In compagnia di una guida d’eccezione, il nostro amico Alberto Monti, siamo andati alla scoperta dell’eremo di Madonna del Sasso, che si trova in mezzo agli Appennini, a pochi chilometri da Colfiorito. Trovarlo non è semplice, giunti in prossimità non ci sono indicazioni e bisogna andarci a piedi attraversando un prato.
Eretto su uno scoglio
L’aspetto esteriore della costruzione si presenta dimesso, architettura semplice, lineare, sormontata da un minuscolo campanile a vela completato da una piccola campana. L’edificio è formato da due corpi: la parte più bassa è la chiesa, quella più alta, quasi una torretta, contiene due stanzette sovrapposte che erano l’abitazione dell’eremita. Tutto l’insieme è eretto sopra uno scoglio ed è posto a strapiombo su un fosso sottostante dove scorrono le acque sorgive del torrente Menotre. Intorno il territorio è in buona parte destinato al pascolo mentre il resto è boschivo e irto di roveti selvaggi. L’aria fresca, frizzante, così ricca di profumi completa un paesaggio stupefacente.
Le origini
La origine di questo santuario rupestre, dedicato alla Madonna del Sasso, ha datazione incerta e, comunque, si fa risalire al 1300/1400. Per come è strutturato si può ipotizzare che fin dalla sua erezione fu destinato a eremitaggio, una funzione durata per secoli dato che se ne ha notizia fino ai primi del Novecento. Piccola nota architettonica è data dal portale, minimo, con la parte superiore ogivata e recante, sulla chiave di volta, un minuscola croce scolpita.
La viva roccia
Entrando, sul volto del visitatore si stampa una espressione di stupore, non tanto per le pareti affrescate quanto per il pavimento ricavato sulla viva roccia, che presenta una forte pendenza, un piano inclinato e, sulla sinistra dell’ingresso, c’è lo sperone di roccia allo stato originale a formare dei gradoni. Già a un primo sguardo appare evidente una caratteristica propria degli eremi: ambiente spoglio e umile, essenziale, per non essere soggetti a distrazioni nel momento della preghiera e della meditazione.
Il San Cristoforo
Le pareti conservano ancora resti di affreschi votivi, databili tra il 1400 e il 1600, purtroppo molto rovinati, i colori sbiaditi sotto l’effetto della umidità e parti staccate danno un senso di abbandono nonostante la struttura abbia avuto un restauro dopo i danni subiti per il terremoto del 1997. Appena si entra, a sinistra di fianco la porta si erge, gigantesco, un San Cristoforo come viene sempre raffigurato (ce n’è uno notevole a Visso – speriamo ci sia ancora dopo il sisma), persino bello con i drappeggi del mantello e della tunica. Accanto ne troviamo uno più piccolo. Perché San Cristoforo? Perché in quella epoca era diffusa la credenza che chi uscendo dalla chiesa avesse guardato la immagine di San Cristoforo non sarebbe morto di morte improvvisa.
Gli altri affreschi e la scultura trafugata
Invece sulla parete di destra ci sono affreschi votivi. Si nota la Madonna di Loreto dipinta tra Sant’Onofrio e San Bernardino, posta dentro un tabernacolo sorretto da due angeli. Più oltre abbiamo altri due San Sebastiano, poi un arco semicircolare che divide, con una grata in legno, la chiesa in due parti. Sopra l’arco c’è un affresco, in parte caduto, dove Dio è circondato da angeli e nuvole. Nel piccolo presbiterio si trova l’altare maggiore (ce n’è un altro più piccolo dedicato a Santa Maria Maddalena) sulla cui parete di sinistra, entrando, appaiono tre figure di santi; l’opera, è di buona fattura ma, purtroppo, è mancante di un 40% di pittura, caduta nel tempo e ormai perduta. Dietro l’altare c’è un affresco parzialissimo, realizzato da una mano felice con il Cristo in croce e la Madonna orante inginocchiata. Accanto alla porticina che fa da secondo ingresso troviamo Sant’Antonio e San Venanzio che regge in una mano la città di Camerino e nell’altra una bandiera. Qui era venerata una Madonna scolpita nella pietra da cui il nome del santuario, da anni trafugata.
Il più grande affresco delle Marche
Questa chiesa era considerata terapeutica per tutti i mali per cui si può capire il fenomeno del pellegrinaggio durato secoli. All’interno era rappresentato, con un affresco di notevolissime dimensioni (7 metri per 4 – il più grande delle Marche), il Giudizio Universale. L’opera risale alla seconda metà del 1400, per preservarlo è stato distaccato e ricomposto nella chiesa di San Martino, costruita appositamente proprio per ospitarlo, dove occupa una intera parete. Come si legge nella targhetta l’affresco è attribuito a Cristoforo di Jacopo di Marcucciola, un discepolo di Bartolomeo di Tommaso (anche se ci sono altre attribuzioni). Il dipinto si sviluppa su tre piani: nella fascia inferiore vediamo la resurrezione dei morti, l’ascesa degli eletti e le scene infernali; la centrale è divisa in due parti da una porta chiusa ai cui lati si trovano San Paolo e San Pietro; nella zona alta il Paradiso ospita figure aureolate e Cristo con angeli adoranti. Siamo alle solite: abitiamo un territorio dalle infinite ricchezze che lasciamo andare in malora, invece di averne cura affinché possa non solo continuare a testimoniare la storia ma anche essere fonte di ricchezza.
Servizio e foto di Fernando Pallocchini
3 luglio 2019