Il diavolo del falò

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Nella notte del dieci dicembre di ogni anno, fino a qualche anno fa, le campagne di ogni luogo delle Marche rilucevano di falò accesi in onore della Vergine. Per meglio dire, per rischiarare il volo degli angeli che avrebbero trasportato in volo la Santa Casa. Ricordo che da bambino, vivendo in un borgo di campagna, con i compagni di giochi andavo festante di casa in casa a raccogliere fascine di legna, tronchi e paglia, per poter accendere falò sugli spiazzi agresti per celebrare la “venuta”, ovvero il passaggio degli angeli e della Madonna nel cielo notturno. Qualcuno di noi ragazzini, più ingenuo degli altri, si muniva anche di un vecchio binocolo, relitto di guerra, per poter meglio avvistare gli spostamenti. Che emozione, nell’animo di un bambino com’ero, quando il buon arciprete passava a benedire con l’acquasanta la sgangherata pira di legni facendo gesti misteriosi e solenni. Nessuno di noi parlava in quel momento, a bocca aperta stavano ad ascoltare le frasi, pronunciate forse in latino maccheronico, che il sacerdote profferiva con tanta serietà. Bei tempi, tempi di creativa gaiezza e di ingenuità. Come quando nel pomeriggio precedente, in attesa del passaggio in cielo dei santi personaggi, ci radunavamo sul piazzale della chiesa e ascoltavamo i racconti di una vecchia perpetua di spettri e di diavoli che avrebbero infestato i roghi accesi per allontanare, per fare dispetto, le persone rispettose di Dio. Tra i racconti narrati dalla vecchia, che possedevano le caratteristiche più di favole popolari che di leggende, ce ne era uno che avrebbe riguardato il bisticcio intrapreso da certo Giuanìn (Giovannino) con un diavolo chiamato Pùlet (Pollastrello). Nella notte del passaggio in cielo della Madonna, mentre Giuanìn stava assestando con cura le fascine di legno da ardere, il diavolo per gelosia si sarebbe divertito a scomporre la catasta, e avrebbe ripetutamente eseguito l’orribile verso della gallina malata (sic!) spargendo terrore nei pollai delle case dei contadini. Spazientito per gli scherzi, Giuanìn avrebbe preso un ramo della catasta e l’avrebbe conficcato nel sedere di Pùlet. Avrebbe ripetuto il gesto più volte, fino a quando il diavolo fu costretto a tornare nell’inferno emettendo forti grida di dolore. Però volle lasciare sulla terra un ricordo spiacevole: difatti, quando l’uomo tornò a casa trovò a terra tutte le sue galline morte a terra sgozzate. Questa era la favola che la domestica dell’arciprete raccontava con più frequenza e con più piacere.

11 dicembre 2016

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