Macerata, svelato il mistero della pietra con l’Ave Maria incisa

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Macerata – Nelle pinacoteca comunale di Palazzo Buonaccorsi c’è una lapide, la più completa, da renderla, fino a oggi, un pezzo unico, delle dimensioni cm.70x61x8,5. Ignoti sono sia la  provenienza che l’autore.

Il manufatto ha una serie di piccoli clipei disposti quasi a labirinto, con lavorazione a bulino per dare forma a caratteri gotici; lettere che, lette dall’esterno verso l’interno in percorso circolare, compongono le parole della salutazione angelica nella formula duecentesca, con al centro motivi floreali e simbolici. In una pubblicazione degli anni ‘50 era stata descritta da Pietro Toesca come “formelle per fusione”, e fu poi Libero Paci a interpretarne la lettura, e a datarla XIII secolo.

 

Cupramontana

Nella sala consiliare del comune di Cupramontana c’è un frammento di lapide delle dimensioni cm.41×31, murata accanto ad altri reperti, dove ci sono incisioni tonde a bassorilievo (clipei), che formano delle scritte: sono la salutazione  angelica  duecentesca (la ricostruzione del testo, fatta da Riccardo Ceccarelli, è: “ave maria gratia plena dominus tecum benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui ihesus santa maria ora pronobis amen”), mentre in alcuni clipei ci sono piccole croci e altri segni. Forse proviene dalla chiesa non più esistente di Santa Maria del Colle.

 

Pievetorina

Nella collezione archeologica comunale, c’è un frammento di un altro esemplare, ma qui c’è solo la parte con incisi i simboli, manca la parte con le lettere. Provenienza da Val Sant’Angelo di Pievetorina, datazione ipotizzata XV secolo.

 

Siracusa

La Galleria Regionale Palazzo Bellomo, da noi contattata, conferma di possedere un frammento dello stesso tipo del quale, non essendo esposto, non disponiamo di immagine e informazioni sulla provenienza; però il Direttore della galleria, messo al corrente della esistenza di altri esemplari, dei quali abbiamo fornito loro le immagini (in particolare quello di Macerata che è il più completo) hanno già avviato nuovi studi, dei quali attendiamo con viva curiosità l’esito.

 

Le ipotesi fatte finora

Un mistero aleggia intorno a questi manufatti e si sono fatte le ipotesi più disparate su cosa fossero e a che cosa servissero. Fino a ora… I clipei hanno un diametro di circa 3 cm ciascuno, con lettere e segni incisi. L’ipotesi più accreditata dagli studiosi è che questi manufatti siano stati oggetti rituali per la confezione e la cottura delle ostie, tranne quello di Siracusa, che viene datato XVII secolo circa, del quale si dice sia una lastra per cuocere dolci.

 

La “Salutazione Angelica” porta la datazione a prima del 1400

Nella tradizione cattolica, per “salutazione angelica” si intende l’Ave Maria, per mezzo della quale l’orante ricorre alla santissima Vergine. Si chiama salutazione angelica perché comincia con il saluto che fece a Maria Vergine l’arcangelo Gabriele. Le parole dell’Ave Maria (Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum, Benedicta tu inter mulieres, et  benedictus fructus ventris tui, Iesus) sono la formula originaria, le altre parole (Sancta Maria, mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae. Amen.), sono state aggiunte dalla Chiesa nel XV secolo, quindi queste sculture dovrebbero verosimilmente essere precedenti al 1400.

 

Federico II

Conoscendo l’esistenza di questi esemplari solamente, resta difficile capire anche dove sia nato il primo. Un indizio ce lo fornisce il Liber de Coquina di Anonimo Meridionale, il più antico libro di cucina italiana esistente, che gli storici studiosi di antichi testi di cucina, come Anna Melotti autrice de “I ricettari di Federico II”, ritengono provenisse appunto dalla corte di Federico II.

 

I croseti

In questo testo e in altri manoscritti simili, si parla di croseti, una pasta fatta di acqua, farina di grano e sale, modellata con i polpastrelli: eodem modo fiunt croseti, et de eadem pasta, nisi quod sint formati rotundi et oblungi ad quantitatem ninius pollicis; et cum digito sunt concavati. Est tamen sciendum quod, tam in lasanis quam in crosetis, debet poni magna quantitas casei grattati (traducibile in: nello stesso modo fanno i crosetti, e della medesima pasta, ma sono di forma tonda e oblunga della quantità di un pollice e resi concavi con la pressione del dito. Si sappia che, tanto nelle lasagne che nei corzetti, occorre mettere un’abbondante quantità di formaggio grattugiato).

 

La tradizione della pasta tonda stampigliata

In tutta la penisola è ancora diffusa la tradizione della pasta tonda stampigliata, con varianti nella ricetta e nella dimensione, come l’orecchietta pugliese/lucana; ma la versione che più ci interessa è quella dei corzetti liguri, realizzati con stampini in legno che servono a tagliare la sfoglia, non troppo sottile, a cerchietti e poi  imprimerci  sopra il  disegno dello stampino. Dopo averli lasciati asciugare sulla madia, i corzetti si cuociono e si condiscono. Pare che il termine “croxetto” possa derivare dal latino crux, crucis, perché era consuetudine dei monasteri contrassegnare la pasta preparata per le festività o per eventi speciali con il simbolo della croce. Assomigliava anche alle ostie incise che i Crociati si portavano dietro per le loro Comunioni.

 

Mistero svelato: è una “macchina” per fare la pasta?

Nulla ci vieta di pensare che le lastre in pietra incisa, fossero una sorta di macchina raviolatrice per fare ghiotti crusetti-croxetti-corzetti, magari in un convento, vista la presenza della salutazione angelica oltre agli altri simboli (croci, fiori, stelle), dove la pasta spessa veniva stesa o schiacciata a palline nelle formine, poi modellata con mattarello o pressata con uno stampino. Ovviamente, deve far meditare la differenza: se nel resto d’Italia si usano e usavano stampini in legno o metallo o, pure, il dito, solo qui nel maceratese, e in Sicilia, abbiamo costose sculture in pietra, guarda caso proprio dove c’era la presenza di Federico II.

Simonetta Borgiani

16 aprile 2018

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