Capitan Cornelio Buongiovanni da Montolmo alla battaglia di Lepanto

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Leggendo vecchi libri ci si imbatte in personaggi di un certo rilievo di cui si ignora perfino l’esistenza, completamente inghiottiti nel dimenticatoio del tempo. Scorrendo l’Historia universale dell’origine et imperio de’ turchi (1582) di Francesco Sansovino (1521-1586), lettura “politicamente scorretta” in questi tempi, l’occhio mi cade su di un certo capitano Cornelio di Monte dell’Olmo di cui mai avevo sentito parlare.

 

Cornelio a Candia, nell’isola di Creta

Nel settembre del 1570 Cornelio si trovava a Candia nell’isola di Creta, capitano di una delle dodici galee pontificie che con mille e cento uomini si apprestava a dare aiuto ai veneziani attaccati dai Turchi a Cipro. La flotta pontificia, partita da Ancona al comando di Marcantonio Colonna, giunge (come detto) a Candia, insieme con quella spagnola composta da 49 galee al comando di Giannandrea Doria: ben 12 galee erano di proprietà dello stesso Doria che le aveva affittate al Re di Spagna Filippo II per 6.000 ducati cadauna.

 

Il tradimento di Filippo II

Filippo II aveva subdolamente ordinato al Doria di perdere tempo e di lasciare isolati i veneziani se si fosse arrivati allo scontro: pensava infatti in tal modo di indebolirli a Oriente per poter poi conquistare i domini di terraferma della Serenissima. Fatto sta che le navi giungono a Candia, dove le attendevano 54 galee veneziane, solamente il 31 agosto, per arrivare poi a Sitia il 16 settembre e finalmente il 17 ripartire verso Cipro.

 

Nicosia, 20mila massacrati dai turchi

Il 23, mentre è ancora in mare, la flotta è raggiunta dalla notizia che i Turchi comandati da Lala Kara Mustafà Pascià, dopo un assedio di 45 giorni, il 9 settembre avevano espugnato Nicosia perpetrando il massacro di ventimila persone e facendo schiavi i duemila sopravvissuti. La testa del comandante Dandolo venne inviata come monito a Famagosta che dal 22 agosto era sotto assedio: resisterà eroicamente fino il 4 agosto del 1571 quando si arrenderà. Lala Kara Mustafà disonorando i termini della resa farà torturare e spellare vivo il leggendario capitano veneziano Marcantonio Bragadin. Il Doria prende per pretesto la caduta di Nicosia e si ritira: pontifici e veneziani si portano a Corfù dove la Lega si scioglie.

 

La “patente” del Colonna

Incuriosito mi metto a cercare notizie sul capitano Cornelio e nel libro Marcantonio Colonna alla battaglia di Lepanto (1862) del padre Alberto Guglielmotti (1812-1892) trovo altre interessanti notizie. Il Colonna per la levata delle fanterie della spedizione del 1570 aveva spedito 12 patenti ad altrettanti capitani già provati in molte guerre. Uno di questi era Cornelio Bongiovanni che aveva posto il quartiere di reclutamento a Montolmo suo comune di nascita, ed è quindi probabile la presenza nell’armata di qualche suo concittadino. Nella lista dei 12 capitani si trovano uomini d’armi di rilievo come il leggendario Biagio Capizucchi (qui indicato come “Georgio Capizuco Maestro di Campo”), Flaminio Zambeccari da Bologna e Giovan Vincenzo Valignano: pertanto le doti militari del Cornelio dovrebbero essere state davvero notevoli. Vostra signoria ha da fare dugenta soldati, cioè centonovanta archibugieri e dieci corsaletti con alabarde; e che non manchi uno del numero. Et se ne menas se quattro o sei in più, se li faranno buoni. Così recitava la patente del Colonna che continuava: li detti archibugieri hanno da avere tutti li morioni alla moderna: perché colui che non n’havesse, non sarà passato alla banca ancorché provvisto di tutto il resto… et che tutti li archibugi siano a miccio, et di buona munitione, come volgarmente si dice alla spagnola… et le alabarde tutte di velluto in hasta et chiodate. Il corsaletto è una corazza leggera che proteggeva l’addome e il petto e pertanto per corsaletto si intende un alabardiere; il morione invece è un elmo a cappello con alta cresta al bordo terminale. Dal Guglielmotti apprendiamo un ulteriore particolare, che il cognome del Cornelio sia stato Bongiovanni.

Corsaletto
Morione

La battaglia di Lepanto

Per la battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571, il Colonna richiamò tutti quelli che avevano partecipato alla sfortunata spedizione dell’anno precedente e pertanto ritengo certa la presenza dell’esperto capitano Cornelio. Questa volta la flotta pontificia salpa da Civitavecchia per arrivare il 22 luglio a Messina. Non sappiamo in quale nave fosse imbarcato il Bongiovanni, probabilmente non sulla Capitana del Papa dove era lo stesso Marcantonio Colonna con 180 archibugieri al comando di Flaminio Zambeccari che aveva reclutato i suoi fanti a Montemilone (Pollenza); potrebbe essere stato a esempio a bordo della Grifona del Papa capitanata da Don Onorato Caetani Capitano Generale delle Fanterie Pontificie. Nello scontro i morti pontifici furono circa 800, una galea pontificia fu affondata e addirittura nella galea San Giovanni quasi tutti i fanti e i marinai perirono; con certezza non sappiamo se Bongiovanni sia sopravvissuto allo scontro ma il fatto che nessuna cronaca, specialmente locale, riporti la sua eroica scomparsa in una così epica battaglia mi fa ipotizzare per una conclusione felice.

Sbarco a Porto Recanati

I primi di novembre i reduci, insieme con i circa 14.000 schiavi cristiani liberati, sbarcano a Porto Recanati per recarsi a Loreto a rendere grazia alla Madonna: le catene lasciate dagli schiavi verranno utilizzate per i cancelletti della Santa Casa ancora visibili. Lepanto è una di quelle battaglie leggendarie e scontri epici come Poitiers nel 732, la presa di Gerusalemme del 1099, la caduta di Costantinopoli del 1453 e, ancora, il “Grande assedio di Malta” del 1565 o la battaglia di Vienna del 1683: quelle battaglie in cui i partecipanti avevano la certezza di aver fatto la storia e a distanza di anni, come nei vecchi film in bianco e nero, con tristezza e orgoglio potevano esclamare: io c’ero!

Modestino Cacciurri

30 dicembre 2018

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