Una storia che ci ha commosso: Salvi Armando – Classe 1893

Print Friendly, PDF & Email

Salvi Armando, chi era costui? Un giovane falegname, di sana e robusta costituzione fisica; arruolatosi con la sua Classe nell’Anno 1913; mobilitato il 25 maggio 1915 il giorno dopo (ricordate il mitico 24 maggio?) l’entrata in guerra dell’Italia; partito per il fronte con il suo Reparto, il 25° Reggimento cavalleggeri, i Lancieri di Mantova. Trombettiere. Non conosciamo molto di più di Lui. Quattro anni di guerra. Caporale trombettiere, nel 1917. Deceduto in Torino il 28 dicembre 1918, presso l’Ospedale Militare di riserva “G. Allieri”, per malattia.

 

Strana malattia, una pallottola di fucile.

Ma tant’è; il rituale e scarno timbro che qualcuno del Distretto Militare appose tanti anni fa per chiudere il suo stato di servizio, questo non dice e si limita così a dichiarare il nostro Armando Salvi come: “deceduto per malattia”. Cosicché la burocratica targa che campeggia sulla civica torre di Recanati, sua Città natale, quasi dividendo quei poveri nomi -tutti di morti in guerra- in due categorie di illustri (quelli deceduti in combattimento) e di quelli meno illustri  (quelli deceduti a seguito di “malattia”), fra questi secondi lo annovera. Senonché il buon vecchio zio Ernesto, reduce anch’egli dalla Grande Guerra, che lo ebbe cugino come d’altronde mio padre, da piccoletto mi raccontò che quel baldo cavalleggero, che sorridente e fiero ci guardava da una delle foto di quel grande quadro di Famiglia appeso al muro, era stato ferito proprio nell’ultimo giorno di guerra ed era poi deceduto dopo qual che tempo nell’Ospedale Militare, ove infine era stato trasportato. Mi è tornata in questi giorni fra le mani questa foto risvegliando orgogliosi ricordi.

 

Suonando la carica

I Lancieri di Mantova, cui quel Caporale trombettiere apparteneva, furono impegnati negli ultimi giorni nelle operazioni conclusive della guerra all’inseguimento dei nemici in rotta, lungo le pianure venete. Certo, ci avevano fatto correre dopo Caporetto, e ora correvano loro, inseguiti e disperati. I nostri cavalleggeri raggiungono un piccolo gruppo di croati in fuga, Armando Salvi suona la carica. Qualcuno, impaurito, invece di arrendersi, spara. Un dolore improvviso, lancinante, e il “nostro” trombettiere cade; va ad assaggiare la polvere che gli zoccoli del suo cavallo avevano appena sollevato. Poi il triste tragitto verso quel lontano ospedale militare di riserva di Torino, ove dopo cinquanta giorni di ricovero disperato, il nostro povero Armando renderà l’anima a Dio.

 

Mai dimenticare

Perché Vi ho raccontato questa storia a novantanove anni di distanza? Per non dimenticare. Non è forse questa la ragione delle tante manifestazioni che di questi tempi si susseguono a ricordo del primo conflitto mondiale? Molti annoverano nelle rispettive famiglie qualche parente, nonno, zio, che ha avuto a che fare con quella guerra e anche se oggi si tratta di un lontano passato, grazie a loro lo si sente vicino e presente perché fa parte di noi; possiamo cercare di dimenticarlo, cancellarlo o riscriverlo no. Quello che oggi siamo, quello che abbiamo o non abbiamo è il prodotto, il risultato, che a livello collettivo o personale che si voglia, la storia ci ha consegnato.

 

Riflettere

Ed allora è utile fermarsi un momento a riflettere. Solo per ricordare un passato glorioso? Certo la Vittoria in quella Grande Guerra fu un evento epocale, che ancor oggi ricordiamo a distanza di quasi cento anni, tant’è che la Festa dell’Unità d’Italia e delle Forze Armate cade proprio nel giorno anniversario della chiusura di quell’Evento. Tante volte ne abbiamo sentito parlare e oggi, anche semplicemente trattandone, c’è il rischio di cadere in un inutile esercizio oratorio spesso inficiato da vana retorica. Sembra invece più giusto fermarsi a considerare, confrontandoci in una ideale continuità con chi ci ha preceduto, su quello che eravamo e su quello che ora siamo. Poiché nella vita, per andare avanti, è sempre opportuno conoscere quello che c’è già stato e avvalersi delle esperienze e delle scelte di chi in passato si è trovato ad affrontare analoghe situazioni o gli stessi problemi

 

Le guerre oggi

Certo oggi le guerre che si combattono non sono più quel le di una volta. Oggi le guerre si chiamano: lotta al terrorismo, lotta alla droga, lotta alle malattie, lotta alla velocità, che insanguina le nostre strade più di ogni altro demone. Ma per combatterle ci vogliono sempre unità di intenti, coraggio, astuzia e intelligenza. Ci vogliono Valori quali la serietà, il rispetto dei diritti degli altri, la capacità di controllare i propri istinti. Oggi a combatterle in prima fila ci sono le Forze dell’Ordine, impegnate a tutti i livelli; i nostri militari che vivono all’Estero nelle tante missioni, che sono tutte rivolte ad assicurare pace e assistenza a popolazioni in condizioni di disagio e spesso di estremo pericolo. Ci sono i Medici, i Missionari, ma anche gli Insegnanti, che devono contribuire a far crescere cittadini onesti e laboriosi, facendo capire che non è con la violenza, con il turpiloquio, con la droga o la sregolatezza, che si possono ottenere soddisfazioni.

 

Quello che oggi siamo

Ci vuole poi così tanto coraggio a premere al massimo l’acceleratore? O che bella soddisfazione ti dà sorpassare di volata chi ti precede, magari pure in curva o contromano, solo per fare la bravata del giorno? A parte il fatto che, così facendo, si finisce sempre più spesso sui muri dentro a quei manifesti cerchiati di nero con tanto di inutili frasi di circostanza, c’è maggior merito, ci vuole più bravura e impegno a rispettare le regole che non a violarle. A violarle si fa subito e tutti sarebbero capaci di farlo con facilità. La spavalderia, la spericolatezza non pagano quando in ballo c’è la vita, propria od altrui! Una volta l’Italia, indiscussa maestra di civiltà, insegnava agli altri Popoli il bello, il gusto della vita, il rispetto del diritto, la Fede. E la palestra da cui tutto ciò derivava era la Famiglia, una e indivisibile.

 

Morire a venti anni

E dunque: per una ferita patita nell’ultimo giorno di una guerra vittoriosa, me lo dite Voi come si fa ad affrontare la morte, a poco più di vent’anni, lontano da casa, in un letto di ospedale militare, come il nostro Salvi Armando, Caporale Trombettiere, Classe 1893? La morte era lì, beffarda, pronta a ghermire quel povero essere, che pure per quasi quattro anni aveva dato il meglio di sé per quella Patria che ormai lo lasciava. Armando era lì, solo, a lottare contro quell’inarrestabile infezione da fucile. Quel cavallo di cui era tanto orgoglioso, quella fidanzata che forse lo attendeva, quella Famiglia che tanto pregava per lui, non erano più. Così lontani, eppure sempre così struggentemente cari.

 

Patria

Oso sperare che lo Spirito di Dio, consolatore, sia sceso su di Lui che certo Lo cercava, a dargli il coraggio di morire a venti anni, con il solo conforto di aver fatto fino in fondo il proprio dovere per la Patria. Quella Patria (cioè oggi: noi), alla quale forse non pensiamo più e questo nonostante i molteplici Eroi, grandi o umili come Lui, la cui storia nessuno ricorda. Celebrando questa giovane vita spezzata, forse torna una bella speranza; ed è quella che si possa ancora riuscire a lottare per un Mondo di cose più serie, di rispetto dei propri doveri, di ripresa dei veri Valori, senza i quali la vita è solo vuota illusione.

E allora: suona di nuovo la tua tromba, Salvi Armando, Caporale di Cavalleria, trombettiere, Classe 1893; dacci la carica e saremo per sempre con Te perché avremo anche noi meritato una piccola fetta d’Italia!

Giuseppe Sabbatini

1 gennaio 2018

 

A 13 persone piace questo articolo.

Commenti

commenti