Correva l’anno 1963. Fissata la partenza per il periodo di Ferragosto ci imbarcammo io, Peppe, Giovanni e Franco a bordo di una Fiat 600 multipla, con le borse affastellate nel portabagagli anteriore e altre incastrate fra le nostre gambe, all’interno dell’abitacolo. E già in Ancona perdiamo tempo prezioso.
Partiti! ed è subito multa…
All’uscita della galleria che sale al centro, Giovanni alla guida dell’auto, imbocca una via contromano e, nella fretta di venirne fuori, per poco non travolge un vigile ritto di spalle al centro dell’incrocio. Saluto cortese e molto formale: “Prego favorire patente, libretto di circolazione, dove siete diretti…”. Facciamo presente che siamo in partenza per Monaco di Baviera, tutti un po’ storditi per l’alzataccia, per la novità e le incognite del viaggio, condizionati dai limiti ristretti delle ferie e altre argomentazioni atte a suscitare la benevolenza del pizzardone. Niente da fare. Compilato il verbale, riscosso il dovuto, veniamo congedati con un saluto asciutto e l’augurio di buon viaggio e prudenza. La sosta ci è costata un tre quarti d’ora e una multa salatissima.
Cena panino e mortadella
Breve intervallo lungo la Romea e quindi via, sparati – si fa per dire – fino a Treviso. La cena fu un grosso problema perché, arrivando nella città veneta alle dieci di sera, trattorie e ristoranti erano decisamente tutti chiusi. Rimediammo al bar della Stazione una rosetta con mortadella e una lattina di Coca-Cola. Un paio di battone stagionate ci fecero il filo finché andavamo divorando i panini, ma eravamo troppo stanchi e ansiosi per pensare a quelle cose lì. Dormimmo in una pensioncina della zona. Il giorno successivo ci aspettava una lunga tirata fino a Monaco.
I dubbi
Lì, avremmo incontrato Getulio, l’amico di Corridonia? Avremmo azzeccato la “strasse” giusta? E con la lingua come ce la saremmo cavata? Ci rimettemmo in viaggio al mattino presto, dopo aver ingollato di fretta un cappuccino e un cornetto, tra le occhiate meravigliate e qualche battuta ironica da parte degli operai, che andavano al lavoro incoraggiati da un “goto de grapa”.
L’incontro fortunato
Sosta al valico del Brennero per il pranzo, dove incontrammo un giovane dall’aria intellettuale di Macerata (ci confessò poi) che faceva uno stage in una fabbrica di profilati metallici proprio a Monaco e che, approfittando del giorno festivo, era arrivato al confine con la speranza di mangiare un decente piatto di tagliatelle. All’inizio ci fissavamo a distanza al di sopra del piatto di pasta collosa, incerti sulla possibile reciproca identità di concittadini all’estero. Non ricordo chi prese l’iniziativa. Fatto sta che il giovane ingegnere, figlio del “nostro” dr. Graziosi, neolaureato e vincitore di un master di perfezionamento in Germania – questo ci disse, una volta rotto il ghiaccio – fu guida preziosa per tutto il tempo del soggiorno in città facendosi in quattro per attenzioni e sollecitudine.
Finalmente l’albergo
Per cominciare ci accompagnò in centro all’Hotel Tannenbaum, presso il quale il Getulio di Corridonia, con cui da tempo eravamo in contatto, aveva prenotato le stanze. Lungo il tragitto, eccitati, salutammo a voce e a colpi di clacson un giovane… spazzacamino, nero di fuliggine e con gli attrezzi del mestiere in spalla! Occupammo una camera matrimoniale, un secondo letto e una branda sotto lo scivolo di una economica mansarda. Furono giornate piene e intense, in cui momenti spensierati e disincantati si alternarono a pause di amara riflessione sulla mai giustificabile bestialità e ferocia degli uomini.
I programmi di Getulio
Alludo alla visita che i miei amici fecero al tristemente noto lager di Dachau; visita alla quale non partecipai perché costretto a letto da un inopportuno malanno. Fu un’esperienza dalla quale tornarono turbati e scossi. Alla sera sedevano intorno al mio letto a parlare tutti insieme, a raccontare, quasi per una sorta di necessaria liberazione da un peso insostenibile. Comportandoci da perfetti burini imbranati, seguivamo i programmi che il Getulio aveva predisposto, affidandoci in parte anche alle iniziative dell’ingegner Graziosi che, di educazione più rifinita e di cultura più sottile, ci indirizzava ad apprezzare i monumenti e le bellezze artistiche della città.
Deutsches Museum
Di giorno si vagabondava alla ricerca di angoli suggestivi e curiosi: Marienplatz, la Rathaus, Karlsplatz che a Monaco chiamano Stachus. Attualmente questo enorme spazio ha come due vite, una alla luce del sole e una sotterranea, una piazza sotto la piazza. All’epoca non c’era nulla di tutto questo, né altre innovazioni che hanno abbellito la città in più di mezzo secolo di intenso sviluppo urbano. In una veloce scorribanda visitammo il Deutsches Museum, struttura infinita dove si possono trascorrere intere giornate tra le migliori opportunità e comodità. Visitarlo tutto è un’impresa, con i suoi sedici chilometri di percorsi.
Dolori di pancia
Una esperienza unica e irripetibile per gli altri. Per me, al contrario, si tradusse in una serie di strani inconvenienti. Mentre eravamo con il naso all’insù a osservare nella semioscurità la cupola del Planetarium e le ordinate geometrie del creato, ebbi un attacco di mal di pancia, forse dovuto alle abbondanti e costanti libagioni di birra (purassà, e come te sbagli... si direbbe a casa nostra), nonché a una squisita passata di asparagi ordinata al ristorante. Gli effetti rilassanti si presentarono proprio nel magico momento in cui la voce della guida esternava le sue considerazioni sulla straordinaria perfezione del cosmo. Dovetti correre via a precipizio, con l’ulteriore problema di reperire un bagno per “Herren”, tra una rete di corridoi e mille incroci di sale e ascensori. Feci di volata una lunga scala a chiocciola, tutta bianca. Nello spazio interno troneggiava minaccioso, seppure inoffensivo, il primo missile balistico, apportatore di lutti e stragi dolorose. Il famigerato V/2, che ebbi appena il tempo di sbirciare, oppresso com’ero dagli spasmi intestinali.
Pure il colpo della strega!
Più in là, nel corso del pomeriggio, ci trastullammo a lungo nell’immenso settore “Scienza e Tecnica”, immersi nei tenebrosi cunicoli di una finta miniera, oppure stupefatti ad ammirare la meravigliosa storia degli strumenti per il calcolo del tempo, o anche a giocare come ragazzini con i marchingegni inventati nei secoli per studiare e rendere comprensibili i fenomeni della fisica. Fu lì che, strattonando una specie di manubrio atto a dimostrare la forza di trazione dei bicipiti (un po’ come le corna del toro nei baracconi da fiera) mi produssi un doloroso strappo alla schiena – un colpo di strega tedesca! – e di conseguenza dovetti starmene disteso a letto in albergo per quarantott’ore.
Maccarù marchisciani!
Nel frattempo – oltre l’accennata visita al lager – gli amici curiosavano per la Monaco by night, accompagnati dal solerte Getulio, che sembrava assai pratico nel ramo divertimenti. Un pomeriggio volle farci assaporare l’atmosfera di un tipico locale bavarese. Al momento delle ordinazioni al banco, Peppe, estemporaneo e sornione, se ne uscì con: “A me me dài una sprimuta de viricoculu!” Il barman, imperturbabile, aprì il frigo e versò il succo di frutta richiesto. Restammo allibiti. Il giovane barista, facendo eco alla nostra sorpresa aggiunse sottovoce: “Maccarù marchisciani, ve facete ‘rconosce d’impertutto… furtuna che io vengo da Pitriolo. Me chiamo Sittimio… Piacere...”.
Spogliarelli integrali
E così Settimio, accodatosi al gruppo, divenne il… settimo elemento della compagnia. Una volta ristabilito, partecipai a una folle serata al “Moulin Rouge”, una bruttissima copia dell’omonimo locale parigino, assistendo inebetito a spogliarelli integrali e scene di accoppiamenti anomali. Protagonisti un finto gorilla e una bionda fanciulla dalle forme giunoniche, la quale, fingendosi ritrosa e schifita, finiva per sottostare alle voglie e ai bavosi grugniti della belva. Luci psichedeliche e musiche suadenti completavano la rappresentazione. Agli albori degli anni ‘60 scene simili significavano lo stravolgimento della morale più codina e radicata! Il giovane Graziosi, che si era unito alla chiassosa combriccola tutta italiana, se ne stava in disparte intimidito e taciturno, vergognandosi come un ladro alle nostre reazioni inconsulte, al centro di un ambiente di solito freddo e asettico, nonostante la smaccata esibizione di tette e di sex appeal. Ma, si sa, i tedeschi sono così. Si sciolgono solamente di fronte agli smisurati boccali della bevanda nazionale e passano con disinvoltura da un disciplinato autocontrollo alla pazzia più sfrenata.
La “Birreria di Hitler”
Lo sperimentammo una sera che il Getulio ci condusse nella cosiddetta “Birreria di Hitler“ (Hofbrauhaus, mi pare si chiami) dove il Fuhrer, negli anni trenta, aveva dato avvio ai moti rivoluzionari che dovevano portarlo al potere assoluto. Lunghe tavolate di avventori, banchetti pantagruelici a base di piatti di maiale, wurstel, torte e dolciumi di ogni tipo, tra grasse risate, marcette paramilitari suonate da una banda di ottoni squillanti, donne infoiate come ninfe in calore… e birra, birra, birra a fiumi, a torrenti!
La cittadella del peccato
Il quinto giorno escursione al quartiere Schwabing, un tempo considerata la cittadella del peccato, la zona più malfamata di Monaco. Vialoni lunghi e alberati (Ludwigstrasse, Leopoldstrasse), pieni di traffico rumoroso, ai lati dei quali si affacciavano locali invitanti con targhe e insegne fin troppo familiari: La Dolce vita – Alla Bella Capri – Venezia, la luna e tu – Gelateria napoletana ecc. Il quartiere oggi è a disposizione di tutti, non solo di “artisti e studenti” come una volta. Vi si trovano bar, pub, locande, paninoteche, discoteche, jazz club, gallerie d’arte, piccoli e grandi centri di aggregazione. Sempre dietro suggerimento dell’amico di Corridonia, che nelle ore libere dalla occupazione fissa, si arrangiava in qualche modo nei locali del centro, giusto per arrotondare la paga, entrammo in uno stabile letteralmente gremito di… gentil sesso. Erano quattro piani di piacere elargito a piene mani e non solo. Sui campanelli dei portoncini i nomi delle signore: Annelise, Gertrude, Bertha, Lilì, Inge e via dicendo.
La moretta in guepière
Un ambiente grigio e squallido, se vogliamo, ma pieno di fascinose incognite e invitanti promesse per i quattro burini del centro Italia, catapultati in mezzo a tanta grazia di Dio! Peppe, il più impaziente e carico della combriccola, suonò a una porta dove figurava il nome di una sola inquilina, incurante delle imprevedibili pretese della stessa. Ci trovammo di fronte una splendida moretta in guepière, che fu felicissima di accogliere ospiti italiani. Getulio, che era di casa, disse che in varie occasioni aveva pagato le “prestazioni” con scatole di scarpe speditegli da parenti “carzolà” delle nostre zone… o con calze di nylon!
La spaghettata
Finimmo la serata in casa della ragazza con una solenne spaghettata all’amatriciana, che ci arrangiammo a preparare con solerzia tutta latina con quanto fu possibile reperire nel frigorifero. Una gustosa parentesi patriottica, in mezzo a ossessionanti pasti a base di patate, di carne e patate, di salsicce e patate, di sauerkraut e di potage immangiabili. Ce ne andammo verso la una di notte, cercando di non far troppo rumore lungo l’antico scalone di legno dalla ringhiera in stile liberty. Peppe invece si fermò per un’altra buona mezz’ora a “digerire la cena”, disse!
La partenza
Prendemmo la via del ritorno in una domenica grigia e piovosa, lasciando in lacrime la commessa del bar del Tannenbaum, una rossa di Tarvisio che ci aveva preso in simpatia e ci passava a colazione abbondanti scodelle di latte e caffè, dense di panna profumata e guarnite con una spolverata di cioccolato. Ci baciò uno a uno. Non disse parola e con gli occhi gonfi e arrossati si girò verso la macchina dell’espresso, fingendo di armeggiare con i filtri e le manopole. Poggiammo sul bancone una regalìa in denaro e un bambolotto portafortuna, mormorando a turno un “Ciao” bene augurante. Getulio e l’ingegnere ci furono accanto fino al momento del commiato.
Goffredo Giachini
26 novembre 2018