QUANDO A MACERATA C’ERA L’AUTODROMO

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Sì, a Macerata, per un certo tempo c’è stato un autodromo sul quale correvano moto e macchine. Quelli meno giovani, come me, se lo ricordano sicuramente. La partenza e l’arrivo erano a metà di via Roma, dove c’è stato per tanto tempo l’ufficio dell’ Aci. I piloti partivano andando verso il Momento ai Caduti e lì svoltavano a sinistra andando in salita sino alla chiesa di Santa Croce, ancora curva a sinistra e scendevano fino a tornare a Via Roma, che veniva percorsa andando a nord per tornare verso l’arrivo. Le auto da corsa compivano tre giri, anche se la gara con le auto, mi pare, fu una volta sola. Invece per le moto i giri da inanellare erano in base alla cilindrata. Quello che infiammava i maceratesi erano le corse con le moto nel momento in cui partecipavano i componenti della famiglia Moretti. Tutti grandi campioni, a cominciare da Mario che fu anche co-costruttore di una moto Moretti, da gara naturalmente, e poi i figli. Giovannino diventò, dopo varie vittorie, pilota ufficiale della Squadra Moto Guzzi e la stampa, per la sua piccola stazza, lo battezzò Joannì. Era bravissimo a girare nelle curve, affrontandole a velocità che per altri erano proibitive. Motivo per cui a Macerata era stato ribattezzato “Moretti in curva”! Poi morì tragicamente a Monza dove era stato protagonista di tante gare. Anche il fratello fu un gran bel pilota e poi, in anni più recenti e per un breve periodo, salì in sella anche la sorella Lidia, poi dedita interamente al negozio. I maceratesi, alla loro morte, vollero rendere loro omaggio e, con una colletta alla quale parteciparono tutti i cittadini, fecero erigere la tomba con una pista che sorregge le bare dei campioni e che è vicina all’ingresso principale del cimitero. Noi ragazzi, quando correvano i Moretti, impazzivamo per fare tifo e quelle giornate sono rimaste nel nostro cuore. Poi queste gare maceratesi furono sospese perché non c’erano i margini di sicurezza, soprattutto per il pubblico. Noi, però, abbiamo ancora nella mente quando, ogni volta che tornavamo a casa, dovevamo esprimerci a gesti perché urlando con tutta l’anima incitamenti ai Moretti… avevamo perso completamente la voce


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