Viaggio ipnotico nella “casta”

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Tutti ne parlano, La rucola esce dall’ovvio,

dal comune e s’infila agile negli stretti spazi dell’ironia sottile

 

Il senso stretto

Oggi non c’è argomento più attuale e inflazionato della “casta”, ecco perché ve ne proponiamo una trattazione inusuale. In senso stretto, con casta si indica un gruppo sociale chiuso i cui membri sono separati per razza, nascita e mestiere dal resto della società. Per estensione, si intende la classe sociale o categoria che gode di particolari privilegi (a esempio, i politici).

 

Il “pennacchio verde”

Spingiamoci oltre: secondo alcune fonti, la parola casta deriva dal latino castus, cioè puro, non mescolato ad altre cose o, nella versione più accreditata, da kâsthâ (dal gre-co) ossia limite, circoscrizione. Entrambe le accezioni sono compatibili con “casta” nel senso di categoria privilegiata, “chiusa” al possibile ingresso di altri che non vi appartengano e “pura” perché non contaminata da membri di altri ceti sociali. Trattasi solo di asettica e letteraria definizione. Per qualcuno dal pennacchio verde, invece, è il caposaldo di una campagna politica che rivendicherebbe come “casta” la popolazione del nord d’Italia, a discapito dell’unità del paese.

 

Un fine… “distratto”

I due concetti di puro e circoscritto ci rimandano l’uno alla parola castità e l’altro a castrum. Per castità s’intende esser privo di impurità, purificarsi dai piaceri terreni e materiali. In tal senso la “casta” è pura perché non rischia alcuna contaminazione coi ceti inferiori, ma non è certo immune dai piaceri della carne e della tasca. Il concetto di castità ha anche il significato di punire o castigare, di cui l’origine è sempre castus inteso nel senso di rendere integro o ammonire o, nell’ambito dell’arte, rendere perfetto. Che le “caste” da cui siamo governati si impongano solo per il nostro bene? Che il loro unico scopo sia quello di indirizzarci verso un fine migliore? Mah! Nella realtà, gli esponenti in primo grado di politica ed economia ci castigano con tagli, con tasse, con l’aspettativa di un meccanismo recessivo in tutti i campi. Dall’alto della sua posizione gerarchica, anche la chiesa ci castiga su sesso, soldi, omosessualità, coppie di fatto e attraverso imposizioni dal carattere più celebrativo che spirituale.

 

A chi pensa la “casta”?

Il vocabolo castrum, secondo ricerche approfondite, indicherebbe un edificio posizionato in alto, riparato, fortificato, un luogo inaccessibile. Alle caratteristiche architettoniche di altezza e chiusura corrispondono l’inaccessibilità e la posizione elevata nella gerarchia sociale per la “casta”. Diminutivo di castrum è castellum ossia un centro abitato munito di opere difensive per garantire sicurezza e protezione o una dimora signorile fortificata. Ma quelli della “casta” pensano alla loro sicurezza o alla nostra? Vogliono mettere al riparo i loro averi o i nostri? Se sì, perché ci impongono una protezione a pagamento come se riscuotessero il pizzo?

 

Operazione dolorosa

Ci viene spontaneo associare casta ad altri vocaboli dall’accezione negativa: castrare o a castroneria. In senso positivo a castagna che, però, racchiude un inaspettato significato. Secondo l’interpretazione di un certo Isidoro di Siviglia (VI –VII sec.), castagna dovrebbe derivare da castrare per via della somiglianza del frutto al testicolo. L’operazione di estrarre i frutti gemelli dal riccio, rimanderebbe alla castrazione. Come la “casta”, la castagna è un frutto che si preserva dagli attacchi esterni grazie al suo riccio. E la castrazione a cui il frutto rimanda? Castrare sta per recidere, tagliare: quale verbo più adatto ai nostri tempi! C’è la castrazione animale, quella chimica applicata a chi si macchia di reati sessuali, e, in senso più lato, la castrazione del pensiero o delle azioni.

 

Voilà, i creduloni!

Il concetto è facilmente riconducibile a castroneria, cioè dire o fare una sciocchezza, commettere un errore colossale. Castroneria, a sua volta, è figlia di castrone o agnel-lo castrato, a cui si dà il significato metaforico di uomo di grossolano ingegno, cioè stolto. Una vera magia con le parole che però ci riconducono all’amara verità della “casta”: chi sta sopra di noi tende a castrarci i pensieri e le azioni altrimenti non potrebbe sottometterci e per farlo dice castronerie a cui il più delle volte crediamo come stolti e a cui, altre volte, facciamo finta di credere.

 

Abbiamo giocato?

La lingua inglese ci presta termini come cast e casting che significano scelta, selezione, assegnazione di parti (nel caso più specifico di casting). Potremmo ricondurre tale concetto al principio di selettività della “casta” e a essa anche altri termini che, associati a cast, acquistano una connotazione negativa: cast anchor (dare fondo a) o in senso più positivo stabilirsi, gettare l’ancora (noi diremmo: non voler abbandonare la poltrona), cast down (abbattuto o depresso), cast back (ritorcere), cast a (denigrare). Non siamo noi a conferire accezioni sgradevoli al verbum casta, sono la ricchezza lessicale e culturale a farlo. Abbiamo giocato con le parole perché ci sentiamo ottimisti e ingenui (castus) come il Candido di Voltaire. In quest’opera risiede il concetto di felicità di Voltaire: “Coltivare il proprio giardino”, che vuol dire pensare con la propria testa e mettere a frutto le qualità personali. Vi lasciamo con la ricetta anticrisi dello chef Bruno Barbieri “La Casta in bianco”, gli ingredienti: pasta olio e parmigiano. Il noto chef la consiglia mentre è a tavola con i pupazzi di Monti, Putin e Sarkozy nel surreale e satirico programma “Gli sgommati-Apocalisse 2012” di Sky Uno.

Raffaella D’Adderio

 

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