Tutela del patrimonio archeologico

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L’analisi di Umberto Migliorelli

urbs-salvia

 

Per l’ennesima volta, e non sarà l’ultima, c’è notizia di crolli avvenuti nell’area archeologica di Pompei. Una città, sepolta dalle ceneri della eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., pervenutaci quasi intatta nel suo tessuto urbano, che ha consentito di usufruire, studiare e anche godere dell’aspetto di una città vissuta oltre 22 secoli fa. Questo patrimonio unico al mondo non è stato sufficientemente protetto e tutelato, come il resto del comprensorio con Ercolano e i Campi Flegrei. Ma questi non sono i soli siti archeologici degradati, ve ne sono molti altri in Italia in condizioni analoghe, importanti in quanto testimonianze di antichi insediamenti preromani, romani e medievali.

 

Quanti i siti da curare?

C’è la difficoltà di come reperire le risorse necessarie per la realizzazione di progetti mirati a medio e lungo termine per una maggiore tutela di questi siti. Il problema sembra insolubile perché da tutelare in Italia vi sono serie infinite di soggetti culturali: 3.430 musei, 1.300 siti archeologici, 10.000 chiese, 1.500 monasteri e abbazie, 40.000 rocche, castelli e torri, 30.000 dimore storiche e altro ancora. Tutto ciò è degno di cure e protezioni e necessita di somme enormi solo per la manutenzione. Nel bilancio dello Stato vi è un capitolo per il Ministero dei Beni Culturali, ma le somme a disposizione non sono sufficienti.

 

Burocrazia palla al piede!

Le normative per l’utilizzo delle somme disponibili fanno capo a una legge del 1939 che, a sua volta, usa il regolamento del 1913! Le procedure di affidamento dei lavori sono lente e i tempi d’intervento si allungano tanto da vanificare ogni efficacia operativa. L’incapacità di spesa degli organi periferici fa confluire i fondi inutilizzati in giacenza di cassa nelle Direzioni Regionali del Ministero. Due le cause: la complessità strutturale del Ministero e le complicazioni procedurali. Per l’affidamento di un lavoro si contano circa 80 passaggi di carattere burocratico!

 

Di chi la colpa?

Colpa di questo stato di cose è dei vari Ministri che hanno guidato il dicastero e non hanno saputo eliminare le pastoie burocratiche. Colpa è anche delle Soprintendenze Regionali che non hanno imposto ai Ministri un adeguamento delle procedure, rendendole più dinamiche e più rispondenti alla mutata realtà gestionale. Oltretutto alle Soprintendenze manca dinamismo imprenditoriale, vitalità e voglia di fare: anche con mezzi scarsi si può e si deve fare! Questo immobilismo è imputabile, anche a giudizio del Direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci, al personale direttivo delle Soprintendenze che ha in media più di 55 anni, dal quale non si può pretendere ormai né fantasia, né innovazione, né determinazione. Si deve dare spazio e più autonomia a giovani energie e a quel personale disposto a organizzare, migliorare e arricchire gli spazi espositivi dei Musei Statali, per promuovere una maggiore vitalità e stimolare la frequenza delle visite.

 

Iva assurda

Poi c’è una vera e propria stupidità: l’Iva! Il Ministero destina somme importanti per scavi, restauri, opere di tutela e valorizzazione; ebbene queste cifre sono decurtate per più di 1/5 dall’Iva, quasi totalmente applicata al 21%! Questo vale anche per i contributi elargiti da istituzioni private. Un esempio: del milione di euro destinato dalla Fondazione Carima per progetti riguardanti le aree archeologiche di Urbs Salvia e di Villa Magna lo Stato si è preso 200mila euro. In pratica lo Stato tassa le risorse, anche da egli stesso elargite, destinate alla cultura e non si riesce a capire perché tale ridicola incongruenza non sia eliminata tramite un decreto. Andrebbe anche previsto che le somme concesse da società o privati per progetti nel settore della cultura possano essere detratte dagli utili, eliminando anche l’Iva, o almeno applicarla al 4% sulle somme destinate a tali interventi.

 

I convegni inutili

Non saranno i convegni (“Cento intellettuali per la cultura”, “Popsophia”, “Symbola”) a risolvere i problemi della cultura, hanno successo di pubblico ma da questi non scaturisce alcun progetto concreto mirato alla soluzione dei problemi. La questione è politica, vanno rivisti i regolamenti, vanno eliminati gl’intralci burocratici che, da sempre, ingessano il funzionamento del Ministero; vanno modificate le funzioni delle Soprintendenze per consentire una maggiore autonomia agli organi periferici. Il problema è grave e si aggraverà sempre più se non ci sarà un intervento energico e risolutivo. E’ un auspicio e, insieme, è una speranza. La risposta esauriente la attendiamo dalla politica. Purtroppo attendiamo con poca fiducia!

 

 

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