“Il rosso fiore della violenza” concludiamo con l’analisi critica

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Abbiamo pubblicato “Il rosso fiore della violenza” ritenendo importante ripercorrere gli anni delle Brigate Rosse che tanto hanno inciso sulla società italiana, e concludiamo con l’analisi critica del prof. Antonio Ciuffreda.

 

“Il rosso fiore della violenza”, analisi critica

Tra le qualità di Matteo Ricucci, scrittore, per prima è da indicare quella fondamentale, che è la capacità di calarsi nell’animo del proprio simile, di capirne le ragioni che lo fanno agire, di intuire i motivi del suo soffrire e del suo sperare, delle sue esaltazioni e delle sue frustrazioni, di mettersi in sintonia e in simpatia con la svariata gamma di sentimenti, edificanti o riprovevoli, che animano gli attori della commedia umana. Oltre ciò ha saputo ben adeguare i suoi personaggi alle ragioni politiche e sociali, oltre che esistenziali, agli atteggiamenti e alle forme espressive di quel tempo.

 

Argomento scottante

Il soggetto, sul quale si imperniano le varie vicende, non era di facile maneggio, per la sua attualità, è il caso di dirlo, ancora scottante, e per le sue implicazioni di natura politica: la contestazione studentesca e le prime manifestazioni terroristiche che a quella fecero seguito. Avventurarsi in argomenti del genere comportava il rischio di trovarsi invischiato in una delle diatribe ideologiche, che finiscono per suscitare quasi sempre dissensi più o meno aspri tra gli interlocutori.

 

Rischio evitato

Ricucci ha saputo evitare il rischio, facendo intravedere negli scontri di parte le possibili giustificazioni dei contendenti e una non velata fiducia nel superamento della violenza da parte dei giovani, ai quali viene implicitamente indicata la via di una ritrovata, ripensata e rimaturata ragione.

 

Pochi personaggi

L’azione è impostata su pochi personaggi, come in una tragedia greca. Ci sono due protagonisti, Angela e Mario, ambedue vittime delle tensioni del tempo, sulle due sponde opposte, e soltanto cinque o sei altre figure complementari indispensabili. Le posizioni assunte dai vari personaggi non appaiono mai forzate, le loro osservazioni sembrano essenzialmente quelle che le situazioni postulano.

 

Il realismo dei dialoghi

I dialoghi (l’azione è in buona parte dialogata) appaiono impostati a stretta consequenzialità e realismo, forse eccessivo realismo: qualche lettore avrebbe, forse, gradito un po’ di romanzesco, qualche intreccio a sorpresa, un po’ di indulgenza per sentimenti arricchiti dall’artificio. Ricucci, invece, segue una severa, quasi geometrica linearità, senza attardarsi su elementi che forse sarebbero potuti essere di ornamento psicologico, con qualche risultato a effetto, ma che nulla avrebbero aggiunto all’essenziale. Di tale linearità appare pienamente consapevole l’autore, e pertanto essa non può essere interpretata come semplicismo o penuria di mezzi sul piano della tecnica narrativa, laddove, invece, essa è il frutto di una meditata disciplina volta a raggiungere una efficace congruenza delle parti.

 

Le descrizioni

Le descrizioni, molto sobrie, sono rese vive con pochi particolari, che vengono percepiti solo da chi si è fatta l’abitudine di osservarli con occhio molto attento, quello, appunto, dello scrittore: la descrizione dei colombi, degli operai che sistemano il palco, dei gestori dei negozi nella piazza della grande città, ove sta per svolgersi una torbida manifestazione, riesce, con pochi tratti, a creare l’atmosfera di un presagio di morte, con una densa carica di drammaticità. La descrizione della morte di Angela, poi, costituisce decisamente, una vera pagina da antologia, ed è certamente fra le più belle di tutto il romanzo.

 

Il discorso diretto

I dialoghi tra i vari personaggi, come quelli epistolari tra Mario e Carmela, dimostrano che l’autore non tende a riparare nel generico e non teme di impegnarsi nella rappresentazione completa delle situazioni. Il discorso diretto è, infatti, la forma più viva e più probante dell’immaginazione di uno scrittore, e rimane il documento più esplicito del costume, delle tendenze, delle ideologie di un’epoca. Se è molto abile nel dialogo, prima o poi lo scrittore finisce per approdare nel teatro: è un invito, questo, per il nostro Ricucci. Non è questa la sede per attardarsi su una più approfondita analisi del contenuto di un libro. Essa è già stata fatta, d’altronde, ed egregiamente, da Elio Marciano, nella prefazione.

 

Il contrasto al potere

Qui si vuole solo mettere in evidenza come, proprio sul filo di una tragedia classica, l’epilogo drammatico è fatto avvertire sin dalle prime pagine: verso tale epilogo l’atmosfera si addensa gradualmente di toni cupi e le vicende convergono, come per ineluttabile destino. Fa da sfondo il contrasto insanabile, di sempre, insito nella stessa dialettica della storia, tra chi detiene il potere e chi si rifiuta di assoggettarsi a esso. Non è proprio l’epopea biblica (ma anche la mitologia greca e orientale) a ricordarci che la prima rivolta contro il cielo fu quella di un insofferente, Satana, che innalzò il vessillo del “Non Serviam”?

 

La poetica dell’autore

Qualche considerazione, prima di concludere, va fatta sulle ragioni dell’arte, ovvero sulla poetica dell’autore. L’atteggiamento fondamentale di Matteo Ricucci di fronte al fenomeno della vita e del consorzio umano è indubbiamente quello di un sano realismo. Egli rivela vivacissimi interessi per il miracolo dell’esistenza, che da lui è osservata, talvolta, con divertita curiosità (cosa evidente nella sua prima opera) ma senza distorsioni e senza amplificazioni retoriche. Egli partecipa con profonda simpatia al dramma quotidiano dei suoi simili, ma segue anche con sofferta attenzione le più grosse vicende dell’intera società. Questa sua umana partecipazione non gli impedisce di osservare e di svolgere ambedue le parti, quella dell’attore e quella dello spettatore. La genesi di uno scrittore, forse, è sempre in questo connubio, e la sua irripetibile individualità è, in qualche modo, dipendente dal prevalere dell’una o dell’altra delle due parti. Ma il mondo interiore di Ricucci, ovvero la sua spiritualità e la sua struttura etica, non possono trovare appagamento pieno in questo realismo. La sua esigenza narrativa non può contenersi tutta nella realtà empirica, e pertanto si intuisce nel sottofondo un suo messaggio, in cui è racchiuso un suo idealismo, che è testimonianza di una fede in un mondo migliore. Non si vuole far credere che Ricucci goda del privilegio di essere esente da quelle incertezze, che sono proprie di tute le prime volte. Ma non ci sono dubbi che in lui siano presenti gli elementi essenziali per mettere in atto con successo la sua vocazione di scrittore e che valga la pena di invogliarlo a darci i suoi frutti più maturi.

Antonio Ciuffreda

8 aprile 2019

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