La verità storica, un po’ per volta, ritorna… Ildegarda di Bingen

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Santo Ruperto e Beata Berta – San Ruperto e Beata Berta vissero al tempo di Carlo Magno. Berta risulta fosse la figlia di un duca e principe germanico, di regione non precisata; quando rimase vedova si ritirò con il figlio Ruperto in una loro proprietà a Bingen, come sta scritto nella loro biografia: “possessio autem praediorum ejus, quan ereditario jure tam à patre, quam à matre & à ceteris progenitoribus suis possederat, à loro illo, uni Reliquiae ipsus conditae sunt”. Furono sepolti, dopo una pia vita, nello stesso luogo, in un monastero da loro fondato. Il luogo fu chiamato da allora Rupertsberg, in Germania, ma lì sopravvive solo il culto, a quanto pare già nel X secolo le loro tombe furono violate, e quindi i loro resti dispersi. Bene, se la vera Rupertsberg fosse in Italia? Cercando altre notizie su Santi e Beati, troviamo che “San Ruperto vescovo, morto nel 718 d.C., discendeva dai Robertini o Rupertini, una importante famiglia che dominava col titolo di conte nella regione del medio e alto Reno. Da questa famiglia nacque anche un altro San Ruperto, o Roberto, di Bingen, la cui vita venne scritta da Santa Ildegarda. I Robertini, o Robertingi, erano imparentati con i Carolingi”. Il più famoso Robertingio, dal quale avrà origine la dinastia dei Capetingi, è Roberto il Forte, vissuto nel IX secolo, misso dominico di Carlo il Calvo, nipote di Carlo Magno. La professoressa Simonetta Torresi colloca Roberto il Forte come residente nella zona di Castelbellino-Monteroberto, e questo concorda con la nostra idea che fossero proprio qui i possedimenti che da generazioni si tramandavano da padre in figlio (e figlia): non c’è altro posto in Italia che si chiami “Roberto”, e chiunque sia il vero Robertingio ad aver dato il nome a questa località, lì c’era di certo il castello di Berta e di suo figlio Roberto, con vicino il monastero dove sono stati sepolti e dove Hildegarda di Bingen decise di trasferirsi e fondare il suo monastero, Ruperts-berg, Monte-Roberto.

 

Ildegarda

Chi fece “tornare di moda” il culto di Berta e Ruperto fu nel 1150 proprio la monaca Benedettina Ildegarda di Bingen (1098/1179),  la  quale, come sopra accennato, decise di fondare un monastero sulla collina dove c’erano i ruderi del santuario a loro dedicato, che custodiva le loro reliquie. Nei testi originali, in verità il luogo sta scritto come “monte S. Ruperti prope Bingium” e anche “Sancto Roberto in Pingis”. Bene, come mai, se in Germania le reliquie non si trovano fin dal X secolo, quando le ispezionò Ildegarda le trovò incorrotte nel 1150? Bingium, o Pingis, che diventa -non si sa come- Bingen, è un Pincio, la sommità di un colle, così viene chiamata la parte più alta di molte località (c’è ancora un Pincio in Ancona e in molti altri paesi delle Marche).

Ildegarda teneva corrispondenze con vescovi, arcivescovi, abati, conti, pontefici, con l’imperatore Barbarossa e con Bernardo di Chiaravalle, e li frequentava anche.

Gli autori de “S.Hildegardis Abbatissae Opera Omnia” (1853) commentano così una epistola di Ildegarda a Bernardo di Chiaravalle: “Visitatio igitur illa S.Bernardi prorsus est improbabilis…” cioè: è improbabile che sia veramente avvenuto l’incontro tra i due, di cui si parla nell’epistola. Viaggio e incontro inverosimili se Rupertsberg stava in Germania e Clairvaux in Francia e i papi a Roma; ma tutto ha un senso se si pone il monastero a Monteroberto, che è vicino a Jesi molto frequentato da Barbarossa, che è anche vicino a Chiaravalle, sicuramente frequentata da Bernardo, e non lontanissimo da Macerata, dove si erano trasferiti i papi da oltre 300 anni, fuggiti dalla Roma ridotta a un cumulo di macerie (vedi l’elenco di questi papi in “Il Piceno da Carlo Magno a Enrico I” di G. Carnevale – D. Antognozzi). Ma come è possibile che una suora malaticcia avesse tanta influenza? Non si vuole demolire un mito, visto che Ildegarda va molto di moda, anzi: oggi viene coinvolta in ambiti spirituali alternativi, dall’esoterismo alla new age, alle arti erboristiche e culinarie. Semplicemente, Ildegarda  proveniva da una famiglia importante, non capitò lì per caso. Era una delle ultime “sibille”, una donna depositaria del sapere, oltre che dotata di poteri di veggenza. Dovremmo anche rivedere il nostro concetto di monastero, dove l’aspetto religioso e mistico non era sempre il frutto di una vocazione spontanea, ma piuttosto di decisioni familiari e di strategie politiche (praticamente la stessa cosa). Di sicuro, in quel tempo gli uomini erano dediti a caccia e guerre, mentre le donne erano quelle che si occupavano della gestione del palazzo e delle proprietà (cit. Simonetta Torresi) quindi comandavano al pari degli uomini. Per cui la “regola” serviva a organizzare le giornate e le attività della comunità, non solo per la cura delle anime, ma per far funzionare l’azienda. Di lì a poco non a caso nasceva la inquisizione, che avrebbe eliminato il potere femminile dichiarando fuorilegge la conoscenza, e cancellandone più possibile la memoria. Quello che restava della memoria storica, come abbiamo già visto negli articoli degli scorsi mesi, venne “barattato” dai pontefici con i tedeschi e i francesi, trasponendo in quei Paesi le piccole storie delle famiglie potenti del centro Italia e trasformandole in grandi saghe. E così il monastero di San Roberto sul Pincio, è diventato Rupertsberg di Bingen. Ma allora dove si trova ora Ildegarda? In Acta Sanctorum Maii 1681 si legge che le reliquie del Beato Roberto confessore, duca di Lotaringia e conte Palatino, vennero traslate nel 1632 a Colonia, guarda caso, proprio lì dove tanta marchigianità venne trasportata per realizzare la falsa Aquisgrana. Ildegarda invece fu sepolta nell’altro monastero da lei fondato, Eibingen, situato sulla sponda opposta del fiume rispetto a Rupertsberg-Monteroberto: non corrispondono i nomi dei fiumi, che possono essere stati per un periodo cambiati, o manipolati i testi di cui disponiamo per “farli portare”, ma la descrizione del territorio si “adatta” perfettamente, comprese le coltivazioni agricole, e tornando a Eibingen, al di là del fiume detto Rheno, che qui è Esino, c’è la spettacolare abbazia Benedettina di Santa Maria delle Moje, oggi rimaneggiata, incastrata tra strade e case, ma che nel 1300 ancora possedeva molti ettari di terra e molti mulini.

 

Jutta

Santa Maria delle Moie è oggi nel Comune di Maiolati Spontini. Prende nome da una importante famiglia del luogo; e come Pincio diventa Bingen, nulla vieta di supporre che la Badessa del monastero di San Disibod, dove entrò Ildegarda bambina, Jutta Von Sponheim, fosse il nome tradotto in tedesco di Giuditta di Spontini. Poi gli Sponheim erano imparentati con i Robertingi, con Barbarossa, e con Vitichindo.

 

Richardis

La novizia prediletta di Ildegarda, è la bella, dolce e colta Richardis, appartenente a una famiglia nobile molto potente, Von Stad. Ildegarda fa il diavolo a quattro per impedire che nel 1151 la sua confidente se ne vada per divenire badessa presso la comunità di Bassum (da notare l’assonanza tra questo luogo e la famiglia di Nonio Basso della zona di Urbs Salvia). Ma Richardis non è una ragazza qualunque e osservando il suo albero genealogico si comprende come la sua famiglia ci tenesse a fare di lei il capo di una comunità religiosa: vanta una discendenza diretta dalle casate illustri di Carlo Magno, Desiderio e addirittura Vitichindo. Von Stad, o Van Stadt, o Van Stade, nient’altro è che di Statte, la famiglia che dà nome al Borgo, oggi sotto il comune di Camerino, dove nei mesi scorsi abbiamo già incontrato Santa Gertrude, l’antenata di Carlo Magno.

 

Vitichindo

Se toccare Carlo Magno ai tedeschi è aggredire l’unità nazionale, toccare il Sassone Widukind è violare l’identità germanica: il mito, l’eroe per eccellenza. Wikipedia-en riporta un paragrafo interessante: racconta che fin dal IX secolo Vidukind-Vitichindo-Widukind era venerato come un mitico eroe. Intorno al 1100 d.C. fu costruita per lui una tomba a Enger (Germania), dove recenti scavi hanno dimostrato che nella tomba dove dovevano esserci i suoi resti, ci sono invece le ossa di una ragazza. Scavando davanti all’altare, sono stati trovate altre tre sepolture: due ragazzi sedicenni e un giovane uomo: Vitukind è morto a 72 anni, quindi lì non c’è. E se scoprissimo che l’Irminsul il Sacro Albero dei Sassoni, distrutto da Carlo Magno, altri non era che una Cerqua Sacra della Vallesina? Per stavolta ci fermiamo qui, risparmiando ai germanici questo dispiacere… Ma concludiamo sottolineando che la “Viriditas di Ildegarda” è una ruota che gira, è quella energia che si smorza e risorge, le stagioni dell’anno, la vita delle persone, i vincitori che diventano perdenti… alla fine la verità ritorna, reclama il suo posto nella memoria degli uomini e dei luoghi.

Widukind

Simonetta Borgiani

30 novembre 2018

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