Riflessioni intorno alla poetica di un autodidatta

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 II puntata

 

Matteo RicucciQualche raro ottimista saltellando sulla fragile corda d’una inesistente felicità, dissertava intorno alla facile navigazione della vita verso un improbabile eden, ricco di doni e di premi. Cosa questa che mi ha insegnato a navigare a vista con la speranza di aver bisogno, prima o poi, di un sicuro approdo. Mai ho frequentato alcuna scuola di apprendista scrittore, né mai imparato metrica e ritmo per cantare con versi sublimi il mondo ove vivo. Porgo solo l’orecchio alla voce dello spirito quando esso, farfalla inquieta, mi parla della nostra caduca vita! Quindi, non ho avuto forbiti maestri, né testi ricchi d’ardite poetiche che con autorità tracciano al resto del mondo il sentiero da percorrere, imponendo la loro legge a tutti indistintamente, pena la dura condanna dell’emarginazione. Lungo gli aspri percorsi della mia esistenza mi sono sempre fidato della mia sola coscienza. Ho affinato la mia percezione per comprendere il chiacchiericcio del mondo. Ho scritto molti libri, sempre da eterno libero scolaro della vita, mai perdendo di vista l’eleganza dello stile e l’arricchimento dell’anima. Nel corso dei secoli sono sempre esistiti ricercatori autodidatti che basano i propri studi su di una irresistibile curiosità, percorrendo sentieri tortuosi e senza una meta prefissata: costoro sono acuti indagatori, fruitori e porgitori di ispirazioni episodiche, lirici puri, lontani dal credo delle avanguardie, le quali basano, invece, il proprio apprendimento sui segreti di bottega, e che si autoprocla-mano i soli in diritto di scrivere versi perché sfoggiano la corona d’alloro e il manto splendente dei vati della patria, membri, a volte poco emeriti, di pubblici sodalizi, eredi di antiche accademie. Il discorso libero, e quasi naif, degli autodidatti mai produrrà opere di classica compostezza, ma loro navigheranno sempre sulle limpide acque del libero mare dello spirito, scopritori di percorsi nuovi, non segnalati dalle mappe del sapere universitario, imprevedibili quindi come un Diogene che cerca la verità con la propria lanterna accesa, anche quando il sole risple“La Lanterna di Diogene” è il titolo della mia ultima raccolta di versi, e di proposito dico versi e non poesie e tantomeno liriche, perché ora, purtroppo, non è più tempo della poesia delle illusioni, unica dea della mitica Arcadia e della giovinezza di ogni poeta. Invecchiando, la ragione sempre più ci spinge innanzi alla ricerca dell’ultima meta, regno di un monarca assoluto qual’è il “Vero”, vittorioso su ogni illusione, su ogni pretesa di libertà e, soprattutto, su qualsiasi speranza di felicità. Non c’è e non ci può essere alcuna attività di pensiero che debba necessariamente soggiacere alle regole restrittive della geometria del pensiero esatto! L’autodidatta dunque può anche affermare due verità contrapposte ed essere ugualmente credibile! Infatti mai ho percorso il cammino lungo una linea retta: alla resa dei conti a ciascuno il suo e a Dio l’ultima parola! L’uomo invecchia come specie, così come invecchia l’individuo: operaio o poeta, ricco o povero, santo o peccatore! Il Tempo e la Morte, briganti da strada, fanno il vuoto attorno agli sfortunati che sono condannati a vivere più a lungo di tanti altri. Essi, abbandonati su solitarie panchine, in deserti giardini, appoggiati a bastoni che a stento reggono stanche membra, non hanno nemmeno più la forza di porsi domande a cui non seguirebbe mai risposta alcuna. Costoro sperimentano i dolorosi morsi della solitudine e l’angosciosa attesa del gran trapasso. E’ un fatto che quando il gomitolo della vita è giunto al termine, altro non resta che mettersi nelle mani di Dio e presentargli il proprio curriculum vitae, proposito rinato all’ombra dell’evidente constatazione che l’ateismo integrale è un’aberrazione che scaturisce da una impossibile e improbabile pretesa: l’assenza d’un Principio Universale, creatore e regolatore, della meccanica celeste. Tutto ciò che ho detto è valido per il sapere in genere e per la Poesia in particolare perché essa, in quel mare d’inchiostro, consumato per lei, galleggia serena e spensierata, navicella ardita che sfida tutti i venti e mai approda a porto alcuno, perché lei rifiuta ormeggi servili e scali di comodo. Dalla notte dei tempi critici inquieti s’affannano a stilare regole e parametri per rinserrarla tra anguste vesti e lei, che è nata libera, insofferente, se le straccia di dosso per vagare nella sua sfolgorante nudità da un cuore all’altro di quei poeti che la cantano liberamente. Il mio ultimo lavoro poetico, infatti, naviga a vista nel mondo del possibile e in quello dell’impossibile, del vero e del falso, dei sogni del passato e delle paure del presente e, comunque, esso per me è sempre ugualmente degno di fiducia e di credibilità.

Matteo Ricucci

 

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