Storia dell’Abbadia di Fiastra: dai Gesuiti alla famiglia Bandini

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La Compagnia di Gesù fu soppressa nello Stato Pontificio nel 1773, a seguito di ciò il patrimonio dell’abbadia di Fiastra fu inventariato e acquisito in enfiteusi perpetua dal marchese Alessandro Bandini Collaterali nel 1774, il contratto comprendeva la badia di S.M. in Selva e Sarrocciano, con terreni estesi nei territori di Tolentino, Urbisaglia, Loro Piceno, Montolmo, Montecchio e Montemilone, con case rurali, chiese, palombare, stalle, un mulino sul Chienti,  fornaci.

 

Alessandro Bandini saggio amministratore

Alessandro amministrò saggiamente le tenute che vennero rivalutate con bonifiche, dissodamenti, fortificazioni, restauri e nuove costruzioni. Essendo membro dell’Accademia Georgica di Treia, abbracciò le nuove idee sulle tecniche agricole, sperimentate per migliorare la rendita e la produttività. Introdusse la produzione della seta e del tabacco. Una particolarità: tra le case coloniche sia vecchie che di nuova costruzione, alla fine del 1700 solo una era un “atterrato” cioè fatta di terra e paglia, le altre tutte di mattoni prodotti nella fornace dell’azienda agricola, segno di attenzione per le condizioni di vita e di lavoro dei coloni, che nel 1820 si dividevano in 21 numerose famiglie, per complessive 400 persone incluso il cappellano, muratori, veterinario, giardiniere, molinaro, fattori, ministri, osti.

 

Una famiglia numerosa: 30 persone!

La famiglia più numerosa risultava essere quella del colono della Rancia, Pacifico Porfiri, composta da 30 persone compreso un garzone. Nei tabulati dei censimenti si parla anche di “vergari”, le figure di antica tradizione, i capifamiglia che apponendo una croce sui contratti di colonìa impegnavano se stessi e tutti i membri della famiglia a rispettarne le clausole. Nel 1948 le colonìe erano 84, ogni appezzamento dotato di casa colonica.

 

La situazione oggi

Oggi la Fondazione creata dal duca Sigismondo, di cui ricorre il centenario della morte, è proprietaria di 84 case coloniche e 1800 ettari, di cui 400 coltivati direttamente dalla Fondazione tramite salariati, il resto affidato ai coloni in contratti agrari, in diminuzione a partire dagli anni 60: nel 1918 c’erano 64 famiglie coloniche per un totale di 870 persone, nel 1942 troviamo 72 famiglie con 947 persone ma l’esodo dalle campagne ha ridotto i coloni a 95 nel 2012. La conseguenza dell’abbandono delle case rurali è stata il loro deterioramento, un problema che finora è stato affrontato risanandone solo 15: per le rimanenti c’è un progetto di restauro e utilizzo del 2013 in attesa di realizzazione, ma mancano le risorse. La priorità sarà per quegli edifici più antichi e significativi, testimoni sia della civiltà agraria che sta sparendo che della presenza e dell’operato dei gesuiti e dei cistercensi, i quali sono tornati stabilmente nell’antica abbazia nel 1985.

 

Chi erano i coloni?

Da uno scritto di Monaldo Leopardi, gli agricoltori erano “indigeni” e inizialmente abitavano in villaggi e piccoli borghi, finché tra il 1400 e 1500 giunsero dai Balcani numerose famiglie in cerca di fortuna, le quali ottennero in enfiteusi piccoli fondi da coltivare e vi si stanziarono, inducendo nel tempo anche gli indigeni a stabilirsi nelle campagne, ecco il motivo per cui si riscontra la presenza di molte case per le campagne marchigiane. Questo condusse però all’abbandono e alla distruzione dei villaggi e dei borghi. Molti dei coloni dell’abbadia di Fiastra discendevano da queste famiglie di Albanesi e Schiavoni, come ancora oggi testimoniano i cognomi diffusi nel maceratese come nel resto delle Marche: Schiavi, Schiavoni, Albanesi, Albanese, Mori, Moretti, Moriconi, Morini, Morettini, Morichetti e simili. Dagli inventari risultano date e nomi dei coloni, il cui cognome spesso è affiancato dai soprannomi, che identificano più chiaramente le persone, eccone alcuni: Panzò, Miracolo, Tarpà, Scilió, Paccià, Pedecó, Babbaccio, Caterbittu, Formica, Criolà, Murittu, Paniccione, Legafascio, Grillu, Parise, Lu Fieru, Bruscó, Amante, Piantatà, Lu Ricciu, Carmine, Piccarì, Lu Steru, Spaterna, Pataccò, Piuicceca, Zampettó, Bruscó.

 

Le dimore

Alcune avevano origini diverse, adattate o ricostruite su edifici più antichi trasformati in case coloniche, quali:

Colonìa 4 Canalecchio, dall’omonimo piccolo castello sito sul margine orientale delle colline di Villamagna, ora c’è la casa colonica. Colonìa 16 Castelletta, detta “della cerqua pidocchiosa”, qui la casa colonica sorge su un’altura dove nel medioevo esisteva un punto di osservazione fortificato, un piccolo castello noto come “castellare della collina”. Colonìa 22 Croce, grande casolare isolato presso due antiche strade, qui c’era la “cella” del monastero di Rambona, il monastero di S. Croce, citato in 2 carte fiastrensi. La casa colonica fu costruita dai gesuiti nel 1650 sulle rovine del monastero di S. Croce, i cui resti erano stati asportati e donati a Macerata per ristrutturare le mura. Colonìa 23 Cupa, la tenuta è ancora oggi chiamata rotacupa, probabile alterazione di Cupra, che suppone la presenza in epoca remota di un luogo di culto della dea. Colonìa 33 Massaccio, così detta per la presenza del rudere di un imponente manufatto in muratura di epoca romana, forse residuo di monumento funerario o termine di confine, vista la presenza di questo e altri simili lungo la Salaria Gallica. Colonìa 34 Merope, non si sa l’origine del nome. Colonìa 42 Pecorareccia, la casa colonica su 3 livelli anziché 2 come le altre, ha un seminterrato a volte. Edificata dove nel X secolo era situato, secondo documenti farfensi, il caput agelli (capo della fattoria). Colonìa 53 Rocchetta, in questa tenuta c’erano i resti dell’antico castello di Canalecchio. Colonìe 55 e 72 di San Pietro, le case coloniche contigue sorgono nel luogo dove, secondo una pergamena fiastrense del XII secolo, esisteva una chiesa dedicata a san Pietro, nel pressi del castello di Villa Magna (non più esistente). Colonìa 62 Villamagna, la casa colonica è situata a poche decine di metri dalla nota area archeologica. Colonìa 63 Vaccareccia, di particolare interesse, la casa è una delle costruzioni più antiche, risalente al XII secolo e ritenuta da vari studiosi la sede del primo monastero cistercense, S. Maria di Collalto. Colonìa 69 Molino, in questa colonia c’era l’antico molino ad acqua, risalente al secolo XII, attivo fino al 1950. Oggi purtroppo l’edificio è disabitato e seriamente deteriorato. Anche il Castello della Rancia, ora ceduto al comune di Tolentino, faceva parte delle proprietà dell’abbadia di Fiastra, acquisito dalla famiglia Bandini all’inizio del 1800. Il castello fu eretto presso il Chienti da Rodolfo Varano intorno al 1350, nel luogo dove già esisteva il “Castellare Butini”a sua volta costruito su resti romani.

Simonetta Borgiani

20 maggio 2018

 

 

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