San Giuliano: “leggendaria” forzatura o pura invenzione?

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Scorci del terzo secolo d.C. (attenzione alle maiuscole!). In Antiochia (nella attuale Turchia), sotto la guida del Santo Vescovo Ignazio, nella comunità cristiana si trovavano Celso, Basilissa, Marcianilla e Giuliano. Della esistenza di questa comunità si accorse anche l’imperatore Diocleziano che, immediatamente, li fece “giustiziare”. A seguito di questo la Chiesa Romana li annoverò tra i Martiri. Poi, dopo il famoso decreto costantiniano del 313 iniziarono, com’era ovvio, le “cagnare” fra (diciamo) i “cattolici” e gli “ariani”. Questi ultimi ebbero vittoria e i “cattolici” dovettero squagliare.

 

San Giuliano viene portato a Roma

Portarono, allora, a Roma le reliquie di questi personaggi. Qui fondarono una chiesa che fu cara ai Papi mentre le loro immagini venivano dipinte nelle principali chiese della capitale. Il culto verso il martire (e famiglia) si diffuse da Roma passando a Spoleto ove, sul Monteluco, il monaco Isacco fondò una grossa abbazia. Del ducato di Spoleto faceva parte, principalmente, Fermo ove la venerazione si affermò rapidamente raggiungendo anche la piccola Macerata che, a quei tempi, da quella diocesi dipendeva. Lo dimostrano ancora oggi alcune immagini tra le quali un trittico di Allegretto Nuzi. E tutto si evolse simpliciter ac de plano sine figura judicii, durante il medioevo “oscurantista”. Al soccorso dei maceratesi arrivarono gli umanisti ai quali non piaceva un santo che sicut ovis ad victimam ductus est et non aperuit os suum, un santo che non aveva storia mirabile, a parte il fatto di essere stato fondatore di “ostelli”, e quindi definito “ospitaliere”. E basta.

 

Un santo troppo… fiacco

Ci voleva un personaggio più colorito che mettesse in moto le fantasie popolari. Macerata, già dai primi anni del ‘400, era frequentata da uomini influentissimi: l’archeologo Ciriaco di Ancona, il Legato papale Cardinal Scarampi-Mezzarota, il vescovo locale Nicolò Dall’Aste già docente universitario, il neo Vicario papale di Aquileia Fortunato Pellicani, maceratese. Costoro formavano l’élite che doveva “rieducare” la gente sui gusti “illuminanti” di quella epoca. A un santo praticamente anodino bisognava sostituirne uno più “colorito”. C’erano gli esempi di Fabriano con San Venanzio e di Recanati con San Flaviano,  seguiti  entusiasticamente  dal  popolo  ignaro. Ciriaco non gradiva tipi di martiri contrari alla romanità; lo “Scarampo” aspirava a maggior indipendenza sia da Fermo che da Recanati, Nicolò optava per una devozione sostenuta da agiografie più accettabili. A coordinare il tutto intervenne, appunto, il maceratese Pellicani che aveva conosciuto in Aquileia un santo dalla biografia interessante, altro Giuliano di tradizione fiamminga, più leggendaria e animata.

 

Una “leggenda” fa trovare… l’eroe

Era, veramente, una “leggenda di San Giuliano” che, nel 1948, il gesuita Padre Baldovino Gaiffier illustrò, appunto, come leggenda di tradizione precipuamente nordica, gettando –in qualche momento- una rapida e ironica occhiata sulla discussa tradizione agiografica maceratese. Il quartetto Ciriaco, Scarampi, Dell’Aste, Pellicani aveva, invece, trovato il suo “eroe”, la cui biografia era ricca di avvenimenti: nascita nobilissima, passione per la caccia, scorrerie per chissà quali campagne facendo stragi di cervi. Le imprese del santo non potevano non colpire la fervida fantasia dei nostri. Ecco un perseguitato cervo (si trattava di un animale cornuto) prendere la parola predicendo sanguinosissimi avvenimenti. Ecco Giuliano che, occupato in uffici venatori, viene avvertito da un “amico” malignissimo di essere prossimo ad acquisire un chiarissimo paio di corna. Ecco Giuliano che corre a casa, incacchiatissimo, e scambia padre e madre –arrivati all’improvviso- per la fedifraga moglie e un poco noto drudo (Edipo cristiano, fu definito da un entusiasta porporato). Pentito (e ci si può scommettere) parte in pellegrinaggio per Santiago (del Cile?); al ritorno si sposa con una principessa (immancabile nelle favole).

 

Il braccio di San Giuliano

Poi, da buon “ospitatore” (qualifica usurpata al martire) si mette a fare il traghettatore. E quale fiume potrà mai gareggiare con il romanissimo Potenza, vicino a Macerata? Bisognava, allora, trovare anche una base concreta da contrapporre all’astratta memoria di un martire. Per esempio una reliquia. Improvvisamente (non… l’estate scorsa) il 5 gennaio 1442 uscì fuori dalle cimmerie ombre della storia un braccio. Il Dall’Aste, una ventina di giorni dopo, stilò una “Bolla” (che non lo era, ma nemmeno un atto notarile) sottoscritta dai presenti al “ritrovamento” (ma due o tre dissero di non saper scrivere, e sì che c’era una fiorentissima università! Come dicono…) suscitando un vespaio che si trascinò per quattro secoli e oltre. E ciò anche se quel vescovo scrisse una specie di circolare al suo clero esortandolo a non raccontare fole alla gente. “San Gnulià Martire non fu più festeggiato in inverno ma il parricida ebbe festeggiamenti in agosto”. Beati noi che sogniamo sempre cose “egregie”.

Libero Paci

 

Qui sotto proponiamo una carrellata dei bracci di San Giuliano sparsi per l’Italia, ci sono anche una reliquia di San Giuliano Martire e un’altra, addirittura, in vendita su ebay:

 braccio sinistro di San Giuliano XVII secolo

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braccio destro di San Giuliano e San Giacomo – Vercelli

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braccio destro di San Giuliano – XVII secolo

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ossa di San Giuliano Martire a Itri

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reliquia di San Giuliano in vendita su Ebay

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il Vescovo Marconi con la reliquia maceratese del braccio di San Giuliano

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06/05/2017

 

 

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