Una storia a San Ginesio: San Gregorio Magno di don Pacì

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Mi ha sempre affascinato a San Ginesio (Macerata) la chiesa neogotica che taglia in due via Brugiano, dove “vedo” la Fornarina che diede l’allarme all’assalto notturno dei fermani (1377). Il parroco don “Pacì” (Pacifico Ciabocco), una figura speciale. Gli feci da chierichetto, pur se spesso distratto dalle fasce orizzontali bianco-nere dipinte su pareti e colonne delle tre navate a contrasto della verticalità. Fascinosa e calda è la facciata in cotto, decorata con fregi e dalle finestre ogivali. La ricostruzione in stile neogotico risale all’anno 1902 con architetto Caradonna e don Giuseppe Salvi. Ricorda la chiesetta di Pilotti (1906) a Penna San Giovanni, distrutta dal sisma del 2016. Anche la chiesa sanginesina di San Gregorio è inagibile.

La precedente e romanica fu nel medioevo proprietà dei Benedettini di Piobbico-Sarnano. Don Pacifico, già parroco in Collegiata venne retrocesso dalla curia a San Gregorio, perché era uno spirito libero. Negli anni ’30 prese le difese degli evangelisti pentecostali, che erano stati convertiti da una missione quacquera, tra costoro furono compresi i miei zii Rosa Petetta e “Ruà” (Luigi Scagnetti) perseguitati insieme con altri (Polci…) dal Fascio al fine di accattivarsi la gerarchia ecclesiastica. Ma imperterrito don Pacifico Ciabocco tirò dritto, come quando aveva chiamato Adolfo De Carolis (Ndr: nativo di Montefiore dell’Aso, protagonista dell’arte idealista, fu pittore, incisore, xilografo e fotografo) contro tutti per affrescare la Cappella Votiva (1924). “Il mio capolavoro” mi disse una volta. A lui s’ispirò Dolores Prato (docente a San Ginesio 1923-’25) nel romanzo “Campane a Sangiocondo”. Crescendo divenni suo amico e mi confidò che nel 1908 era stato (seminarista senza tonaca e unico cattolico) tra la folla immensa di liberali e massoni all’inaugurazione della statua di Alberico Gentili, opera di G. Guastalla. Ammirando ancora quel finto burbero…

Disegno a china e testo di Vermiglio Petetta

7 luglio 2020

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