“Il rosso fiore della violenza” – LV puntata

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“O mi aprite la porta o quanto è vero Iddio questo lo pianto nel petto al primo che mi si para davanti”. Disse con uno sguardo allucinato. “Madonna del Carmine, è impazzita, è impazzita!” Gemette la madre. Il padre sconvolto dallo stupore per quella reazione che non si sarebbe mai aspettato da una figlia. “E dove credi di andare mezza nuda, pazza che non sei altro?” – “Tu aprimi la porta: il mio dolore non ha bisogno di vestiti”. L’uomo, convinto dalla determinazione della figlia, gli buttò la chiave. Lei, spalancata la porta, uscì di corsa, inseguendo il carro funebre. Una vecchia vistala in quello stato corse in casa a prendere uno scialle e glielo buttò sulle spalle. “Corri, corri figlia mia, vai, vai da quel povero giovane, ti aspetta!” Le disse scoppiando a piangere. Carmela arrivò di corsa addosso alla bara e vi si aggrappò con uno strazio da far arrestare tutto il corteo. Il vecchio padre di Mario abbracciò la ragazza cercando di staccarla con dolcezza: “Mario, Mario, Amore mio dolce, fragile amore, cosa farò senza di te? Cosa sarà la mia vita? Perché il destino ci ha separati? Di quale colpa ci siamo macchiati noi con il nostro amore innocente e sfortunato? Non avevamo forse diritto anche noi a un po’ di felicità? Dio, Dio perché sei stato così ingiusto con noi?!” – “Non dire così figlia mia, la volontà di Dio è imperscrutabile, ma egli agisce sempre nel nostro bene”. Ammonì paternamente il sacerdote. “Don Gioacchì, questo non è il momento di far prediche. Andiamo a seppellire in fretta il mio povero figlio che di certo non è morto per volontà di Dio, ma degli uomini!” Disse con acredine Matteo “U Cafon”. La tumulazione fu semplice e commovente. Tutti rientrarono mestamente nelle loro povere case. Carmela assistette amorevolmente il vecchio padre finché visse. Dopo la sua morte lei continuò ad abitare in quella stessa casa e, immersa nei ricordi che sotto l’impalpabile usura del tempo andavano sempre più dipingendosi dei colori dell’immaginazione e sempre meno di quelli della realtà. Accettò senza rimpianti la sua morte civile la quale si nutrì del suo tempo e del suo risentimento. Si isolò e fu isolata da ogni altro contatto umano che non fosse imposto dalla necessità. Invecchiò e imbruttì precocemente. Viveva di stenti, dei piccoli ricavi della sua abilità di ricamatrice e non chiese, né mai le fu offerto, alcuno aiuto alla famiglia che, nel frattempo, si era arricchita con la speculazione delle aree fabbricabili per via di quei suoi uliveti che costeggiavano la periferia del paese. Lei non rimpianse nemmeno l’indennizzo che lo Stato aveva offerto al vecchio La Torre per la morte in servizio del figlio e che egli rifiutò, affermando che non c’era prezzo alcuno per la morte di una giovane vita, e consigliò di devolvere quella somma agli orfani dei poliziotti, caduti nell’adempimento del loro dovere. Il vecchio spirò tra le braccia di Carmela con il sorriso sulle labbra che era il più bel ringraziamento per il suo amore e per la sua dedizione. Lei non pianse, convinta com’era che il suo non fosse un decesso, ma soltanto un trapasso alla vera vita, dove certamente avrebbe riabbracciato suo figlio. Fu una pesante fatica per quella gracile donna lavarlo, pulirlo, vestirlo. Gli mise il suo unico abito buono, lo compose con dignità e, tra le mani anziché il crocifisso, gli mise la sua tanto amata e venerata pipa, sicura che gli sarebbe servita anche nell’al di là. Con il trascorrere degli anni i paesani dimenticarono il suo profondo atto d’amore e di rinuncia alla vita. Cominciarono un po’ per volta a considerarla strana e, alla fine, convenne a tutti considerarla del tutto pazza per mettersi la coscienza a posto. Permisero che diventasse anche il trastullo dei mocciosi di strada che, quando la vedevano passare, le correvano dietro per darle la baia con frasi sconce e gesti oltraggiosi. Ma lei non li vedeva e non li sentiva, chiusa com’era nel suo mondo visionario. Era libera come un uccello: faceva e diceva tutto ciò che le passava per la mente, senza preoccuparsi minimamente del resto del mondo. La sua gioia sbocciava come un fiore a primavera, solo quando, rientrata in casa, si metteva a sedere davanti alle fotografie dei suoi cari estinti per narrare loro i fatti del giorno, come se essi fossero ancora vivi e stessero lì, davanti a lei, ad ascoltarla e a ridere delle sue facezie. Nessuno lo potrà mai confermare, ma chissà che a quella povera donna non fosse stato concesso, per volere divino, il privilegio di attraversare a piacimento il limite che separa i vivi dai morti.

Nella prossima puntata pubblicheremo l’epilogo

3 febbraio 2019

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