“Sòra Lauretta degli spiriti” o sedute spiritiche a Macerata

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Secondo la migliore tradizione della letteratura del brivido, la villa edificata in tempi andati poco fuori la cinta delle mura cittadine maceratesi, era immersa nella penombra di una fitta macchia di ippocastani, di acacie e sempreverdi.

 

La casa

Al primo sguardo non poteva  suscitare altro che sinistre sensazioni di cupezza e di squallore. Una magnolia, alta e maestosa, incombente sul vialetto di accesso, accanto al cancello in ferro battuto, mitigava con l’aspetto accattivante e l’aroma  dei bianchi fiori carnosi, la sensazione di tetraggine dell’edificio. Eppure la villa ospitava gente normalissima, che viveva una vita senza scosse e ribaltoni e che vegetava in un’apparente inedia, non avendo eccessive preoccupazioni di carattere economico; gli occupanti possedevano infatti, oltre questa palazzina posta tra centro e periferia, vari appartamenti in città e appezzamenti di terreno irriguo lungo la piana del Chienti. Sul retro della casa si apriva quello che doveva essere stato un giardino pieno di anfratti e di mistero; al suo posto adesso c’era una specie di orticello poco curato. Vi crescevano qualche ciuffo di insalata, zucchine, rosmarino, prezzemolo, pomodorini rotondi penosamente abbarbicati ai tralicci di canna. Una rete metallica fatiscente, recintava questa zona di ex spazio verde. Sull’orticello si affacciavano gli usci della cucina e del salotto buono di casa Crivelli.

 

Sòra Lauretta

La sòra Lauretta, una volta bella e affascinante, rimasta vedova in età relativamente giovane con una bimba a carico,  consumava le sue giornate a sfaccendare con l’aiuto di una domestica, per pulire e ripassare le superfici di un mobilio datato e tarlato quanto la padrona di casa. Negli ultimi anni la sòra Lauretta aveva cercato di ovviare alla vedovanza sposando l’amministratore dei suoi beni, un individuo rozzo e poco socievole che, già prima del matrimonio, sembra avesse tentato di insidiare persino le virtù della futura figliastra. Chiacchiere e pettegolezzi, frutto soltanto della malevolenza del vicinato. Mah ! Certo è che qualcosa di indecifrabile e di strano sembrava condizionare questo “ménage à trois”.

 

Ivo, l’astratto

Finché, nel giro, non venne a inserirsi un quarto protagonista, nella persona di Ivo, un giovanotto sulla trentina, rosso di pelo, lungo e smagrito, dall’aria costantemente ispirata, i lineamenti sofferti e affilati, quasi una reincarnazione del giovane Werther di ispirazione tardo romantica. E il richiamo letterario  non è  del tutto  peregrino  dal momento  che “Ivo l’astratto” fu all’inizio attirato dalle grazie della più giovane delle Crivelli e iniziò il corteggiamento con eleganza e discrezione.

 

Il salotto-soggiorno delle sedute spiritiche

Col passare del tempo il giovanotto si rivelò, del tutto occasionalmente, potentissimo medium nelle sedute spiritiche che di norma si svolgevano nel salotto-soggiorno, stipato di mille cose di “pessimo gusto” di vago sapore gozzoniano. Al centro tavolone rotondo in pesante massello di noce americana, alle pareti buffet con specchiera e controbuffet con cristalleria e argenti in stile, un pianoforte verticale funereo, scordato e con la tastiera ingiallita coperta da un tappetino di feltro verde marcio, con su ricamata la scritta “Costanza e Sentimento” a svolazzi. Soprammobili di pura tendenza liberty ad accompagnare il pesante lampadario appeso al soffitto dai vetri colorati e saldati a piombo; oggettini di ogni formato, vecchie cineserie e, in un angolo, uno di quei lanternoni basculanti con l’asta rossa a borchie d’oro, che le confraternite portano nelle processioni. Ai muri una carta parati a striscioni color ocra, alternati a festoni variopinti di fiori, nastri e gale. E un’infinità di gatti, di tutte le razze e gradazioni di pelo, che avevano invaso l’orticello e piantonavano speranzosi la vetrina dell’angusto cucinotto con camino e stufa economica.

 

La nostra frequentazione

Mamma Gigetta e papà, amici della famiglia Crivelli, frequentavano da tempo quel salotto un po’ kitch, ma a suo modo accogliente. Con i coniugi, specie nella stagione invernale, consumavano interi pomeriggi a giocare a scala quaranta o a canasta. La sòra Lauretta, in funzione di alchemica fattucchiera, aveva spinto mamma a ingurgitare ogni mattino a digiuno una specie di latticello giallastro derivato dalla macerazione del cosiddetto “fungo cinese”, di gran moda negli anni ‘60, panacea e rimedio universale per una serie innumerevole di mali e malanni, dall’artrosi cervicale ai duroni dei piedi.

 

Le sedute spiritiche con Ivo: la preparazione

I dopocena erano dedicati allo “spiritismo”. A una cert’ora arrivava il diafano Ivo e si dava inizio al cerimoniale. I proseliti ascoltavano dalla radio musiche in sottofondo. Si cercava, con ogni mezzo, di ricreare un’atmosfera intima e ovattata, secondo un copione stantìo e accattivante. Uno scialle scuro dalle lunghe frange annodate, veniva posto a mo’ di mantiglia attorno ai tralci d’uva in ferro battuto che guarnivano il lampadario; dominante, con la sua forma circolare, il tavolone al centro sala. Gli astanti si raccoglievano in silenziosa meditazione, gli occhi fissi alle reazioni del medium. Nessuna catena di mani. Nessuna formula magica di apertura.

 

Ivo cade in trance

Ivo si lasciava andare a frequenti ansiti come di piacere sessuale o a rantoli  gutturali;  fremiti  del  corpo  in progressiva accelerazione accompagnavano le sortite vocali. D’un tratto, con brevi cenni della mano, segnalando l’arrivo di un sibilo che gli titillava l’orecchio, chiedeva il più assoluto silenzio; poi, di colpo, si appoggiava alle braccia ripiegate sul ripiano del tavolo ed entrava, semi incosciente, in stato di trance. A seconda degli umori e delle circostanze – pare che anche le condizioni atmosferiche influissero sulla riuscita degli esperimenti – il cosiddetto spirito guida si “esibiva” in una serie di molteplici personaggi.

 

I personaggi evocati

Una sera era il turno del maestro Arturo Toscanini,un’altra quello di un manovratore delle ferrovie di Castelraimondo, morto schiacciato fra i respingenti di un vagone durante la manovra di aggancio. Un altro cliente abituale era nientemeno che Giuseppe Verdi, il quale, rivelandosi un inatteso buontempone, sparava frescacce e idiozie in puro accento emiliano. Poi pretendeva di ascoltare al grammofono un disco dell’Aida, che dirigeva con enfasi e trasporto. Se l’orchestra o gli interpreti non erano di suo gradimento, cominciava a inveire e bestemmiare come un facchino ubriaco; e, menando pacche a destra e a manca, se la prendeva con gli astanti. Un conversatore dall’eloquio dirompente e dal fascino calamitoso era Sant’Agostino, sì proprio lui, il Padre della Chiesa, l’ispirato autore delle Confessioni e del De Civitate dei, il quale amava immergersi in concettose disquisizioni filosofiche o di carattere teologico, lasciando di sasso quei pochi che conoscevano dai libri il suo pensiero. Tra l’altro ebbe a sostenere più volte, con tono deciso, che non corrispondeva a verità la notizia che fosse  nato a Tagaste nel Nord Africa. In assenza di contraddittorio volle che fossero invitati alcuni specialisti di spiritismo di Camerino, capeggiati dal professor Stoppoloni e con loro si avventurò in una dotta diatriba sulle sue affermazioni dal carattere specifico. Quando dal medium veniva captato Chopin, questi pretendeva  di eseguire al pianoforte i suoi celebri Notturni. Uno scatenato poeta toscano del ‘400, di cui non si riuscì a capire la vera identità, assalì con marcate inflessioni gergali gli astanti in maniera violenta, con insulti e malvagie insinuazioni contro questo o quella.

 

Ivo terminava sfinito

Alla fine dell’entrata Ivo era madido di sudore, farneticava, scalciava come un indemoniato; in più di una occasione dovettero trattenerlo in quattro, perché non si facesse del male e non causasse danni a sé e agli altri. Dopo l’accesso di furia incontenibile crollava di colpo, come svuotato. Una volta ebbe una specie di collasso e la sòra Lauretta dovette praticare una iniezione di cardiotonico per ricondurlo alla normalità. Dopo le sedute Ivo chiedeva concitatamente che cosa fosse successo. Era curioso e innocente come un bambino che si risvegliasse da un brutto sogno. Questo mi raccontavano i miei genitori, affascinati dalle straordinarie esperienze che stavano vivendo. Mamma Gigetta, in special modo, con uno sguardo attonito e trasognato, descriveva i fatti della sera precedente, con un entusiasmo e un trasporto del tutto innaturali in un’indole come la sua, così riservata. Raccontava mirabilia di Ivo l’astratto, sosteneva che non ci potevano essere imbrogli di sorta e che tutto rispondeva a verità, considerando che il medium, semplice perito agrario, non sapeva nulla di teorie filosofiche, non conosceva una nota di musica ed era lì a interpretare il pensiero di un Sant’Agostino con perfetta padronanza di idee e di linguaggio, oppure sedeva al pianoforte scordato a suonare un “Improvviso” chopeniano con un impeto e una classe da grande concertista…

 

Quella volta che “apparve” la Madonna

Una volta, raccontava mamma commuovendosi fino alle lacrime, era apparsa (così diceva: apparsa…) la Madonna. Ivo – nell’occasione – sussurrava, con carezzevole voce femminile, parole dolcissime di fede e di amore. Un acuto profumo di rose si era effuso nel salotto avvolto nella penombra. Sta di fatto che tutte le anime evocate o presentatesi spontaneamente si dichiaravano strenuamente legate al mondo terreno, subendone, per forza di cose, l’attrazione materiale e contingente. La massima aspirazione di tutte era quella di salire, di proiettarsi verso una dimensione non misurabile in termini umani, per raggiungere una “luce immensa” che irradiava serenità e bontà.

 

La mia esperienza personale

Infine, dopo un’accurata e opportuna preparazione spirituale da neofita, fui ammesso anch’io alle sedute di casa Crivelli. Ma rimasi a dir poco frastornato e negativamente impressionato dalle prestazioni del tanto decantato medium nostrano. Era da tempo che Ivo esercitava questa pratica esoterica e la sua fama aveva superato i confini della regione ma, in questo momento, era in apparenza scarico, stanco, come una pila che abbia esaurito la sua carica energetica. Gli esperimenti che proponeva ai convenuti sapevano un po’ di approssimata cialtroneria. La famiglia Crivelli da tempo è scomparsa  da Macerata. Per quel che ne so, l’unica figlia dovrebbe essersi accasata a Napoli. La villa, sorvegliata a suo tempo dalla magnolia, non c’è più, è stata demolita per lasciare posto a due disadorni palazzoni moderni in cemento armato. Comunque nei dintorni restano sempre tanti gatti, che si guardano in giro, arruffati, terrorizzati dal traffico della via e delusi per l’assoluta mancanza di un accogliente orticello e di uno spazio protetto da una compiacente ombra.

Goffredo Giachini

8 maggio 2018

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