripensato più volte, a mente fredda, all’episodio, ai rischi corsi, all’angoscia di sbagliare, alle conseguenze legali di evento infausto. Sono certo che, nelle stesse circostanze, lo rifarei… sperando che i giudici non siano tutti vecchi legulei e parrucconi.        

 (N. G.)

08 ottobre 2016

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