La storia di Macerata a piccole dosi, XXIX puntata

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Liberamente tratta da “Storia di Macerata”,

origini e vicende politiche di Adversi, Cecchi, Paci

 

Napoleone a Macerata

 

Giungono 10mila soldati francesi

L’antica nobiltà maceratese in città aveva ancora il suo peso e questo traspare dall’organico dell’appena costituita Guardia Civica: sia il comandante Giacomo Panici che i capitani e i tenenti appartenevano al ceto nobile, gli alfieri alla borghesia mentre i sergenti esercitavano l’artigianato. Erano momenti febbrili e il 10 febbraio, a mezzodì, giunsero 10mila francesi al comando del generale Lannes e Monsignor Vescovo in abito prelatizio assieme con i Deputati andò fino alle Due Fonti per inchinar lo stesso comandante che si fermò in casa Pallotta (albergo Grand’Italia fino a pochi anni fa).

 

Arriva Napoleone Bonaparte e dà subito ordini tassativi

Alle ore 16 del 14 febbraio giunse a Macerata Napoleone Bonaparte che prese alloggio in Palazzo Torri. Ordinò che la città fosse governata da una “Municipalità” formata da 9 membri: Giuseppe Graziani, Giulio Conventati, Giovanni Lauri, Luigi Buratti, Giuseppe Montecchiari, Pantaleone Pantaleoni, Catervo Castellani, Leonardo Filippucci e Giovanni Pennacchietti. Fece costituire una Guardia Civica di 100 uomini comandata da un capitano, un tenente e un sottotenente agli ordini della stessa Municipalità. Napoleone trovò ottimo il comportamento dei maceratesi tanto da dire: “Sono soddisfatto della condotta e dello spirito di fraternità col quale i diversi popoli della provincia di Macerata hanno accolto l’armata francese” e da fare la città sede di “una Amministrazione centrale composta da 15 membri scelti fra le persone più distinte per loro lume e per loro credito nella provincia”.

 

Aria di rivolta

Pur tuttavia ordinò il disarmo di tutti i cittadini e la requisizione degli argenti superstiti alla raccolta effettuata nel 1796, fatti che generarono un vivo malcontento, tanto che i campagnoli, per non finire disarmati, uccisero alcuni soldati francesi. Addirittura alcuni contadini di Montolmo (oggi Corridonia) per riavere le loro armi assalirono Palazzo Pallotta, pugnalarono le guardie e perfino il comandante Merlet che, per le ferite subite, morì di lì a poco. Il tumulto fu sedato dal generale Dessolle con l’aiuto del generale Rusca, accorso da Ancona. Fu ordinato il coprifuoco, venne posta una taglia di 50 scudi sull’autore dell’attentato, furono requisite le armi e si proibì al Consiglio di assumere decisioni senza il consenso del generale Rusca.

 

Il trattato di Tolentino e le sue conseguenze

Secondo il trattato di Tolentino la provincia di Macerata doveva essere abbandonata dai francesi previo pagamento da parte dello Stato Pontificio di 15 milioni di lire tornesi. A questo punto gl’invasori si preoccuparono di spillare quanto possibile ai maceratesi; richiesero alla provincia una fornitura per i loro soldati di 1000 uniformi, 1000 corpetti, 1000 paia di calzoni, 2000 paia di stivaletti, 2000 paia di scarpe e 2000 camice. Era una richiesta molto forte per una zona stremata e un Consigliere municipalista esclamò: “Si spera che ogni cittadino si leverà di dosso la sua camicia!” Insensibili e ingordi i francesi chiesero anche 2000 rubbie di grano. Il Comune, impossibilitato a esaudire la richiesta, esortò i cittadini a fare offerte spontanee.

 

Si cerca di tergiversare

La Municipalità scrisse, invano, alla Segreteria di Stato del Papa facendo presente l’impossibilità di aderire a quelle pressanti richieste. Il generale Rusca sollecitò l’invio delle uniformi richieste e i maceratesi interessarono alla loro vicenda il Delegato apostolico Monsignor Gianfrancesco Arrigoni affinché insieme con i Comuni di Fermo, Ascoli e Montalto li aiutasse. Così fu: l’Arrigoni cercò di ottenere dai francesi una diminuzione della richiesta e si recò a Pesaro per trovare i tessuti necessari. Intanto Macerata riusciva a raccogliere 273 camicie e ordinava ai mercanti di consegnare le loro giacenze di panno blu.

 

I francesi sgombrano

Il 21 marzo arrivarono da Roma 400 soldati francesi con 40 carri sui quali trasportavano 2 milioni fra oro, argento e oggetti preziosi. Costoro ripartirono il 27 mentre tutti gli altri lasciarono sgombra Macerata entro il giorno 31. Partiti i francesi finì la repubblica a Macerata e i municipalisti deposero l’autorità conferita da Napoleone Bonaparte nelle mani di Monsignor Gianfrancesco Arrigoni. Costui riconobbe ai maceratesi di avere agito in modo prudente e lodevole “riconoscendo essersi fatto il tutto per il pubblico bene e per il buon servigio dell’armata francese”.

 

Riecco il Gonfaloniere e i Priori

A questo punto furono nominati il Gonfaloniere e i Priori nelle persone del Conte Camillo Compagnoni-Marefoschi, Nicola Claudiani e Benedetto Costa, tutte persone che erano state attente a non compromettersi con i francesi. Fece ritorno a Macerata, in qualità di Delegato apostolico, Monsignor Arezzo che a suo tempo aveva abbandonato il governo della provincia, accolto “con poco plauso dei paesi”.

continua

 

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