La storia di Macerata a piccole dosi, XXVI puntata

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Liberamente tratta da

“Storia di Macerata”,

origini e vicende politiche

di Adversi, Cecchi, Paci

 

 

Sottomessi al papato

 

Calo vistoso della importanza di Macerata

Il XVI secolo fu caratterizzato da una intensa vita politica mentre, al contrario, il successivo fu di completa inazione e di totale sottomissione al papato. Roma aveva avocato a sé la direzione politica e amministrativa di tutti i Comuni dello stato pontificio e, di conseguenza, l’importanza politica di Macerata precipitò in poco tempo.

 

Le perdite

La legazione della Marca perdette il Presidato, poi Jesi, San Severino e Fabriano che avevano ottenuto governi propri. In seguito perse anche l’importante centro di Loreto, Amandola, Appignano, Apiro, Belforte, Cingoli, Morrovalle, Osimo, Penna San Giovanni, Recanati, Sant’Elpidio, Castelfidardo, Caldarola, Corinaldo, Montalboddo, Montevecchio, Montesanto, Montenovo, Montecchio, Montecassiano, Filottrano, Montolmo, Montemarciano, Montefano, Montegiorgio, Montegranaro, Montelupone, Montemilone, Monte San Pietrangeli, Sarnano, San Ginesio, Monte San Giusto, Serra de’ Conti, Serra San Quirico, Staffolo, Tolentino, Urbisaglia e Rocca Contrada.

 

Dopo le perdite, la beffa

Come seguito alle perdite giurisdizionali accadde che i cardinali nominati dai pontefici rinunciarono a venire come Legati a Macerata. Il nipote di Papa Urbano VIII, Antonio Barberini, rifiutò preferendo la nuova legazione di Urbino, anche Teodoro Trivulzio rinunciò alla Marca a favore della Romagna. In pratica la legazione non aveva più ragione di essere, così come era stata smembrata, e pure Lorenzo Imperiali declinò l’invito.

 

Conseguenza? Spopolamento

Nei primi decenni del 600 Macerata subì un forte spopolamento passando dai circa 14mila abitanti agli 8.172 del 1644, risaliti nel 1656 ad appena 8.839 senza tenere nel conto i bambini sotto i tre anni. Si estinsero numerose famiglie nobili, sembra 52, e questo favorì l’entrata nell’amministrazione della città di soggetti meno legati a Macerata e più manovrabili dal governo centrale.

 

Le aggregazioni imposte

Le aggregazioni alla nobiltà maceratese furono spesso imposte dai Governatori o addirittura dalla Santa Sede. Neanche i cardinali nipoti disdegnavano pesanti interventi come quelli del cardinal Ludovisi a favore di Nicolò Piissimi, Benedetto Alaleona e Giulio Antonelli. Nè furono esenti i Barberini che vollero Consigliere un loro cortigiano, Francesco Morentilli e, in seguito, Lelio Piissimi, un Censi e Giulio Cesare Conventati. E altri…

 

Prepotenti intromissioni

Nel 1635 i Consiglieri dovettero ammettere in Consiglio Mario Galeotti obbligati dal Governatore che li fece votare contro ogni diritto e nel 1645 il Governatore esamigli onori riservati ai Legati e voleva la facoltà di sostituire i Gonfalonieri. Non bastando Cardinali e Governatori perfino i Vescovi interferivano nella vita amministrativa, arrivando a imporre la nomina di dottori al collegio di filosofia e teologia, diritto che invece sarebbe spettato al Consiglio di Credenza. Il vescovo Centini pretese perfino l’obbligo dei Priori di assistere ai suoi pontificali.

 

Tentativi di opposizione repressi

Quando i Governatori giunsero a imporre l’aggregazione dei loro familiari alla nobiltà maceratese senza nemmeno pagare la “regalia” usuale iniziarono timide opposizioni. Nel 1610 il Governatore, per volontà di Roma, volle immettere in Consiglio Francesco Filippucci ma essendo ormai palese la protesta dei maceratesi inviò in Consiglio il suo luogotenente con i suoi armati, affinché sbarrasse le porte dell’aula consiliare e dicendo ipocritamente: “Acciò la gente non esca e non per violentare le volontà dei Consiglieri, le quali si lasciano libere a tutti”. La questione finì dai Barberini e il cardinale Antonio scrisse al Governatore per sapere “chi particolarmente siano stati, da un tal Rotella (Erennio Rotelli) in poi quelli che habbiano ardito di contradire ad una lettera scritta dal cardinal Onofrio”. Allora il Governatore volle che si facesse una votazione palese, ottenendo dai 26 Consiglieri “l’istessa canzone”, vale a dire obbedienza assoluta ai voleri romani. Erennio Rotelli, invece, come forma di protesta, praticò l’astensione.

 

La supplica alla Santa Sede

Giunti a questo punto i Consiglieri inviarono a Roma una richiesta “supplichiamo i padroni di Roma a lasciare la città nella libertà di ammettere ai gradi pubblici qualunque soggetto per non esserle restata altra giurisdizione che questa”. Ma Roma continuò imperterrita a ordinare immissioni di loro devoti, approfittando anche del disinteresse dei nobili maceratesi per l’amministrazione cittadina. Infatti i membri partecipanti al Consiglio di Riformanza diminuirono continuamente mentre le riunioni del Consiglio di Credenza arrivarono ad avere un numero così minimo di partecipanti che il Governatore dovette decidere di renderle valide anche con sole 23 presenze. Lo stesso accadde con il Consiglio Generale dove le presenze minime da 60 furono fatte scendere a 50.

 

Macerata avvolta da uno stato di torpore

La città cadde in un profondo stato di torpore e partecipò passivamente alle vicende politiche dello stato romano che si trovava anch’esso in una fase di decadenza. Iniziò di nuovo a manifestarsi il banditismo.

 

I banditi alla Cimarella

Nel 1605 i banditi assediarono il piccolo abitato della Cimarella e se ne impadronirono. Solo nel 1607 il vicelegato Serbelloni con armati di Recanati, Montefano, Montecassiano, Osimo, Appignano, Cingoli, Montolmo e Montemilone li assalì, chiedendo anche l’aiuto di Macerata poiché i banditi erano migliaia.

continua

 

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