Macerata di ieri e di oggi: strade scoscese e ripide piagge

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Solo targhette culturali nell’Atene delle Marche: così titolava, a grandi lettere, il quotidiano milanese “Il Giorno” in data 17 dicembre 1964 in una inchiesta firmata Pier Maria Paoletti. Due lunghe colonne per descrivere anzitutto la città con “le sue strade scoscese e faticose e le sue ripide piagge”. Un ulteriore tocco era dato dalle “prospettive di portici, torri, soppalchi, ballatoi, camini, tegole, merli, bifore, trifore, finestrelle cieche e terrazze aperte a un panorama luminoso di colli e di campi ordinati”. Fin qui una descrizione che poteva ben figurare in una qualsiasi pubblicazione di pro loco o ente turistico, ma in realtà il motivo vero della presenza in zona dell’inviato speciale era sicuramente un altro.

 

L’omaggio di Enrico Mattei

Infatti, del quotidiano “Il Giorno” risultava essere comproprietario Enrico Mattei, presidente dell’ENI: e Mattei era di Matelica, come da Matelica e provincia provenivano moltissimi dipendenti di una azienda del gruppo, la SNAM, al punto che la sigla era letta anche come “Siamo nati a Matelica” o per esteso “a Macerata”. E proprio nella sala del consiglio comunale maceratese, agli inizi del ’61, Mattei aveva invitato a Milano i giovani diplomati e laureati, assicurando a tutti coloro che si fossero presentati a Metanopoli un lavoro sicuro e ben retribuito. Quindi, la venuta dell’inviato speciale in città poteva anche essere un modo per omaggiare quello che era ritenuto il proprietario del giornale e, nel contempo, un modo per far conoscere ai lombardi la città e la provincia maceratese, luoghi di provenienza di Mattei e di molti dei suoi collaboratori.

 

Non solo la descrizione della città

Nell’articolo non vi era solo una descrizione della città; non mancavano infatti i riferimenti alla situazione economica e politica, con la  nuova classe di giovani kennediani; si sottolineavano i problemi dell’occupazione e la difficoltà dei collegamenti: addirittura venivano ricordati i treni per Roma, interrotti d’inverno dalla neve e dai lupi, mentre in primavera  “milioni di lumache facevano slittare le ruote delle locomotive”. Un cenno, infine, alle numerose targhe su portoni chiusi, di associazioni sportive, dopolavoristiche, culturali, come l’Accademia dei Catenati “che continua a fare le sue brave conferenze sulla poesia delle stelle in Dante”. Il tutto, in una città “piccolo centro burocratico e studentesco, immutato nel tempo e nelle consuetudini”, come il passeggio per il Corso principale, da mezzogiorno alla una e dalle 19 alle 20, non un minuto in  più; e dopo, tutti a casa per la cena con la tv accesa.

 

La situazione provinciale

Il resoconto del giornalista si chiudeva con la descrizione della situazione provinciale, con i tentativi di trasformazione delle vecchie aziende mezzadrili, la conversione del sistema produttivo e distributivo e l’applicazione dei principi associativi nei settori del commercio, dell’artigianato e delle  piccole industrie. L’unico modo, per il giornalista, per destare la zona da un antico torpore.

 

La bella addormentata

Un torpore che, stranamente, sembra colpire anche il giornalista del Resto del Carlino Franco Vanni, che, più o meno nello stesso periodo, fa una visita in città, già definita nel titolo dell’articolo “La bella addormentata”. Per ben tre giorni gironzola per il centro alla disperata ricerca di un qualcosa d’importante da scrivere o, quantomeno, tale da giustificare la sua venuta in città. Ma alla fine, delle tre colonne e mezzo dell’articolo, più della metà le riserva all’incontro con un vecchio calzolaio delle Casette, “occhiali e barba ispida, grembiule nero tagliuzzato sul petto”, comunista lettore dell’Unità ma anche del Carlino, solo che con le pagine di quest’ultimo quotidiano incartava le scarpe riparate, mentre conservava l’Unità, perché “era molto comunista, con ingenuità, devozione e convincimento.” Dal calzolaio aveva appreso delle vecchie storie locali, come quella del conte Conti e dell’Aida allo Sferisterio e altre cose ancora, con la conclusione che per il calzolaio comunista, la città era ormai solo un sacco vuoto.

 

Nel sangue il dominio pontificio

Niente altro di importante aveva rilevato incontrando al lago di Belforte una trentina di notabili locali e ciò era giustificato, a detta di uno dei presenti, che i maceratesi avevano ancora nel sangue il dominio pontificio, per cui  “le generazioni sono venute su tranquille, oneste, silenziose, operose ma modeste,  tanto  modeste  da non aver mai chiesto nulla a Tambroni e Tupini, i deputati locali”. E su questo tono minore, dimesso direi, il giornalista si avviava alla conclusione, anche se non mancava di evidenziare, quasi di passaggio, che nel giro di tre giorni erano state immatricolate ben 150 auto, che aveva visto in giro una Ferrari con una bella ragazza a bordo, che in 6 mesi, con le slot machine la gente si era giocata ben 20 milioni.

 

La Vichinga

Notizie certamente interessanti, ma date di sfuggita, mentre ben 10 righe erano riservate alla Vichinga, il soprannome con il quale veniva chiamata la bella ragazza forestiera bionda, “alta come una statua sul piedistallo” che passeggiava la sera per il Corso, attesa da tutti “perché era fatta molto bene”. E questa era in sintesi la Macerata degli anni 60, quale risultava dalle cronache di due validi giornalisti: un po’ di analisi di economia, una veduta d’insieme molto folkloristica, un continuo accenno al torpore, alla malinconia, a un grigiore d’insieme forse dovuto, nel subconscio, al ricordo della descrizione della città  fatta da Pirandello nel “Piacere dell’onestà”, per cui alla fine gli unici fatti da ricordare sono il calzolaio comunista o il passeggio della walchiria.

 

Sfumature di… nero

Oggi i comunisti sono una specie in via di estinzione (da proteggere comunque come i panda mentre non vengono più bionde walchirie). La città comincia a tingersi di tante sfumature di nero, un colore che risalta molto, anche perché i nuovi arrivati sono spesso in giro. Secondo alcuni economisti con il loro apporto si avrà nel tempo – non determinato – un aumento di un punto del pil. Nell’attesa, costoro presidiano gli ingressi dei centri commerciali, si scatenano in accese discussioni ai giardini pubblici, ignorano un minimo di norme di educazione civile, mentre qualcuno si impegna in un redditizio commercio, chiamato nei verbali della polizia con altro nome. In questo deprimente panorama cittadino, una minoranza (lo dicono i sondaggi) continua a parlare di accoglienza la più ampia possibile, in vista di una integrazione, o al limite di una assimilazione o al più una inclusione. Ciò facendo, non si tiene assolutamente conto delle differenze esistenti per lingua, cultura, religione. Su quest’ultimo punto in particolare è semplice utopia pensare che l’Islam accetti i valori dell’Occidente, come del resto confermato dai fatti. In sostanza si tratta di preparare per i nostri nipoti un bel pacco di guai, quelli di cui parla la cronaca d’oltralpe. Un minimo di buon senso e di cautela  sarebbero oggi necessari, come sembra comincino finalmente a comprendere le alte sfere civili e religiose. Solo in questo modo  non tornerà d’attualità il grido di rabbia e di orgoglio della grande, indimenticabile Oriana Fallaci.

Siriano Evangelisti

30 dicembre 2017

 

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