“Il rosso fiore della violenza” – XLIV puntata

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“In fondo posso capirvi, ma ricordatevi che la rivoluzione deve essere spoglia di sentimentalismi estranei ai suoi scopi. Essa richiede qualsiasi sacrificio, qualsiasi rinuncia: una vita, cento o mille non hanno e non devono avere alcun peso se servono allo scopo che essa s’è prefisso. In futuro non tentennate nel giustiziare i vostri stessi genitori se si dovessero macchiare di tradimento”.

 

La dose mortale

Questo aggiunse l’uomo dal pizzo caprigno che si alzò per prendere dalla sua borsa una scatola dalla quale tirò fuori una siringa e una fiala che conteneva eroina pura. Con gesti decisi ed efficienti iniettò il tutto in una vena del braccio della ragazza. Nessuno batté ciglio: sguardi fissi, pugni stretti e nei petti i loro cuori sembra vano voler scardinare le costole per fuggirsene via. “Questo è un metodo rapido, indolore ed efficace per raggiungere lo scopo. Cercate di tenerlo a mente in futuro!”

 

Angela muore: il rosso fiore della violenza

Commentò con assoluto distacco l’uomo dal pizzo caprigno. Angela si sentì afferrare come foglia dal vento e trascinare ad altezze vertiginose in un cielo azzurro e pulito. Poi si vide trasformata in un bianco gabbiano che ad ali spiegate planava su invisibili correnti d’aria. Il suo volo era accompagnato da una melodia dolcissima e provava la sensazione che ogni piuma del suo corpo vibrasse all’unisono. Lentamente, mentre veleggiava verso la terra, il paesaggio assumeva sempre più linee precise: i contorni di una città e, nella città, quelli d’una piazza e, nella piazza, trasformata in un crogiuolo di forme colorate in rapida dissolvenza e d’una violenta dissonanza da caos primigenio, le sembianze d’un giovane il quale, con un rosso fiore in mezzo alla fronte, il rosso fiore della violenza, crollava all’indietro e a braccia spalancate come il Cristo anelante alla sua croce! La sua caduta era così lenta da sembrare che in essa volessero annidarsi tutti i secoli di dolore e di disperazione delle povere vittime della umana follia. La ragazza gabbiano tentava con tutte le sue forze di fuggire lontana da quel teatro di morte, ma le sue ali si rifiutavano d’ubbidire alla sua volontà. Era in preda ad un terrore violento che le impediva d’urlare, eppure percepiva che il suo destino, nella sua nuova dimensione, era strettamente legato a quello  di quella vittima sacrificata sull’ara dell’odio politico. La fanciulla-gabbiano cominciò ad avere un freddo intenso che dalle estremità del suo corpo saliva spietatamente verso il suo povero cuore. Lentamente anche il paesaggio mutava il suo aspetto in un paesaggio invernale: in mezzo ad un anfiteatro di scintillanti colonne di alabastro, una statua di ghiaccio che aveva le sembianze del suo Alberto giganteggiava in una profonda egoistica solitudine. Lei provava un bisogno profondo d’abbracciarla con la speranza di fonderla con il caldo alito del suo amore fino a trasformarlo in un uomo innamorato, ma dalla sua bocca usciva soltanto un freddo respiro di morte ed alla fine si sentì anche lei trasformare in un gabbiano di ghiaccio senza alcun desiderio di volare e cadde “come corpo morto cade” tra le braccia della morte. L’uomo dal pizzo caprigno ordinò d’abbandonare il suo corpo in un posto facilmente rintracciabile e volle che su di esso vi fosse un cartello con la scritta: “La rivoluzione non perdona i traditori”. 

continua

5 marzo 2018

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