Ci volete aiutare? Venite a vedere i “tesori nascosti”, i nostri capolavori!

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In Sardegna si trovano sorprendenti chiese romaniche bianconere che nemmeno in Toscana (come quella della foto -grazie Wikipedia per la foto-, la basilica di Saccargia). In tanti, a quei tempi, chiamati dai priori dei conventi, attraversarono il Tirreno per andare a lavorare sull’Isola, e la Toscana stava pure allora lì di fronte.

Perché nel medioevo ci si muoveva, eccome se ci si muoveva! Tanto che anche un pittore nato a San Severino, paese oggi noto alle orecchie degli italiani sì e no per questioni da terremotati, ma che fu nel ‘400 una delle sedi più importanti per lo sviluppo del gotico internazionale marchigiano (che a dirla così, la definizione, oggi sembra un ossimoro), mostra di aver studiato i pittori dell’Emilia e della Lombardia, e Crivelli, e la pittura del nord. E la fama del pittore, Lorenzo Salimbeni da San Severino, valica le montagne e arriva nella raffinatissima Urbino, dove gli commissionano il ciclo dell’Oratorio di San Giovanni Battista (1). E quindi non ci sarebbe mica niente di strano se l’opera più preziosa dei Salimbeni, una pala d’altare che raffigura le nozze mistiche di Santa Caterina, e che di strabiliante ha i colori fluo, è partita alla volta di Urbino.

L’occasione è la mostra “Le Marche per le Marche”, voluta da Vittorio Sgarbi con l’intento di mettere in evidenza il patrimonio artistico regionale bla bla bla, un euro sarà devoluto per il restauro delle opere danneggiate dal terremoto bla bla bla.

Nota: comunque grazie a Sgarbi, già sindaco settempedano, perché gli si deve il merito di avere in passato gettato luce sul nostro patrimonio, in questo ben appoggiato dal governo regionale.

Un momento: quindi il Salimbeni se n’è andato a Urbino perché la pinacoteca da cui MAI è uscito, nonostante le richieste, è inagibile? No. La pinacoteca Tacchi-Venturi non ha subìto il minimo danno, come la maggior parte del centro storico, del resto. A San Severino tanti sono i palazzi inagibili, tanti sono i crolli visibili se solo si fa un giro in macchina nella zona nuova. Tante sono le roulotte parcheggiate nei piazzali dell’ospedale, come dappertutto in questi paesi. Ma il terremoto ha risparmiato la parte vecchia, e la rocca. Si passeggia per le strette vie del centro, che odorano di camino, ma non si vede alcuno. La porta della pinacoteca è chiusa, ma un cartello scritto a mano dice: “Suonare”. Tu suoni e un custode gentile apre lo scrigno delle meraviglie. In ambienti bellissimi, caldi, restaurati di fresco e accessibili anche a persone ipovedenti, cieche e sorde, ti si spalanca lo stupore della pittura marchigiana del ‘400 e del ‘500, e persino un bel Crivelli, e un Pinturicchio.

Sei da sola a goderti il privilegio, e ti chiedi perché (era inverno, ma non erano certo i giorni del nevone). Il custode conferma che dal terremoto le visite si sono praticamente azzerate. Gli chiedi del Salimbeni prestato a Urbino, e dice che in fondo va bene così, che è meglio che se ne parli anche fuori di qua, delle cose belle che abbiamo. Sarà. Però noi sappiamo che chi ci guadagna, dalle mostre, è l’indotto, e finché la gente non torna a vedere le opere d’arte lì dove furono create i conti non torneranno mai in pari. E non ha proprio senso spostare un dipinto da una sede aperta e perfettamente agibile in tutte le sue parti. Volete dare davvero una mano? Tornate da noi, venite a vedere i paesi e i capolavori nascosti nei piccoli musei di provincia, andate a pranzo, prendetevi un caffè nel bar della piazza, e fatela rivivere.  (nota (1) https://www.youtube.com/watch?v=Ek_uRX1HbDo)

Lidia Massari

31 gennaio 2018  

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