La cultura del tuttofare: birba la vergara!

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di Cesare Angeletti

 

cisirinoLa vergara, donna straordinaria! Che mandava avanti la casa con le sue forze. Non nasceva vergara ma ci diventava giorno dopo giorno sotto le istruzioni della madre, della nonna e delle zie rmaste pe’ Sand’Andò da Padova… sì, insomma, delle zie zitelle. Per esempio, quando da bambina giocava con la mamma a fare il pane si divertiva certamente ma, intanto, imparava. Se la nonnesa le faceva fare il vestitino per la bambola, con i ferri o con l’uncinetto, lavorando sempre a dritto, che era più facile, lei sì giocava ma intanto imparava a lavorare a maglia. Quando la madre facìa ‘llu certu sirviziu a lu gallu pe’ fallu divendà’ cappò a lei, ancora ragazzina, insegnava a ricucirlo, con l’ago curvo e il filo. In questo modo ella imparava a mettere i punti per quando qualcuno si fosse ferito. Insomma, il giocare era una scuola per farla diventare una vergara. Da grande, dovendo risolvere qualche cosa, lei con tale istruzione sarebbe stata pronta ad affrontare la situazione sapendo sempre che fare pe’ lo mejo. Il sale grosso costava di meno e quello fino di più… ecco che la vergara faceva acquistare allo spaccio al marito il sale grosso, poi ne prendeva una manciata, lo metteva sopra il piano di marmo del tavolo, riempiva un bottiglione di acqua, lo tappava bene e scutulènnulu sopra il sale grosso lo raffinava. Qualche volta la vergara faceva cose un po’ strane ma sempre tramandate dalla nonna alla madre, poi a lei. Per esempio, se la figlia avesse detto di avere un “ritardo” lei già sapeva quale prova mettere in atto per sapere se la figlia era rmasta secca sotto la bbotta o no. Prendeva una cunella gravida poi, con una siringa, le iniettava un po’ di urina della figlia: se la coniglia moriva la donna era incinta. Perché gli anticorpi creati dalla ragazza in stato di gravidanza uccidevano quelli della bestiola che stinnìa subbeto le zambe. Allora era festa grande per la nascita di un bimbo e anche perché… si mangiava coniglio! La donna doveva stare attenta a fare i figli in quanto se fosse nato un maschio tutto andava bene ma alla terza femmina partorita lu vergà’ vecchju la chiamava e diceva a brutto muso: “Quesse fadiga poco e se porta via la dote! Che voli ruinà’ la famija?” Questo perché se non fossero nati figli o fossero nate solo femmine la colpa, per tradizione secolare, era sempre e solo della donna. Se un vecchio si fosse ammalato e si fosse molto indebolito, sfinito, la vergara s’improvvisava medico, era uno dei suoi compiti, e gli dava un bicchiere di vino cotto con dentro un rosso d’uovo: se lu vecchju non rimminìa co’ quello… c’era rmasto poco da faje. Quando i “signori” inventarono l’uso, per tenere in ordine i capelli, di mettersi di notte la retina sulla testa, la vergara, bbottata da lu fiju che per essere alla moda voleva comprare la retina, disse: “Immece de ‘sso zuzzo su la testa de notte te ce mitti un carzittu!” E lo scopo fu raggiunto senza spesa alcuna. Anche per la brillantina era stato trovato un surrogato casareccio per cui, invece di comprare la “Linetti” si prendeva un pizzico di grasso di maiale, ce sse stongava vène le mà’ e ppo’ se strofinava su li capiji, il risultato era lo stesso se non addirittura migliore! Una ultima virberìa. La novella coppia di sposi trascorreva la prima notte di nozze sul pajiaricciu, che era un materasso imbottito con foglie di granturco. Chiederete: “Ebbene?” Pensate al rumore del le foglie secche ai loro movimenti! Considerato che i muri divisori delle stanze erano fatti con canne intrecciate tutta la famiglia li avrebbe sentiti. Allora, prima del fatidico giorno, la nonna diceva alla nipote: “Cocca, vanne su la cammora e, arzènne li stracci che chiude li du’ vusci su lu latu lungu de lu pajiaricciu, dà’ l’acqua a lo grandurco!” In pratica le insegnava come fare per passare una notte senza rumori: doveva inumidire le foglie e la frase “dà’ l’acqua a lo grandurco” era divenuta un vero e proprio modo di dire. Per cui un ragazzo vista una bella joenòtta le diceva: “Quanto me piacirìa co’ tte a dà’ l’acqua a lu grandurco!” Al che la signorina importunata dallo spasimante, che a lei non andava a genio, rispondeva: “Non te sbatte tando che io, per te, de siguro, non darrò mai l’acqua a lo grandurco!” Insomma, la vergara rifinita era una donna sempre pronta a trovare la soluzione per ogni problema e a questo era stata addestrata sin da piccola da madre, nonna e dalle zie rmaste che spennazzava pe’ casa non avènne mai ttroàto un cingiu de maritu, l’avevano fatta crescere, insegnandole con il gioco a essere una Vergara co’ la vvu majuscola!

 

 

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