La “tratta dei bianchi”, marchigiani verso le Americhe

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L’immigrazione negli ultimi secoli  è sempre stata un affare. Alla fine dell’800, primi del ‘900, Argentina, Brasile e Uruguay (per non dire di Germania, Belgio, Francia, Australia e Usa), avendo bisogno di “carne bianca” (così scrivevano i cronisti dell’epoca) si erano ben organizzati, nulla lasciando al caso e distribuendo denaro a piene mani.

 

Gli agenti d’immigrazione

Punto di partenza erano gli agenti d’immigrazione, che dovevano reclutare i migranti. Questi agenti, affinché facessero presa sulle persone meno istruite (contadini, artigiani, operai ecc.), venivano scelti tra persone ritenute degne di fiducia e rispettabili quali impiegati delle Poste, maestri, preti, Carabinieri in pensione, impiegati di stato civile. Il numero di questi agenti era molto elevato, altissimo nelle Marche, tanto che ce n’era uno ogni 2.232 abitanti! Erano 161 nell’ascolano (uno ogni 1.564 abitanti), 147 nel maceratese, 101 nell’anconetano, 78 nel pesarese.

 

Gli uffici di propaganda

A loro si affiancavano uffici di propaganda che provvedevano alla distribuzione di depliant nei quali si promettevano “il paese del bengodi” e retribuzioni e guadagni esagerati oltre a un costo della vita molto basso; era attiva e compiacente la stampa periodica che pubblicava notizie fornite dai consolati dei paesi richiedenti e dagli agenti d’immigrazione, infilando ogni tanto un articolo che raccontava del contadino ritornato ricco dopo 20 anni di lavoro o di parenti morti in terra straniera che lasciavano consistenti eredità: il cosiddetto “zio d’America”. C’erano anche conferenzieri prezzolati per tenere viva la corrente migratoria.

 

La tattica

Quale era la tattica degli agenti? Essendo così capillarmente diffusi sul territorio erano a conoscenza dei fatti delle famiglie, aspettavano che la miseria crescesse in un dato nucleo familiare, conoscevano i debiti contratti con gli strozzini, i pegni consegnati al Monte di Pietà, proponeva l’espatrio a queste persone e ritornava alla carica nella stagione morta per il lavoro, nel momento in cui rincaravano i viveri per strappare, infine, il consenso di costoro.

 

La organizzazione

Dal momento dell’accettazione non dovevano pensare più a niente, c’era una organizzazione che pensava a tutto: predisponeva “le carte”, ossia i documenti, faceva apporre i visti, pagava il trasporto in ferrovia fino al porto di Genova fino a imbarcarli verso l’America.

 

I compensi

Tutti facevano affari in questo commercio. Gli agenti immigratori percepivano lauti compensi: il Brasile dava nel 1890 ben 120 lire per ogni emigrante adulto; l’Uruguay pagava 5 pesos d’oro per un capo famiglia (valore elevato perché poi questo, in genere, faceva arrivare tutta la sua famiglia), 2,50 pesos d’oro per un uomo, 1,60 per una donna e 1,20 per un bambino. C’erano anche gli “Ordinativi” che potevano variare da 10mila a 20mila scapoli!

 

Chi traeva guadagno

Era una pingue “tratta dei bianchi” di cui facevano parte i consoli (avevano una percentuale sui diritti di passaggio e sulla legalizzazione dei passaporti), i banchieri (cambiali), gli agenti marittimi delle compagnie di navigazione, le compagnie stesse che godevano di speciali franchigie, tanto da ottenere i massimi guadagni proprio da questi traffici, i giornalisti prezzolati per la diffusione di notizie confezionate ad hoc.

 

Il trattamento dei migranti in terra e in mare

Le prime incongruenze i migranti le riscontravano subito a Genova, dove in attesa dell’imbarco venivano ospitati in modo vergognoso: cibo peggio che ai maiali, per letto un tavolaccio in stanzoni inospitali, sporchi e puzzolenti, tanto che in molti preferivano attendere camminando di notte per le vie di Genova. Le navi non erano meglio. Vecchi bastimenti che a volte non riuscivano a completare il viaggio e rimanevano in avaria in mezzo al mare in attesa di soccorsi o, peggio, affondavano causando centinaia e centinaia di vittime. Navi che avrebbero dovuto imbarcare 700 passeggeri ne caricavano fino al doppio. Durante il viaggio le persone stavano ammassate nei ponti inferiori trattate peggio che fossero bestiame, sottoposte ai soprusi dell’equipaggio che lucrava su tutte le necessità che i migranti potevano avere. Non pochi erano i morti scaricati a mare.

 

La condizione delle donne

La condizione peggiore la subivano le donne… citiamo: “In quella vita di privazioni, di prostrazione morale, fra dolori che si lasciano (ndr: allontanamento dai luoghi di origine, dai familiari e dalle amicizie) e dolori che si incontreranno, lo spirito delle donne si abbatte, la volontà domina meno. Si aggiunga il pigiamento, il contatto continuo, l’eccitabilità che reca il mare sull’organismo e sui nervi. Ora è massima stabilita che se la donna di terza classe se vuole ottenere qualche favore dal personale di bordo, un cibo meno cattivo, una cuccetta più comoda, debba mostrarsi docile e non fare la ritrosa (…) non solo la loro virtù è insidiata con piccoli favori (…) ma talvolta colla persecuzione, con le minacce ai padri e ai fratelli con la terrorizzante prospettiva dei ferri”. Cosa è cambiato oggi? Forse nel 1800 c’era una parvenza di regolare ufficialità e di certezze rispetto a quanto accade oggi.       

Fernando Pallocchini

I dati sono  tratti da “Terra promessa, il sogno argentino” di Paola Cecchini – Quaderni del Consiglio regionale delle Marche

30 gennaio 2019

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