Tre chiese a confronto in tre territori diversi e distanti tra loro

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Nel leggere “L’architettura nelle Marche dalle origini al liberty” di F. Mariano sono venuto a conoscenza che la bellissima chiesa cluniacense di Santa Maria a Piè di Chienti in Montecosaro (MC) ha, anzi aveva, tre gemelle in Italia: San Benedetto Po, Acerenza e Sant’Antimo.

 

“Santa Maria Assunta e San Canio” in Basilicata

Essendo stata ricostruita nel 1502, ho escluso dai miei itinerari turistici il primo edificio mantovano. Quando sono andato a vedere il secondo, “Santa Maria Assunta e San Canio” in Basilicata, sono rimasto sbalordito dal panorama che si scopre dagli 800 metri di altezza di Acerenza e consiglio a chiunque voglia andarci di portare abiti caldi, anche d’estate. L’ormai piccola località (conta solo 2300 abitanti) ha visto fin dai tempi più antichi la presenza dell’uomo, che ha sfruttato la posizione per difendersi e dominare il territorio circostante, ma i reperti archeologici rinvenuti a tutt’oggi sono pochi rispetto alle ragionevoli aspettative. Questo duomo è una copia dell’abbazia di Montecosaro, anche se internamente intonacato, ed è noto perché nel deambulatorio si trova il bastone del patrono che, da solo, si avvicina e si allontana misteriosamente dalla feritoia. Nel vicino bar-cantina sono riuscito a trovare un libro sulla storia della chiesa, anche se mi sono subito reso conto che si dilunga sul periodo moderno lasciando nel vago l’origine della struttura, segno evidente di una carenza di studi approfonditi. Comunque, Canio Muscio, nel suo “La Basilica romanica di Acerenza” (Ceccarelli ed., 2008), ricorda che Niccolò II e Gregorio VII hanno nominato due monaci cluniacensi vescovi di questa Chiesa Metropolitana che aveva giurisdizione su altre diocesi come Potenza e Venosa. Lo stesso Autore afferma che la cattedrale è stata inaugurata nel 1080, a differenza di alcuni ricercatori dell’Università di Firenze che l’attribuiscono al 1281. Dato che sono cluniacensi sia la chiesa che due vescovi di quel periodo, è quasi sicuramente certa la data indicata dallo studioso acheruntino, anche perché Acerenza è stato un centro importantissimo nell’XI secolo, mentre nella seconda metà del XIII secolo il potere politico si è spostato altrove. Il deambulatorio, che è un elemento essenziale delle strutture di tipo cluniacense e permette il transito dei fedeli in una forma che oggi chiameremmo a senso unico, a Santa Maria Assunta e San Canio  è simile a quello dell’abbazia di Montecosaro ed è presente pure nelle chiese di Aversa, Venosa, Barletta e Trani. Le due chiese di Santa Maria a Pié di Chienti e di Sant’Antimo, però, sono simili anche per i due matronei laterali collegati da un deambulatorio superiore, e proprio questo, pertanto, le distingue dagli altri edifici cluniacensi che internamente non hanno un piano superiore.

 

Sant’Antimo in Toscana

L’altra chiesa fondamentale da studiare per capire Santa Maria a Pié di Chienti è Sant’Antimo in località Castelnuovo dell’Abate, nel comune di Montalcino a 10 chilometri da Pienza, già Corsignano. Facilmente raggiungibile, la chiesa senese spicca isolata come quella della nostra provincia e, appena entrato, ho avuto la sensazione di trovarmi proprio all’interno di Santa Maria a Pié di Chienti: le due strutture, infatti, si differenziano solo per il materiale con le quali sono state costruite: mattoni la nostra, pietra quella Toscana. Vicino si trova un fornitissimo book-shop con tutti libri che attestano gli approfonditi studi svolti sull’abbazia, che si fregia del titolo di “imperiale” e il suo abate del titolo di conte palatino. Sono documentate le richieste fatte nel 1153, 1155, 1157 dai monaci di Sant’Antimo all’arcicancelliere d’Italia Rainhald von Dassel, per avere la conferma di terre donate loro da Carlo Magno fondatore della chiesa[1]. Infatti, lo studioso Antonio Canestrelli, già nel 1910-12, citando gli “Acta Sanctorum” e “Collezione di vite dei Santi”, riportava la notizia2, da lui derubricata a leggenda, secondo la quale Carlo Magno nel 781, avendo ricevuto in dono da Adriano I le reliquie di Sant’Antimo (oltre a quelle di S. Sebastiano, terzo patrono di Roma e posto da Gregorio Magno tra i sette difensori della Chiesa), le porta proprio nella chiesa a lui dedicata, nella valle della Starcia. Inoltre, secondo Marco Frati, in base a documenti e ricerche stratigrafiche, l’attuale chiesa, a impianto cluniacense anche se voluta dai benedettini, è stata edificata all’inizio del XII secolo, ma preceduta da altre due strutture. Alla metà dell’VIII secolo, quindi in età longobarda, era stata eretta la prima abbazia. Infatti, documenti del 1051 ne attribuiscono l’edificazione, con la concessione di almeno due privilegi, a Carlo Magno; altri privilegi documentati sono stati poi concessi da Ludovico il Pio, mentre si trovava ad Apollinare il 29 dicembre 814 (e mi sembra interessante notare che ad undici  mesi dalla morte del grande imperatore il figlio fosse in Italia). Questa prima chiesa, dice sempre Frati citando Alberto Fatucchi, doveva essere piuttosto ampia. La seconda struttura dovrebbe essere stata costruita nel X secolo, sia perché tutti e tre gli Ottoni hanno concesso benefici a questa abbazia (nel 1007 il suo abate era al seguito di Enrico II, successore di Ottone III), sia per degli indizi che si riscontrano e nell’attuale sagrestia – cripta sottostante e nella sala capitolare. Tra questi benefici potrebbero esserci proprio le terre da cui ricavare i fondi per questa seconda costruzione dato che sempre Frati scrive: “Nel 952 l’abate Betto poté forse incontrare il potente Bruningo vescovo di Asti uno dei primi presuli a sottomettersi al nuovo imperatore…”3. Singolare sapere che un vescovo italiano e non tedesco compia per primo questo atto, ma segno evidente del suo legame con l’imperatore, così stretto tanto da poter intercedere a favore dell’abazia Toscana.

S. Maria a pié di Chienti

 

Lo scultore sconosciuto… naturalizzato francese

Nell’attenta ricerca sull’attuale edificio emerge un particolare “comportamento” diffuso tra molti ricercatori: essendo stato accertato che, come in altre chiese toscane, a Sant’Antimo ha lavorato un anonimo scultore, la cui produzione è distribuita anche a sud e a nord dei Pirenei e un capolavoro è stato scovato nel 1934 nella chiesa di Cabestany, nel dipartimento dei Pirenei orientali in Francia, a questo artista, senza conoscerlo e solo per convenzione, gli studiosi dell’epoca hanno dato il nome di “Maestro di Cabestany”, naturalizzandolo francese.

 

Maestranze edili… francesi

Similmente, pur rinvenendo edifici simili in Italia (Santa Maria a piè di Chienti, Acerenza) e in Francia (Saint-Benoit- sur-Loire, ecc.), solo per convenzione molti in passato, compresi i pur bravi professori che l’hanno studiata, hanno attribuito a maestranze provenienti dalla Francia la costruzione dell’abbazia di Montalcino. Bisogna, invece, mettere in evidenza che Marco Frati, citando Guido Tigler, sostiene che l’attuale abbazia di Sant’Antimo sia stata costruita da maestranze locali.

 

Datazioni opinabili

Sul tema, strettamente collegato, della cronologia relativa all’edificazione di queste chiese ci sarebbe da ridire: infatti, sempre Marco Frati, oltre ad affermare che l’edificio di Acerenza è stato costruito nel XIII secolo, insieme con altri studiosi dell’università di Firenze, insiste molto nel dire che l’abbazia di Montecosaro è stata innalzata 50 anni dopo quella toscana. Secondo la vulgata comune le maestranze cluniacensi sono originarie della Francia, in particolare di Fleury, dove addirittura si troverebbe il corpo di San Benedetto, teoria però confutata anche dal ritrovamento delle ossa  del  Patrono d’Europa a Montecassino dopo il bombardamento del 1944. Marco Frati4 inserisce la piantina di Fleury dove, nella legenda, si viene a scoprire che quell’abbazia è stata costruita tra il 1070 e il 1108. Muscio e altri storici lucani, invece, affermano che la Basilica di Acerenza è stata iniziata nel 1059 (finita nel 1080): se questo fosse vero le chiese francesi avrebbero copiato quelle italiane e non viceversa.

 

Le università

Un altro dubbio riguarda Gregorio VII che, mille anni fa, come i suoi immediati predecessori, era un convinto assertore della riforma di Cluny, riforma che, tra l’altro, ha portato questi monaci a dipendere dal Papa e non dai vescovi, nominati dall’imperatore. Siamo al culmine dello scontro tra potere religioso e civile. Nonostante la predilezione del papato per quest’ordine nella città di Roma non esiste alcuna chiesa di tipo cluniacense, come invece si può trovare nelle Marche e in Toscana: il fatto è strano. È ormai accettato dalla maggioranza degli studiosi che dopo il Mille nella penisola italiana, a differenza del Nord Europa, esistevano moltissimi agglomerati urbani. Afferma su “Italia Medievale” il professor Ascheri che, a eccezione di Parigi dove si studiava teologia, tra il 1100 e il 1200 tante università e di altissimo livello sono solo in Italia. Sono documentati i capitolari in cui Carlo Magno fonda Università a Fermo, Cividale, Cremona, Firenze, Ivrea, Pavia, Torino, Verona. Se Atenei e città mille anni fa si trovavano quasi tutte nella Penisola, se il cuore della cultura si trovava nel Mediterraneo (Impero Romano d’Oriente e Califfato) significa che bisogna guardare in questa direzione, e non nell’Europa continentale, per trovare anche la nascita dell’architettura cluniacense. Le costruzioni di questo tipo in Basilicata, in Puglia, in Campania e a Montecosaro dimostrano di essere antecedenti a quelle francesi e non viceversa. Ricordo, per concludere, che prima della scoperta dell’America la centralità economica era nel Mediterraneo e così anche quella culturale che si sposterà nel Nord Europa solo agli albori della rivoluzione industriale.

 

NOTE

[1] Guido Tigler, “Il cantiere di Sant’Antimo nel suo contesto storico”, in A. Peroni e G. Tucci, “Nuove ricerche su Sant’Antimo”, Alinea ed., p.14

2 Canestrelli, Antonio: L’abbazia di S. Antimo; monografia storico-artistica con documenti e illustrazioni. (Siena, Rivista “Siena Monumentale,”, 1910-12)

3 in A. Peroni e G. Tucci, “Nuove ricerche su Sant’Antimo”, Alinea ed., p. 76

4 in A. Peroni e G. Tucci, “Nuove ricerche su Sant’Antimo”, Alinea ed., p. 92

Albino Gobbi

29 maggio 2018

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