Ciammirò, per non dimenticare un personaggio maceratese

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Ciammirò risaliva via della Pace, che a quell’epoca non era asfaltata. Di auto ne passavano poche e lui camminava in mezzo alla strada con passo marziale. Chi per primo lo avvistava avvertiva gli altri. C’era chi scappava solo a sentirlo nominare e chi restava defilato per vedere senza essere visto. Ciammirò era avvolto in un mantello nero e nero era pure tutto il resto del vestiario: un contrasto da brivido quel completo nero sul fondo stradale bianco. L’uomo nero sembrava avvicinarsi come per un regolamento di conti, una scena da film western. Piuttosto ossuto, il viso smunto, gli mancava solo una falce fienara. Ciammirò, un soprannome da incubo. Vuoi mettere uno che si chiama, che so, Cisirino? Come potrebbe un Cisirino impaurirti? Ma fai che Cisirino si fosse chiamato Ciammirò e avesse avuto indosso un mantello nero… Quando lo vedevi, giù in fondo alla via, non lo temevi più di tanto, un po’ come la morte, perché quando non è arrivata la tua ora lei ti turba appena, ma quando comincia ad avvicinarsi ti impaurisce, così come ti impauriva Ciammirò quando ti passava davanti. Non aveva la falce Ciammirò, ma ben suppliva con il nero mantello che sventagliava come Zorro o come un contadino intento alla mietitura. Ricordo, una volta passò velocemente il suo mantello, come un torero, sulla testa di un bambino cogliendolo di sorpresa. La madre si mise a urlare e a imprecare, convinta che Ciammirò avesse fatto un sortilegio a suo figlio che, di conseguenza, più non sarebbe cresciuto… Quando l’uomo nero si allontanava tiravi un sospiro di sollievo, come chi, ancora una volta, è riuscito a scampare alla morte. In realtà Ciammirò era inoffensivo, un vero pezzo di pane. Gli piaceva solo atteggiarsi a orco e, a modo suo, scherzava coi bambini, senza pensare che a questi sarebbero potute venire le “fantigliole” o il pavor nocturnus.

Umberto

19 febbraio 2019

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