La Real Nave Calabria e l’eruzione in Martinica – 1^ puntata

Print Friendly, PDF & Email

Siamo nel 1902, e l’Isola di Martinica, nelle Piccole Antille dell’America del sud, è colonia francese. Ci vivono in gran parte alti ed eleganti meticci, ma l’economia è in mano ai creoli, i bianchi nati in America da genitori europei. É un’isola vulcanica: il Monte Pelato, dove ci sono due antichi crateri, non desta particolare preoccupazione, anche se negli anni precedenti si erano verificate delle emissioni di fumo e cenere. A sei chilometri dal monte c’è la capitale Saint Pierre, dove c’erano la cattedrale, il teatro, il collegio, l’ospedale militare; c’erano anche una fabbrica di zucchero e una di produzione del rhum. Nel mese di aprile cominciarono a verificarsi strani fenomeni: scosse di terremoto, piogge di cenere, odore diffuso di zolfo, boati. Ci furono invasioni di formiche, insetti e serpenti, che attaccarono persone e animali domestici. Quando all’inizio di maggio la coltre di cenere cominciò a far morire animali e piante, l’angoscia crebbe fra la popolazione e molti lasciarono la città. Il quotidiano locale Les Colonies e il Governatore Mouttet minimizzavano, credendo veramente che non fosse il caso di preoccuparsi troppo, e di lì a poco, cosa molto importante per loro, si sarebbe svolta l’elezione del nuovo governatore: non si volevano perdere voti evacuando la città. A convincere il Governatore Mouttet a restare con la sua famiglia, e far restare la popolazione a Saint Pierre, fu anche il parere di una commissione di scienziati incaricati di effettuare un sopralluogo sulla montagna: questi sentenziarono che non sarebbe accaduto nulla di grave. Invece l’8 maggio, giorno dell’Ascensione, una terribile eruzione, con emissione di gas letali, uccise tutti in pochi secondi (la stima è di 30.000 persone), si salvarono solo due uomini, e una ragazzina ritrovata in una piccola barca al largo nel mare. La città fu completamente distrutta, affondate le navi. S soccorso giunsero navi di diverse bandiere, che dopo pochi giorni ripartirono. Arrivò anche l’italiana Regia Nave Calabria, che era in quel periodo impegnata nella sua 2^ campagna oceanica, ovvero nel secondo viaggio di circumnavigazione (1902-1904). Varata a La Spezia nel 1894, era entrata in servizio nel 1897 diretta all’isola di Creta per portare ordine e legalità, in quanto nell’isola erano in corso sanguinosi e continui scontri tra cristiani e musulmani. Tornata in Italia da Creta, ripartì nel dicembre dello stesso anno per la sua prima campagna oceanica, che si concluse nel 1901. La seconda campagna vide la Calabria partire da Venezia nel febbraio del 1902, al comando del Capitano di Fregata Francesco Castiglia, diretta in Venezuela. Si trovò più volte a soccorrere popolazioni locali da disastri naturali, fu durante questa permanenza in sud America che ci fu l’evento della Martinica. Seguiranno altre due circumnavigazioni, finché nel 1924 fu radiata e venduta per demolizione, dopo 27 anni di servizio trascorsi tra tempeste e bonacce, tra tragici eventi storici ed esaltanti imprese: le quattro Campagne oceaniche, le lunghe dislocazioni in Oriente, la partecipazione alla guerra Italo Turca e alla prima guerra Mondiale. La Marina Militare italiana ha forse nell’immaginario collettivo nazionale una valenza di emergenza bellica o naturale e niente altro, cosa inesatta: in tempo di pace gli equipaggi delle nostre navi sono stati e sono ancora oggi impegnati in coraggiose operazioni per il mantenimento della pace in tante aree del mondo, dall’America Latina all’Europa Orientale, dall’Estremo Oriente all’Africa Settentrionale, dai Caraibi al Medio Oriente. Compito della Calabria era proteggere le comunità di emigrati italiani, propiziare accordi commerciali con quei paesi, proteggere navi mercantili dai pirati, intervenire militarmente in caso di disordini, raccogliere campioni minerali e vegetali a scopo scientifico. A tutti gli effetti, gli ufficiali erano i diplomatici della nuova Italia risorgimentale. Le circumnavigazioni erano anche importanti per era la formazione e istruzione di ufficiali ed equipaggi in lunghe e difficili navigazioni oceaniche: esperienze incredibili a contatto con paesaggi, popoli, linguaggi, situazioni politiche e umane (tanto per citare un episodio: nel 1903 la nave si trovava a Pechino, e il guardiamarina Tur racconta nel suo “Plancia Ammiraglio 1” che un giorno si trovò, suo malgrado, ad assistere a una esecuzione capitale. In stile per noi medievale, un uomo fu decapitato, e le donne del posto accorsero con pezzi di pane che attinsero nel sangue, e fecero mangiare ai loro bambini).  Come mai raccontiamo la storia di questa nave? La ricerca è partita da un manoscritto, sottoscritto dall’autore, Comandante Francesco Castiglia, come copia conforme, redatto su carta intestata ormai ingiallita e fragile, che opportunamente restaurato non sarebbe male fosse esposto in un Museo del Risorgimento. Lo acquistò il nostro collaboratore, dottor Matteo Ricucci, 40 anni fa da un anziano maceratese che barattava robivecchi e svuotava cantine, incuriosito dalla grafia e dall’argomento descritto. Non fu possibile sapere da chi il venditore lo avesse acquisito, o dove lo avesse trovato, come mai si trovasse proprio a Macerata. Forse uno dei membri dell’equipaggio si appropriò di questa “copia conforme” redatta su carta intestata della nave Calabria, ormai ingiallita e fragile, e qualche parente maceratese lo archiviò in cantina?

Abbiamo i nomi dello Stato Maggiore e qualche cognome ci risuona:

1 – Comandante Capitano di Fregata Barone Castiglia Francesco, figlio di Salvatore Castiglia che comandò durante la spedizione dei Mille il piroscafo Piemonte sul quale era imbarcato Garibaldi; Francesco avrà a sua volta un figlio in Marina;

2 – Ufficiale in 2^ Capitano di corvetta Marcone Antonio.

Tenente di vascello Barone De Riseis Arturo (abruzzese di Lanciano);

3 – Tenente di vascello Castiglioni Guido dei nobili Castiglioni (cingolano?);

4 – Tenente di vascello conte De Mouxy de Loche Carlo;

5 – Tenente di vascello Cattani Paolo;

6 – Guardiamarina Tur Vittorio (l’autore di “Plancia Ammiraglio”);

7 – Guardiamarina Savino Francesco;

8 – Guardiamarina Bossi Luigi;

9 – Guardiamarina Gabetti Giobatta;

10 – Guardiamarina De Donato Carlo;

11 – Capo Macch.di 1^ classe Ceriani Antonio;

12 – Capo Macch.di 3^ classe Da Tos Giuseppe;

13 Capo Macch.di 3^ classe Assante Nicola;

14 – Medico di 1^ classe Marantonio Roberto;

15 – Commissario di 1^ classe capitano Politi Giovanni (romano, imparentato con i Politi di Recanati?).

La consultazione del materiale che abbiamo reperito ci ha permesso di ricostruire questo pezzo di Storia, con la quale celebriamo idealmente tutti gli uomini di mare della nostra Marina Militare. Una storia Italiana, ma anche internazionale, a dimostrazione che la vocazione della nostra nazione alle pacifiche relazioni, al soccorso, al rispetto di tutti i popoli, si esprimeva in modo organizzato, con gente motivata e preparata, insomma con i fatti, non con le parole: il motto era “Viva il Re, viva la Patria!” e andavano ad aiutare le altre Nazioni, spesso lasciandoci la pelle. Riportiamo il testo integrale del manoscritto – in alcune parti purtroppo danneggiato e mal leggibile, per mostrare la serietà, la moralità, la dedizione e la competenza di un ufficiale, uno dei tanti che più di cento anni fa trascorsero tanta parte della loro vita a bordo di una nave, lontani dalla loro famiglia, e che spesso donarono parte del loro stipendio ai bisognosi.

 

Il testo originale dal diario del Comandante Francesco Castiglia

 

R. NAVE CALABRIA

prot. n° 662

oggetto: Relazione sulla catastrofe di S.te Pierre dell’8 maggio 1902

a Sua Eccellenza il Ministro della Marina – Roma

Fort De France, 8 Giugno 1902

Credo di interpretare il desiderio di V. E. rimettendole il riassunto delle informazioni che ho potuto raccogliere sulla recente catastrofe che ha ridotta la bella e fiorente città di S.te Pierre, centro più importante di questa colonia, un immenso cumulo di rottami e di ruine, ed ha più o meno gravemente danneggiate tutte le borgate ed i villaggi della costa nord di Martinica su di una periferia di circa 6 miglia di raggio, attorno al terribile vulcano della montagna Pelée. L’ultima eruzione dell’agosto 1851, mentre già si riteneva estinto il vulcano, fu senza gravità limitandosi a ricoprire i tetti delle case e le strade di S. Pierre di uno strato di cenere grigia. Certo quell’eruzione non ebbe lo sfogo che avrebbe dovuto avere, molto probabilmente, per causa di qualche sotterraneo sconvolgimento che, ostruendo il cratere, rinchiuse e comprese fin oggi nelle viscere del vulcano i vapori ed i gas prodotti dalla combustione centrale. Oggi, quelle viscere squarciate dalla strapotente tensione raggiunta da quei gas hanno vomitato il mare di materie laviche che ha sommerso S.te Pierre e devastato il nord dell’isola. L’immenso e spaventoso disastro è appena concepibile alla immaginazione e le cause del cataclisma, nonché le fasi della sua fulminea opera di sterminio e di distruzione, restano tuttavia avvolte nel mistero. Le descrizioni dei pochi superstiti rivelano le differenti impressioni individualmente provate nel terrore di quegli angosciosi momenti ed è difficile, se non impossibile, formarsi un criterio preciso del come si è svolto il terribile dramma. Oltre la missione scientifica americana che ha già iniziate le sue ricerche, altre tre, una di Francia, l’altra d’Inghilterra e la terza russa, sono attese ed è da sperarsi che riescano a rintracciare la natura del fenomeno e le sue cause. Risulta che dal gennaio di quest’anno, agli abitanti dei villaggi dei dintorni della montagna Pelée, si era reso sensibile un odore infetto che si riconobbe provenire dalla solfatara del vulcano, ritenuto fino allora estinto. Questa solfatara, dicono gli antichi del luogo, che era in origine un lago sulla sommità della montagna Pelée, prosciugato in seguito all’eruzione del 1851 ricevette il nome di “Etang Sec” e quindi di “Soufriére”per le emanazioni solforose che si esalavano dal suo fondo. Da quell’epoca nessuno più si recava in quella località, la strada che vi conduceva era abbandonata, l’erba aveva rimpiazzato l’acqua del lago ed in alcuni punti anche degli alberi di alto frutto vi erano cresciuti. Nell’aprile di quest’anno, cupi rombi sotterranei della montagna Pelée e colonne di fumo e piogge di cenere uscenti dalla sua sommità, destarono l’allarme fra gli abitanti di S.Pierre che compresero che il terribile vicino si risvegliava dal lungo sonno. Alcuni touristes ebbero l’idea di recarsi sulla montagna per vedere l’apertura donde uscivano le colonne di fumo e con immensa loro meraviglia invece della Sonfriere trovarono un lago di circa 200 metri di diametro al fondo di un bacino largo circa 800 metri alla sua apertura e circa 300 al fondo, e sulle sui pareti erano alberi coperti di uno strato scuro a riflessi metallici.

continua

Simonetta Borgiani

6 novembre 2019

A 9 persone piace questo articolo.

Commenti

commenti