Pubblichiamo a puntate il romanzo storico “La battaglia dei Campi Catalaunici”, scritto da Giuseppe Sabbatini e illustrato da Lorenzo Sabbatini, dove accanto alla figura del generale Ezio c’è, protagonista e testimone, il giovane soldato Terenzio, proveniente da Ricina, oggi Villa Potenza di Macerata.
Aurelianum assediata – “Signore! La gente di Aurelianum (odierna Orléans) manda a dire che la Città è assediata e che gli Unni stanno per sopraffare le difese. Se non portate subito ausilio cadrà e saranno il saccheggio e la distruzione”. Ezio, che oltreché di fibra granitica era dotato anche di una calma straordinaria, non dette a vedere alcuna emozione anche se dentro di sé quell’inattesa notizia aveva fatto scattare immediata una molla.
Inferiorità delle forze – Pur essendosi mosso con la massima accortezza, chiamando a sé tutte le Legioni della Gallia, sia quelle campali (che avevano compiti all’interno della Regione) sia quelle limitanee (che difendevano il limes fortificato), in realtà era consapevole della inferiorità di tali forze rispetto alla consistenza delle orde dei barbari invasori. Da buon politico oltreché valido stratega, per questo motivo aveva già allacciato opportuni contatti stringendo alleanze con alcuni dei popoli che ormai da tempo si erano insediati nella Gallia (e questo con il consenso di Ravenna) ma nella realtà non vi era certezza, date precedenti negative esperienze, della lealtà degli stessi e del rispetto da parte loro dei patti convenuti.
Piani in pericolo – Prima di quel momento si sentiva comunque piuttosto sicuro di sé, ma il timore che quanto sin lì immaginato potesse essere disatteso da questa nuova emergenza, con la minaccia portata ad una delle principali Città della Gallia ubicata ben più a sud dei luoghi ove aveva immaginato si sarebbe verificato lo scontro finale, comprese in un lampo che tutti i suoi piani rischiavano di andare in fumo e che occorreva reagire con grande tempestività a questa situazione di pericolo, portato da una direzione diversa da quella in principio immaginata. Attila, utilizzando la velocità di spostamento dei suoi armati a cavallo, era andato oltre e così c’era il rischio di trovarselo alle spalle.
Le casse misteriose – Ezio reagì con la solita straordinaria prontezza e decisione. “Preparate i cavalli! Voglio con me venti uomini di fidata lealtà e di valore, pronti anche a sostenere combattimento”. Rivolto questo pressante ordine, ritiratosi nel lato riservato della tenda, chiamò a sé separatamente uno dei Tribuni che avevano assistito al colloquio disponendo che venisse portato immediatamente alla sua presenza quel Questore che, avvalendosi dei suoi illimitati poteri, aveva fatto venire nei giorni precedenti da Ravenna. Arrivato con numerosa scorta e con pesanti misteriose casse, il Questore le aveva fatte subito collocare nella tenda dell’accampamento a lui destinata, messe accanto al praetorium e da quel momento fatte vigilare giorno e notte da guardie armate.
Il tesoro – Era costui un giovine di bella presenza di nome Vitruvius che aveva militato in una Legione dell’Esercito campale stanziata nella Gallia Narbonense a difesa del territorio di Massilia (l’odierna Marsiglia) finendo per far parte dei Principales della stessa, ma che poi non si era raffermato preferendo inserirsi nella Amministrazione civile con funzioni legate all’erario. In questa nuova veste era stato incaricato di portare all’accampamento di Ezio un tesoro in sesterzi aurei destinato al pagamento dei legionari, ma anche e soprattutto a disposizione del Magister per le necessità di quella campagna militare ed Ezio era dell’idea di servirsene per legare a sé i poco affidabili foederati. Era la disponibilità di questo tesoro che lo aveva tranquillizzato, ma ora l’inattesa notizia dell’assedio di Aurelianum, Città difesa dai foederati Alani con il loro Re Sangibano, aveva fatto precipitare la situazione e bisognava correre ai ripari accelerando l’intervento dei Visigoti del Re Teodorico con il quale in precedenza Ezio aveva intrattenuto ogni rapporto personalmente, non potendo così esimersi dall’andare lui direttamente.
Nella scorta di Ezio – “Terenzio svegliati!” – “Ho sonno e sono stanco”. – “Terenzio svegliati! Questo è un ordine!” La potente voce del suo Decurione Camillo aveva troncato sul più bello un sogno a luci rosse di Terenzio, intento a scambiare carezze con una fanciulla disponibile e procace, sussurrandole tenere parole d’amore nella profumata alcova, ove la bella voluttuosamente celava le sue tornite forme dietro a un trasparente impalpabile velo. “Alzati, preparati con armamento da combattimento e seguimi!” – “Ma!…” – “Niente ma! …; Ezio ci vuole nella sua scorta”. A quel dire Terenzio maturò finalmente che quello non era uno scherzo e così, buttato il suo piacevole sogno alle ortiche, indossò la maglia ferrata sopra a uno stinto giubbetto, cinse la spatha , infilò l’elmo e i calzari, prese lo scudo e il pilum (un modello di giavellotto leggero), e si precipitò nel recinto dei cavalli ove qualcuno aveva già provveduto anche per lui a montare le coperte sul dorso della bestia prescelta.
Partenza per la missione – Erano, i cavalli dell’esercito romano in quel periodo dell’Impero, animali di taglia media, di velocità certamente inferiore a quella dei cavalli arabi, ma dotati di resistenza particolare per poter sopportare il peso di cavalieri armati e percorrere lunghe distanze senza necessità di soste prolungate. Due decurie di cavalieri con alla testa oltre ai rispettivi Decurioni, un Centurione di provata fiducia posto al comando dell’intero drappello erano pronte assieme ad Ezio, preparatosi in veste e con armatura dimesse per evitare di attrarre su di sé l’attenzione di eventuali nemici. La sorpresa per gli equites prescelti per la missione era costituita da una robusta carruca con ruote ferrate, al tiro di quattro cavalli di razza, destinata di certo al trasporto non di sole derrate per il drappello. Nessuno fece domande e d’altronde la grave espressione stampata sulla faccia del Magister non lasciava dubbi sulla importanza della improvvisata missione. Allo scoccare della frusta del cocchiere il trasporto si mise in movimento e il drappello uscì dal castrum inoltrandosi nella brughiera, la cui vegetazione attutiva i rumori del veloce transito. La notte fortunatamente era illuminata dalla luna che brillava alta in un cielo terso, come solo le lunghe giornate di Giugno sanno donare.
La guida – Terenzio, che galoppava in silenzio accanto al Decurione Camillo, pur dovendo fare continua attenzione alle mosse del destriero che procedeva speditamente nonostante qualche buca esistente nel terreno, si accorse che il gruppo degli armati che scortava la carruca era preceduto con breve anticipo da un cavaliere che sembrava scegliere senza esitazione la strada più adatta da percorrere. Giustamente pensò a una guida i cui tratti somatici (l’alta statura e il biondo colore dei capelli e della folta barba) lasciavano comprendere origine sicuramente barbara. Le parole che ogni tanto scambiava con il Centurione erano incomprensibili per Terenzio, che oltretutto era capitato lì solo da pochi giorni assieme alla Legione campale in cui militava e non aveva mai intrattenuto contatti con le popolazioni che abitavano vicino al limes e di cui pertanto non conosceva il dialetto. Spinto da curiosità chiese a Camillo che si era un po’ documentato prima della partenza. “Non conosco il suo nome ma so che è persona di fiducia e pratica dei luoghi per essere un burgundo la cui famiglia è stanziata assieme alla loro gente proprio nel territorio verso il quale ci stiamo dirigendo”.
Vicini al guado – “Silenzio! Non distraetevi! Ci stiamo avvicinando ad un fiume che dobbiamo guadare e occorre la massima attenzione”. Il Centurione aveva percepito il suono delle loro parole e li aveva subito ripresi. Ripensando allora alla molteplicità di eventi che si succedevano senza posa in quella giornata che sembrava non avere mai fine, Terenzio si domandò ad un tratto per quale ragione fosse stato prescelto assieme ai compagni della sua decuria fra le migliaia di altri milites ed equites che erano presenti nell’accampamento, per un compito apparentemente assai delicato. “Non sarà stato per quella volta della battaglia finale contro i Burgundi nel 436?” pensò fra sé e subito un irresistibile brivido gli passò per la schiena. “Ma come? Sono passati solo quindici anni ed ora ci dirigiamo proprio verso la tana di quegli uomini che sterminammo assieme al loro re Gunther. E se qualcuno dei superstiti alla battaglia abita oggi qui e ci riconosce? Passeremo certo brutte ore”.
continua
7 aprile 2020