Dialetto sibillino: “Quesso n’ge l’aìa ditto mai nisciù”

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Il libro di Giuseppe Matteucci “Quesso n’ge l’aìa ditto mai nisciù. Dialetto sibillino: lingua al pari di quella italiana” potrebbe essere il copione di una commedia dialettale, con tanto di espressioni onomatopeiche e battute goliardiche; potrebbe essere il colorito racconto fatto agli amici del bar di un’avventura in Lambretta. Sicuramente è un giro per i Sibillini realmente, e più volte, realizzato dall’autore Giuseppe Matteucci insieme con i suoi amici, appassionati come lui dei misteri, dei colori, dei profumi, delle tradizioni, dei sapori di questo nostro “anello” celtico.

 

Due amici e una Lambretta d’epoca

Tutto ciò raccontato in lingua originale sibillina, con la sua espressività unica e inizialmente difficilissima da leggere, ma via via sempre più comprensibile e coinvolgente. Il dialetto in modo letterale è intraducibile, necessita di lunghe spiegazioni per poche parole dal significato preciso e immediatamente evocativo. Le pagine scorrono veloci, narrano di due amici che approfittano dell’assenza delle mogli, partite per Lourdes, per fare un tour in stile adolescenziale con una Lambretta d’epoca: ogni dettaglio del viaggio è curato nei minimi particolari, dalla cura del veicolo, al clima, al paesaggio che li circonda, alle scorpacciate nei ristoranti tipici.

 

I luoghi, i simboli celtici

Ma il racconto si fa serio quando descrive le località visitate, alla scoperta di alberi sacri, di simboli celtici rintracciati su muri, su manufatti, su dipinti, sconosciuti ai più nel loro significato originario, realizzati quando l’immagine, il simbolo, rappresentavano l’alfabeto universale, comprensibile a tutti, in un tempo in cui la scrittura era per pochi. Erano per tutti anche gli stornelli, che vengono riportati, per non dimenticare che la memoria orale è sempre stata uno strumento fondamentale per la trasmissione delle tradizioni e della storia dei popoli. Scopriremo riti pagani nelle chiese, sia quelle dimenticate tra i monti che quelle importanti in città, divinità nascoste nei nomi delle contrade, tra un Varnelli e un sorso di vino cotto: “Li pretacci sfasciava tutto, qui però je jita male, le colonne no l’ha putute leà sennò je cascava jo tutto”.

 

Corposo repertorio fotografico

Segue un corposo inserto di foto, che fa comprendere meglio di cosa si parla, dimostrando che si racconta in modo scherzoso qualcosa di importante; sono immagini guida, che in qualche caso non potremo aspettarci, rifacendo il viaggio, di trovare nello stesso posto con quello stesso aspetto, perché molti dei luoghi descritti in questo itinerario sono stati distrutti dai terremoti del 24 agosto e del 30 ottobre del 2016 e, come scrive l’autore alla fin del volumetto, “La natura ha fatto il suo corso. Una parte della cultura popolare sibillina è andata perduta. In futuro alcuni reperti sibillini potranno essere visionati solo in questo libro”. Alla fine, sorpresa, c’è pure la traduzione in Italiano, che sarà ormai un piacevole e veloce ripasso di tutta l’avventura, e il lettore potrà rendersi conto di quanto la facile lettura abbia come contropartita la perdita del “colore”.

 

Nota: Giuseppe Matteucci in breve

Giuseppe Matteucci è nato a Montefortino il 7 di marzo del 1950 ed è residente a Macerata. È il Presidente dell’Associazione Culturale “La Cerqua Sacra”. Quesso n’ge l’aìa ditto mai nisciù è il suo terzo lavoro letterario pubblicato; gli altri due sono: Chi simo? Da do’ vinimo? edito nel 2003 e Che je pijjasse ‘n gorbu edito nel 2011, tutti e due stampati da Stampalibri Macerata.

Simonetta Borgiani

22 ottobre 2018

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