Esanatoglia, chiesa di Santa Maria Maddalena e annesso ricovero

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In uno dei nostri giri di valorizzazione del territorio maceratese, in compagnia del documentarista Alberto Monti, siamo capitati a Esanatoglia, cittadina dell’entroterra accucciata alle pendici degli Appennini, che la proteggono, le forniscono aria salubre così ricchi di vegetazione come sono e di acqua di eccezionale qualità che scaturisce dalle sorgenti di cui la zona è ricca.

 

Il nome

Il nome potrebbe sembrare a una prima analisi la contrazione di Santa Anatolia, denominazione che risulta dagli statuti del 1324. Ma il paese è ancora più antico, pur se si presume che sia stato impiantato in epoca romana, potrebbe essere di molto precedente perché alcuni studiosi farebbero derivare il nome da Esus, dio celtico della guerra, cui successivamente sarebbe stato aggiunto Santa Anatolia.

 

Il paese

Caratterizzata da sette campanili, la città di Esanatoglia offre al turista notevoli spunti di osservazione, dal le mura castellane lambite dal fiume Esino alle case medievali costruite con blocchi di pietra, dalla fornace quattrocentesca alle strette viuzze acciottolate che regalano improvvisi e suggestivi scorci fatti di archi, loggiati, torri merlate e ripide salite, per giungere fino al fontanile: due grandi vasche sormontate da archi, getti perpetui di acqua gelata, il tutto inserito alla base di una scalinata come se l’insieme fosse un anfiteatro.

Il paese è dominato dall’alto dall’eremo di San Cataldo, arroccato su di un costone roccioso. Tra i gioielli spicca la chiesa di Santa Maria Maddalena.

 

Santa Maria Maddalena

All’esterno, a una prima occhiata l’edificio appare di modesta fattura anche se il portale non passa inosservato ma vi assicuriamo che è un piccolo scrigno ricco di tesori (foto 1). Ve ne raccontiamo brevemente la storia.

L’edificio originario venne probabilmente eretto durante il secolo XIII da monache benedettine dipendenti dall’abbazia di Sant’Angelo infra hostia; poi ce ne è traccia come Santa Maria Maddalena de Ynsula negli statuti del 1324, dove risulta che il Comune elargiva un contributo sia economico che di cera ogni anno. La cera era un po’ come la nostra energia elettrica, importante per avere candele, quindi luce per vedere. La chiesa così come la vediamo oggi fu eretta verso la fine del 1600, dopo che fu demolita quella medievale. In tempi recenti la struttura ha sofferto a causa dei terremoti. Quello del 1997 causò danni ingenti che furono successivamente riparati; evidentemente furono eseguiti dei buoni restauri perché il sisma di tre anni fa l’ha resa sì ancora inagibile ma la struttura ha retto meglio dell’altra volta nonostante le scosse siano state violentissime.

 

L’interno della chiesa

Al suo interno ciò che colpisce immediatamente è la settecentesca cantoria interamente realizzata in legno, tutta suddivisa in spazi dove sono dipinte scene di vita di santi realizzate in maniera davvero notevole (foto 3); anche le parti sottostanti sono istoriate. Una particolarità  curiosa è data dalle grate poste superiormente alla balaustrata: servivano a nascondere le Clarisse, monache di clausura, alla vista degli altri fedeli. La cantoria è completata da un organo attribuito al bolognese Baldassarre Malamini, realizzato nel XVI secolo. Dietro l’altare una sorpresa: la vista si riempie di un coro ligneo perfettamente conservato, imponente e severo, non privo di una certa eleganza (foto 4). Sull’altar maggiore, incastonato in una importante cornice ricca di ori si può ammirare una, decisamente bella, Crocifissione di pregevolissima fattura (foto 2); anche gli altari laterali presentano buone opere d’arte e tutto l’insieme regala una sensazione di composta e decorosa ricchezza.

 

Affreschi nella casa di riposo

Altre sorprese ci attendono nei locali adiacenti la chiesa, oggi utilizzati come casa di riposo dove sono ospitate delle persone anziane. Le pareti, sia quelle del corridoio d’ingresso che del salone sono completamente affrescate con dipinti di pregevole fattura.

 

Il salone

Nel salone campeggiano opere trecentesche, che dalle cornici contornanti i riquadri, dagli abbigliamenti dai ricercati drappeggi e dalla delicatezza dei volti potrebbero essere opera di Diotallevi Di Angeluccio (foto 5 – 6 – 7) .

 

Il pittore

L’artista Diotallevi Di Angeluccio è citato in un testo cinquecentesco di Leonardo Franchi, riferito a lavori eseguiti a San Severino Marche per conto degli Smeducci, come Detalleve Angelutii de S. Anatolia. Di questo pittore esiste a Esanatoglia, nella edicola oggi inglobata nella chiesa del cimitero, un affresco di simile fattura ( pubblicato su La rucola n. 253).

 

Il corridoio

Invece negli affreschi presenti nel corridoio d’ingresso (foto 8-9-10) la mano è diversa, gli abiti sono ornati differentemente e rapidamente, l’incarnato dei volti è più accentuato, il decoro delle ali degli angeli è meno ricercato. Sono egualmente delle belle opere che testimoniano sia la fede di quel periodo storico che il modo di decorare i luoghi sacri come pure quelli delle pertinenze.

Servizio e foto di Fernando Pallocchini

23 novembre 2019

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