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Tratte da “Dicerie popolari marchigiane”

di Claudio Principi

cacciatore

 

Il tiro mancato

A una battuta di caccia alla lepre Gustì de lu Sguardatu portò con sé un figlio di 15 anni. E’ noto che i ragazzi per stanare la lepre sono utili quanto i cani, infatti cacciatori e battitori, con pochi cani, procedevano in un campo di maése ben distanziati e su una lunga fila e il caso volle che una lepre si levasse proprio tra i piedi del ragazzo. Poiché il cacciatore più vicino era il padre, toccò a questi sparare subito all’animale che, con salti disperati e zigzagando, se la filò. I due colpi della doppietta di Gustì erano andati a vuoto, il cacciatore spadellò completamente la preda e il ragazzo, emozionato, chiese: “O và’, con che j’hi tirato, co’ la rottevalle?” (O babbo, con che gli hai sparato, con la Rotweiler – famosa marca tedesca di cartucce) La risposta del genitore, che arrotava ancora i denti per la rabbia, fu: “J’agghjo tirato co’ la rottemadònne!”

 

Rientro dalla caccia

I grossi proprietari terrieri, che di solito vivevano di rendita agricola, non avevano occupazione fissa e potevano dedicarsi più di altri alla passione per la caccia. Sòr Paolo, un ricco agrario di Montolmo, nei mesi di apertura non perdeva occasione per darsi all’attività venatoria. Un giorno, solo e con la scusa di fare un sopralluogo a un podere, se la squagliò di casa nonostante la moglie, sòra Peppina, cercasse di trattenerlo ricordandogli che nel pomeriggio sarebbero venute in visita la moglie del pretore con la figlia maggiore, la moglie del notaio con una cognata, la moglie del loro amico avvocato e una professoressa delle Industriali ancora nubile per organizzare una iniziativa di beneficenza. Sòr Paolo disse alla moglie che quelle signore, pur rispettabili, gli erano antipatiche per cui lo imbarazzavano e che lei se la sarebbe cavata benissimo da sola. Bardato, armato, dato un fischio al cane, sòr Paolo partì e rientrò a casa sull’imbrunire dopo una cacciata a campo aperto, resa faticosa dal terreno reso pesante da una recente pioggia. Era stanco e stranito, appese il fucile, si tolse di dosso il carniere, la cartucciera, stava per liberarsi del giubbone alla cacciatora quando sòra Peppina, che stava ancora con le sue ospiti in salotto, chiese a voce alta: “Sei tu Paolino? Come è andata la caccia? Hai riportato almeno dei tordi da arrostire per la cena?” E sòr Paolo, o perché completamente dimentico della riunione in casa sua delle benefattrici, o perché credeva che l’adunanza a quell’ora si fosse già conclusa, a voce sempre alta e con aria scocciata rispose alla moglie: “Làsseme pèrde’, per la madonna! Non ze ttròa più ccosa, e s’agghjo vuluto vedé’ un céllu, unu che ‘dè unu, àgghjo duvuto fa’ ‘na pisciata per vedéllu!” (Lasciami perdere, per la madonna! Non si trova più niente e se ho voluto vedere un uccello, uno che è uno, ho dovuto pisciare per vederlo!).

 

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