Quando mangiavamo li pistacoppi: una usanza maceratese in tempo di fame

Speriamo che questa storia non si ripeta oggi a causa della forte crisi economica. La fame, un tempo, portava i cittadini a fare gesti vietati, per nutrirsi a causa della mancanza di guadagni e di cibo. Il periodo bellico, poi, fu certamente il più tremendo. Per sfamarsi molti alleggerivano il parco dei colombi torraioli, quelli chiamati, alla maceratese, “pistacoppi”. Questo tipo di uccello, nell’iniziale razza selvatica, sembra fosse originario delle foreste tropicali. I racconti e le fantasie sulla sua introduzione in Italia sono molteplici e una storia narra che a importarli furono i veneziani. Dei colombi, infatti, si sfruttava la tendenza a tornare nel luogo di origine e per questo erano ottimi postini, utilizzati per la consegna di biglietti inanellati sulle zampette. C’è chi sostiene che i primi colombi fossero stati inviati a Venezia dal doge Enrico Dandolo per annunciare la vittoria a Costantinopoli e la relativa conquista della città: per la gioia, i due animali sarebbero poi stati nutriti dalla popolazione in festa, e di lì in poi sarebbero proliferati. Quando arrivarono nelle città marchigiane non è dato saperlo, ma di certo dopo la guerra erano scomparsi, tanto che negli anni cinquanta qualche sindaco fece installare alcune gabbie sulle piazzette dei paesi e le fecero riempire di piccioni in maniera tale da farli ambientare e… accasare.

Quando, dopo settimane, furono lasciati liberi, essi tornarono a popolare le torri e tutti gli anfratti delle città. Tornando alla loro cattura e “cottura” i piccioni venivano attirati con un po’ di granaglie sui terrazzi delle case o, addirittura, dentro le stanze. Qui iniziava la caccia di frodo che finiva, puntualmente, in padella. Malattie? La fame era tanta che i pennuti non si salvavano… poi, una volta cotti… i germi finivano arrosto pure loro! O no?

Alberto Maria Marziali

9 agosto 2020

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