Vi invitiamo a un tour turistico nella valle del Fiastrone

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Il prêt à porter turistico (arrivo in pullman, pagamento di un biglietto, breve visita e ripartenza) nella valle del Fiastrone  ancora non è praticabile (per fortuna). Prima di riuscire a farsi aprire qualche porta, talvolta, è necessario aspettare, per interi quarti d’ora, il ritorno di chi ha le chiavi e, praticamente sempre, bisogna sottostare pure a snervanti interrogatori, durante i quali arrivano domande su varie materie quali: “di chi si fijo”, “chi te manna”, “perché vóli bboccà” ecc., con l’inevitabile e successivo commento: “sai coccu, non è pé’ sfiducia tua, però qui ce s’ha frecato pure le carze”. È evidente che questi appunti stanno alla storia dell’arte praticamente come le tabelline stanno all’analisi matematica, però questa collezione di notizie (non ricerca, sia chiaro) faticosamente preparata nei ritagli di tempo, potrà essere un utile complemento per coloro che vorranno trascorrere alcuni giorni nella valle del Fiastrone, ricca di suggestioni. Per ragioni di brevità, è stato ritenuto utile e sufficiente riportare notizie solamente su quanto è sembrato più significativo e importante, tralasciando di illustrare alcuni edifici di culto, pur se degni di nota, come San Flaviano di Fiegni, San Marco in Colpolina (sec. XI), San Martino in Tedico (XI sec.), la grotta dei Frati con i ruderi dell’eremo e la piccola cappella di S. Maria de Specu e ulteriori altre notizie. La speranza è che, tra quanto scritto, ci si possa trovare qualche cosa di interessante. Il giro di un ipotetico visitatore potrebbe certo iniziare dal Castello Magalotti.

 

Fiastra e il Castello Magalotti

Il castello risale, con ogni probabilità, a un’epoca anteriore al IX secolo. Verso la seconda metà del duecento (forse 1259), lo stesso è stato ceduto dai Signori locali, i Conti Magalotti (il Conte Magalotto IV era il padre del beato Ugolino), al Comune di Camerino. Il castello si estendeva, probabilmente, su una superficie di oltre 20.000 mq. ed era cinto da una cerchia muraria di circa 580 m (di cui oggi restano ben visibili tre lati su quattro), munito di sette torri e di un mastio tondeggiante. All’interno delle mura erano situate le residenze del Podestà e degli Organi di governo. Nel 1436 fu redatto lo statuto del castrum. È interessante osservare che le norme del secondo libro di quella “carta costituzionale”, riguardanti l’amministrazione della giustizia, non prevedono mai pene troppo severe. Traspare, al contrario, un certo  favor alla composizione amichevole di ogni problematica, sia criminale che civile. Pure per i reati più gravi questo statuto del Castrum Flastrae non prevedeva mai la pena di morte (quando Luigi Bonaparte si vantava che la Repubblica Romana del ’48 era il primo stato al mondo ad aver abolito la pena di morte, forse non aveva tenuto conto del Comune di Fiastra!) e l’utilizzo della tortura era autorizzato unicamente nei crimini di furto. A tale proposito, è da ricordare che la cosiddetta tortura giudiziaria è solo quella dei cosiddetti “tratti di corda”, volta a ottenere la confessione del presunto reo (mai come punizione). Le mani del paziente venivano legate dietro la schiena con un capo di una corda, l’altro capo veniva, poi, fatto passare su di un trave. Dando dei tratti alla stessa, le braccia erano tirate verso l’alto fino a ottenere la disarticolazione delle spalle. Gli altri “accricchi” tanto cari ai musei dell’orrore e della tortura erano chiamati supplizi. Non facendosene cenno in quel documento, è legittimo credere che a Fiastra fossero stati banditi. La vita civile del Comune (come, probabilmente, quella di ogni altra entità omologa dell’epoca) era fortemente condizionata dagli obblighi di carattere religioso. Il ricordato statuto, riporta, infatti, oltre ai dettami sulla condotta civile, quello di commemorare le principali festività religiose dell’anno con l’astensione dai lavori materiali e indica meticolosamente quelle che, dalle nostre parti, vengono dette le “feste ricordative”. Oggi, nei ruderi del castello – che, illuminati magistralmente, di notte, offrono uno spettacolo meraviglioso a chi li osservi dalle vicine pendici del monte Coglia – è stato realizzato un ameno giardino pubblico, dal quale si gode una eccellente visuale del lago. I percorsi che conducono i visitatori lungo il perimetro della cinta muraria, sono attrezzati da piccole tavole esplicative, ricche di notizie sulla storia del castello.

 

Chiesa di San Paolo (XI sec.)

All’interno dei ruderi del castello Magalotti, in corrispondenza della parte meridionale e, quindi, praticamente a strapiombo su lago, si trova la romanica chiesa di San Paolo. Edificata, probabilmente dai monaci benedettini, per alcuni pare che la stessa sia stata addirittura sede abbaziale. Sembra, infatti, che al parroco spetti ancora il titolo di Abate. Già un semplice giro lungo il perimetro della costruzione è sufficiente per rendersi conto della possente struttura della stessa. Il ritmo della facciata è spezzato da due contrafforti entro i quali è compreso il portale di pietra bianca ornato da un bell’intreccio di pampini e grappoli d’uva. Sul lato destro, si erge un campanile ottocentesco (che, a nostro sommesso parere, deturpa tutto l’insieme essendo completamente al di fuori del contesto architettonico) realizzato dopo il crollo di quello originario, a sua volta realizzato sulle fondazioni della torre del castello. L’interno é ripartito in tre navate divise da archi e colonne. È curioso osservare che le colonne di destra e gli archi, poggianti su sottili capitelli, sono in mattone, mentre quelle poste sulla sinistra e le absidi sono realizzate in pietra. Assai rilevanti, all’interno, sono una statua lignea policroma di ignoto maestro abruzzese del 1500, rappresentante la Santa Vergine col Bambino, alla base del quale sono state rinvenute, anni or sono, alcune pregevoli scene di Passione attribuibili a un pittore (probabilmente toscano) del 1200 e un crocifisso ligneo coevo del gruppo della Vergine. La cappella di sinistra ospita (solitamente, ma dal ‘97 è nella seconda chiesa di San Lorenzo) una magnifica tela del Baciccia (Giovan Battista Gaulli – Genova 1639-Roma 1709). La luminosissima opera del Maestro – riconosciuto universalmente come il traduttore in pittura dello stile del Bernini (di cui fu allievo) e come magistrale interprete di effetti drammatici, ottenuti con movimenti di masse e giochi chiaroscurali, presenta la leggendaria conversione di San Paolo sulla strada di Damasco. Al centro dell’opera è posta la figura del Cristo ma l’attenzione dell’osservatore – grazie a un mirabile gioco pittorico di luci che dona risalto al personaggio principale dell’opera, lasciando quasi “fuori fuoco” gli altri (compreso lo stesso Redentore) – è rapita verso la parte inferiore sinistra della tela, sulle  figure del Santo disarcionato. L’incantevole vista sul lago completa la magia del luogo.

Francesco Bernabucci – Foto per gentile concessione di Alberto Monti

21 novembre 2018

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