Macerata de li vrugnulù

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Quella strana somiglianza

 panoramica macerata

Dei miei 73 una buona parte ne ho passati in compagnia dei miei “cari amici” libri, per l’immenso piacere di leggere ma anche per fare delle ricerche, nelle biblioteche, per documentare e arricchire ciò che stavo scrivendo e per far dimagrire un po’ la mia grassa ignoranza. In una di queste mie frequentazioni, sfogliando un libro che mi aveva incuriosito perché erano poesie in dialetto di Domenico Spadoni, mi sono trovato davanti a una singolarità. Molti maceratesi, soprattutto i meno giovani, conoscono la famosa poesia di Mario Affede “Lu paese mia” (Macerata de li vrugnulù), che lui scrisse il 26 settembre 1938, ebbene, in quella occasione ho trovato nel libro dello Spadoni, che di Mario Affede era il cugino, un sonetto intitolato “Macerata de li vrugnulù” datato 1903. Ora non sono in grado di dire se Mario avesse “copiato” dal cugino ma la similitudine tra i due scritti è sorprendente. Dopo aver letto le due poesie, che dire? I due erano cugini, legati dalla stessa passione per la poesia dialettale, quindi è quasi sicuro che Mario aveva letto la poesia di Domenico. Il testo l’ha solleticato e lui, seguendo l’idea ha rielaborato la poesia usando la sua sensibilità e la sua straordinaria tecnica. L’unica cosa certa è che, senza nulla togliere a Spadoni più lontano nel tempo e quindi con un linguaggio più arcaico, la poesia di Mario Affede è un capolavoro di metrica e di musicalità. L’ironia sui maceratesi, che essendo  gli abitanti del capoluogo di provincia si sentivano superiori e quindi erano un po’ sbruffoncelli, c’è in tutti e due i componimenti ma Mario la esalta rendendola veramente e poeticamente efficace. E’ storico che nei dintorni della città si coltivavano alberi di prugne che davano frutti veramente grossi ma che… co’ ‘n ossu di tale frutto e per di più… mezzanellu, di media grandezza, ci si potessero fare un confessionale, quattro seggiole e una grossa credenza era solo un gioco di fantasia di Mario Affede che, pigiando sull’acceleratore della satira, ha superato le “ffaole” di Domenico Spadoni!

Cesare Angeletti

 

 

Macerata de li vrugnulù


di Domenico Spadoni, 1903

 



Che Macerata adè de mèle e che


chi se n’è ghitu presto ha da rtornà


s’è ditto sempre e adè la veretà.


Forsce chiduno me dirà  gnacchè!


 

Me vurli? Sindi: ‘n quant’à lo magnà


se spenne poco e se sta murto vè


c’è  aria vona e le fijie purassà


ssi studenti lo sa se ccomme adè.

 



E se tu jiri pe li paesi


ecco tunno sintirai raccontà


le vraure de li maceratesi.



 

Cò un ossu de vrugna (ma adè ffaole)


na orda ce segò un coffessionà


e forsce ancò  je ce rmanì le taole.


 

 

Lu paese mia!


(Macerata de li vrugnulù)
di Mario Affede, 1938

 



Macerata, che nome che slargata


de core a numinalla. Su la vocca


te pare dorge a dilla: te travocca


la pasciò dall’anema veata!



 

Macerata città più recercata


de Londra e de Parigi, è tanta cocca;


e la jente che rriga o che ce bbocca


se troa più che contenta e ccommedata!

 



Anza, tant’anni fa ce staì un tale,


che, cò un ossu de vrugna mezzanella


ce porze mette su un confessionale!



 

E fo tar quale


Che, cò lo ligno che je ce vvanzò,


ce fece quattro sedie e un credenzò!


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