Giocare con arte, ovvero origami di artisti maceratesi

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Il ricorso al gioco non è prerogativa fissa comune ricorrente dell’arte maceratese o dell’arte in generale. Sommessamente vi fa tuttavia capolino, e la sua presenza è certa e consistente. L’arte è anche divertimento; alcuni dei nostri artisti han voluto e vogliono dimostrarlo, innanzitutto a se stessi.

 

Artisti ludici

Facciamo dei nomi: Pannaggi, Monachesi, Tulli, Ciarrocchi, Ricci, Peschi uno e due (Umberto e Alberto), e mettiamoci pure un fuori concorso: Goffredo Binni, spiegherò poi il perché. Ce ne sono altri, potrei dire la maggior parte di quelli che operano ancora oggi: Craia, Caggiano, Cartuccia, …e mi sia concesso portarmi un po’ anche fuori provincia, dove Ezio Bartocci e Marcello Diotallevi sono due che con l’arte si divertono non poco! Mi fermo qui, perché ognuno che sia appassionato all’arte nostrana poi se ne sceglierà per sé tra i tanti che si richiamano al gioco, i cosiddetti “artisti ludici”.

 

Gli artisti e le opere

Per spiegare l’arte di Pannaggi in tal senso basterà richiamare alcune sue opere, come il suo “Dante Alighieri” del ’62, o la “Monaca rossa” o il “Ritratto di gentiluomo”, entrambi del ’22. E che dire delle geniali “prese in giro intelligenti” di Sante Monachesi, dei suoi “Evelpiuma” e delle argille compresse in palmo di mano, poi trasformate in durevoli  invenzioni metalliche? Le sforbiciature di Ciarrocchi, i voli e le piazze allagate di Tulli (e le caricature dello stesso Pannaggi o dell’indimenticabile Virgì Bonifazi, non sono giochi?).

 

I “giochetti” di Peschi

Peschi aveva in casa cassetti pieni di biglie colorate, pezzetti di legno e di carta, sassi piccoli e grandi trovati in riva al mare, conchiglie, radici erose dalla  salsedine, bottoni e oggetti vari a cui ispirare le forme delle sue sculture; cose minimali che dopo la sua morte furono letteralmente ramazzate, forse non viste o considerate prive di significato. Io ho avuto la fortuna di salvare alcuni  “giochetti” che con molto impegno e assoluto rispetto domestico i due o i tre costruivano assieme nelle domeniche in cui i fratelli Peschi erano ospitati e accolti in casa di Goffredo Binni, dopo il pranzo e prima di una partita a carte.

 

“Origami”

“Origami”, questa la parola esotica calzante per quegli oggetti di carta tutti pieghe e risvolti che costruivano in una sorta di competizione per ricordarsi vicendevolmente quanto sia importante la manualità e l’inventiva in ogni operazione creativa. Uno zoo di cavallucci, draghi, chiocciole e un variare di forme geometriche multicolori, di carta o cartoncino, fili metallici e altro. Giochi! Convinti, convintissimi tutti che l’arte fosse anche quello.

 

Munari e Melotti

Un libriccino di Munari intitolato “Nella nebbia di Milano” stampato nel ’68, anno della famosa rivoluzione di “fate l’amore e non la guerra”, “mettete fiori nei vostri cannoni” o “liberate finalmente la vostra fantasia”, mi ha richiamato per la sua particolare giocosità ed estro questo aspetto presente anche tra i nostri. Ed è vero, c’era e c’è anche questo nella nostra appartata provincia, la giocosità, mentre Munari atteggiava la sue forchette a forma di mani facendole dialogare tra loro e Fausto Melotti inventava le sue aeree incastellature imbastendo fili di ferro e lamierini  per farne sculture. In contemporanea o forse già da prima i nostri artisti praticavano il gioco.

Lucio Del Gobbo

19 novembre 2018

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