La storia di Macerata a piccole dosi, XXXI puntata

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Liberamente tratta da “Storia di Macerata”,

origini e vicende politiche di Adversi,

Cecchi, PaciIl “sacco di Macerata”

 

 

Una prima insorgenza

Quando il 24 novembre 1798 il re Ferdinando IV di Na-poli dichiarò guerra alla Francia nelle Marche si formarono gruppi d’insorgenti, a Macerata si posero a capo del movimento antifrancese Giovanni Vanni da Caldarola, e Gentili e Marsili di Camerino. Contro questi insorgenti giunsero in città tre battaglioni di Cacciatori che si unirono alle truppe presidianti Macerata comandate dai generali Rusca e Casabianca che, il giorno 28, sconfissero i napoletani al Porto di Fermo. Questa prima rivolta parve stroncata tanto che, pochi mesi dopo, il generale Cambray ordinava di liberare i prigionieri.

 

La rivolta continua

Così non era e ci furono sommosse ovunque: a Mogliano, nell’ascolano, a Monte San Giusto, a Fabriano, a Osimo, a Recanati, ad Apiro e a Loreto. Negli ultimi di maggio 1799 il Pontavice inviò una colonna di armati verso Serravalle per bloccare gl’insorgenti ma a Caldarola questa fu dispersa da Giuseppe Vanni. In giugno ci fu un duro scontro tra Caldarola e Belforte con i francesi che tornarono a Macerata vergognosamente sconfitti, mentre gl’insorti occupavano Tolentino e Montemilone (Pollenza) dove il Pontavice subì una ennesima disfatta.

 

I francesi lasciano Macerata

Da Ancona il generale Monnier non inviò al Pontavice gli aiuti richiesti per cui costui si vide costretto, il 13 giugno, alle ore 23, a lasciare Macerata che “restò libera affatto dalle truppe francesi e legionarie romane e priva affatto di ogni sorta di arme da fuoco”. Poche ore dopo giunsero gl’insorgenti guidati da Michele Sileoni che incendiarono l’albero della libertà insieme con le bandiere francesi e saccheggiarono la sede dell’amministrazione centrale nonché i magazzini militari. Intanto i francesi stavano rioccupando Castelfidardo, Loreto e Recanati per cui la città fu posta in stato di difesa: il 25 giugno, a un primo allarme, si contarono 8.000 difensori.

 

L’eroismo de li casettà

Il giorno 27 le truppe francesi puntarono su Macerata e alle 20:30 giunsero al Porton Pio (oggi imbocco di corso Cavour da piazza Vittoria), contrastati dal fuoco di un unico cannone che, comunque, li costrinse a ripiegare sul colle di Santa Croce. Da lassù cominciarono a cannoneggiare la città ma gli abitanti di borgo San Giovanni Battista (oggi corso Cairoli e comunemente denominato le Casette), passando per la strada “dell’acqua dolce” e armati alla bell’e meglio, raggiunsero alle spalle i francesi che, credendo di essere stati attaccati dagli insorgenti di Tolentino, quindi ritenendosi presi tra due fuochi, abbandonarono a precipizio la postazione portandosi via l’artiglieria. Ci fu un altro scontro presso le rovine di Helvia Recina che indusse gl’invasori a ritirarsi ulteriormente verso Recanati. In questi fatti d’arme morirono due insorgenti e 50 francesi.

 

I francesi ci riprovano

Fu subito rimessa in sesto porta Romana rovinata dal cannoneggiamento e rinforzata da una trincea, mentre si chiudevano con terrapieni le porte di San Domenico (porta Montana), del Domo, di San Giorgio e delle Monachette (oggi dimenticata sotto il mercato coperto). Già il 27 giugno, alle ore 13, i francesi erano a Montanello e alle 18 sul colle di Santa Croce, preso dopo aspra battaglia. L’1 luglio iniziò il cannoneggiamento e un tentativo, fallito, di presa del Porton Pio e di porta San Domenico. Verso le ore 13 un contrattacco guidato dal Vanni ebbe successo e mise in fuga i francesi.

 

Il terzo attacco

La città non aveva tregua perché il 3 luglio le truppe nemiche avanzavano in due direttrici: dalla parte di Montelupone e lungo la Flaminia. Giovanni Vanni inviò presidi a Santa Croce, al Porton Pio, al convento degli Osservanti e ai fortini di Porta Romana e Porta Mercato. Alle ore 19 in un combattimento presso il Porton Pio i francesi persero quasi completamente una compagnia di granatieri ma riuscirono a conquistare lo strategico colle di Santa Croce, da dove il giorno 5 iniziò l’ennesimo cannoneggiamento, in attesa dell’arrivo del generale Monnier forte di 2000 uomini, tra cui molti anconetani. Intanto soldati francesi tentarono d’impadronirsi del colle dei Cappuccini (oggi Ospedale Civile) ma, buon per Macerata, mentre stavano per compiere l’operazione, furono attaccati da 1000 insorgenti giunti in soccorso da Fermo che li costrinsero a sgombrare e s’insediarono in città portando con sé due cannoni di rinforzo.

 

L’assalto finale

Intanto i francesi avevano piazzato due cannoni a ovest della città, nell’aia di casa Barbi e demolito un muro dell’orto dei Missionaari, iniziarono a bombardare il fortino di Porta Romana che, lentamente, fu distrutto. A questo punto raddoppiarono l’intensità di fuoco poi inviarono “un corriere a cavallo con bandiera bianca per trattare la capitolazione, ma appena questo si fu alla metà dello stradone di Porta Romana (oggi corso Cavour) che rimase ucciso dalla guardia della trinciera; altro pure ne spedirono che pure rimase estinto”. Il fatto rese ancora più crudeli i francesi che divisero le truppe in più gruppi d’assalto, attaccando contemporaneamente dal vicolo della Vetreria (oggi via IV Novembre), da Santa Maria Stella (oggi via Mameli), dai Cincinelli (oggi via Gigli), dai Cappuccini Vecchi (oggi Santo Stefano) e da Borgo San Giuliano. In città si era sparsa la voce che i francesi avevano sfondato le difese per cui molti si dettero alla fuga, compreso il Vanni che si ritirò scappando da Porta Mercato, trascinandosi dietro il cannone a miccia accesa e prendendo la strada per Montolmo (oggi Corridonia). I francesi, visto che era cessata ogni resistenza, dettero l’assalto finale e alle ore 12 s’impadronirono di Macerata alla quale inflissero un inaudito saccheggio, uccidendo anche 363 cittadini.

continua

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