PIAZZA NAZARIO SAURO

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Tratto da Macerata tra storia e storie

di Fernando Pallocchini

 

Piazza Nazario Sauro
Piazza Nazario Sauro

Piazza Nazario Sauro, già dell’Orto Botanico, è un punto di confluenza del traffico cittadino dove sboccano corso Cairoli, via Maffeo Pantaleoni, viale Trieste nonché chi passa per Porta Mercato ed è qui che è stata realizzata la prima rotatoria cittadina. Sulla piazza si affacciano sia lo Sferisterio che l’Universo di Peschi, due monumenti talmente conosciuti che li lasciamo a fare da spettatori e volgiamo lo sguardo dalla parte opposta, di fianco a “lu caffè de lu Ricciu”. Qui, un’apertura conduce nel cortile interno dell’ edificio: questo era il luogo dove nel 1829 si iniziò a realizzare un Orto Botanico. Artefice dell’iniziativa fu il barone maceratese Filippo Narducci Boccaccio, un naturalista insegnante di botanica all’Università e che già nel 1822 aveva ideato un orto botanico presso la facoltà di medicina. Vicino Porta Mercato sorgeva l’antica chiesa di San Lorenzo, il Comune la acquisì e l’area venne organizzata dagli ingegneri Benedettelli e Innocenzi, inglobando anche casa Barabullini. Nel 1834 tutto fu pronto e il barone dette sfogo alla sua passione piantando arbusti esotici e piante officinali, con la collaborazione di esperti come il Santarelli, il Bruti-Liberati, il Sisti. Nel 1862 il governo soppresse la facoltà di medicina, il Narducci si dimise da insegnante e l’orto botanico decadde. Nel 1876 era aperto ai “casettari”, ci fu realizzato un pozzo pubblico, dell’avventura “vegetale” restò il ricordo e, per breve tempo, il toponimo. Il birraio Cesare Marchetti, nel 1894, vi impiantò i suoi macchinari e un “Cafè chantant” con relativi spettacoli. Durò un paio di anni e al suo posto sorse un ricreatorio, almeno fino al 1900 quando Biagio Micozzi-Ferri e Angelo Torresi installarono qui una centralina di trasformazione elettrica per una fabbrica di ghiaccio, un mulino per macinare il grano e una segheria. Nonostante le molteplici attività c’era energia in più da darne alla birreria Ferramondi, alla Unione Cattolica Tipografica, alle filande del vicino Pannelli e a una vetreria. Questa impresa fu assorbita dall’Azienda Elettrica Municipale, al suo posto si insediò il calzaturificio Roccetti poi, nel 1922, la fabbrica di letti in ferro del Benaducci.

Piazza Nazario Sauro, la scultura di Peschi e lo Sferisterio
Piazza Nazario Sauro, la scultura di Peschi e lo Sferisterio

Ulteriori trasformazioni in garages e dell’Orto Botanico nessuno si ricordò più. Sulla piazza c’è un bar gestito per anni da “Sesto lu Ricciu”, personaggio assai svelto di lingua, a volte troppo. Aveva per cliente una signora graziosa ed elegante che, puntuale, ogni giorno ordinava con voce esile: “Un caffè ristretto, per favore.” e Sesto diventava subito gentile, premuroso e preparava il caffè sorridendo. Una mattina il suo dirimpettaio “Guido Vorghini”, mentre “lu Ricciu” aveva la visuale ingombra dalla macchina del caffè, fece, con voce sottile: “Un caffè ristretto, per favore…” e Sesto: “Subito signora… il caffè è pronto!” e presentò la tazzina fumante con un bel sorriso. Vedendo la faccia di Guido si sentì preso in giro, vomitò imprecazioni da rannuvolare il cielo e si rifugiò dietro la macchina espressa. Poco dopo giunse davvero la bella signora: “Un caffè ristretto, per favore.” Pensò Sesto: “Una volta sì ma due no!” e, senza guardare chi fosse, gridò: “Un gorbu a te e a tutti ‘lli curnuti dell’amici tua!” La signora fuggì scandalizzata lasciando Sesto nello sconforto più totale. A un tipo come lui bastava poco per far partire una battutaccia, chiunque fosse l’avventore. Una mattina un cliente in vena di frasi poetiche disse: “Vorrei un caffè nero come una notte senza luna, bollente come la passione di un innamorato e dolce come una notte d’amore!” Sesto lu Ricciu, senza manco guardarlo in volto ribattè: “E per tazza ce metterò la… callara de zìta!” Questo singolare barman non sopportava chi ordinava troppo rapidamente quindi, quando un signore, entrando nel bar di fretta, lo apostrofò: “Mi faccia tre tè!” lui, uscì da dietro il bancone, con calma lo guardò poi, facendo il gesto dell’ombrello e stantuffando veloce con il braccio piegato e il pugno chiuso, esclamò: “Tè… tè… e ttè!”

continua

 

foto di Cinzia Zanconi

 

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