Seconda parte del viaggio insieme con il “Coro Sibilla”, una storia tutta maceratese

Print Friendly, PDF & Email

Come ogni organismo che si rispetti anche il coro Sibilla aveva il gruppo dirigente, democraticamente eletto dai coristi a scadenze pluriennali. Alla presidenza del “direttivo fu, per lunga pezza, Lucio Santarelli (il basso per antonomasia di cui ho già parlato) il quale, con l’atteggiamento bonario e conciliante, l’ironia intelligente o la battuta scherzosa, riusciva quasi sempre ad appianare  piccoli screzi e incomprensioni che possono verificarsi – per forza di cose – tra persone diverse per indole e appartenenza sociale. Glissando o addirittura ignorando inopportuni interventi di qualche familiare al seguito durante le trasferte.

Il qui pro quo – Una delle poche volte in cui vidi Santarelli veramente contrariato, fu quando dovette  rinviare impegni già presi, per la mancata collaborazione di una certa signora Luciana Nardi, residente in provincia di Massa Carrara, in merito alla organizzazione e ai dettagli per un possibile concerto (luogo, data, durata della permanenza, alloggi ecc.). Più tardi si appurò che la misteriosa “signora” inadempiente non era altri che la località presso cui avremmo dovuto esibirci: Licciana in origine, cui in tempi successivi era stato aggiunto quel Nardi a ricordo di un eroe della Resistenza. Scoprimmo poi che i liccianesi avevano dedicato al concittadino benemerito un  monumento bronzeo nella piazza principale del paese. Il soggiorno a Licciana fu molto gradevole, con visita al Museo della castagna, prodotto che nella zona della Garfagnana veniva (e viene) sfruttato come naturale mezzo di sussistenza, foraggio per il bestiame, combustibile, concime ecc. Immancabile la faticosa salita alle cave di marmo di Carrara; intesa dai liccianesi come un grosso e sorprendente omaggio agli ospiti marchigiani. A parziale compensazione della faticata, ci procurarono una signorile accoglienza presso un  albergo della vicina Pontremoli. La sera, con Mario, corista mio compagno di soggiorno, ci rilassammo sotto una corroborante doccia, in un bagno grande come un monolocale.

Il caos a Pineto – Durante un afoso mese di luglio andammo a Pineto in Abruzzo, invitati dalla locale Azienda di soggiorno. Con somma sorpresa e disappunto trovammo in loco altre compagini della provincia, che, di iniziativa e a nostra insaputa, si erano accodate al Sibilla. Santarelli si arrabbiò molto con gli organizzatori della località abruzzese,  prevedendo grossi inciampi e contrattempi, che purtroppo si verificarono. Fummo costretti a cantare in una chiesetta gremita di pubblico e coristi, in una confusione totale, con un caldo opprimente, in una alternanza non organizzata né concordata. A mangiare infine, in un self-service inadeguato alle presenze e poco fornito: pollo arrosto e patate fritte a ripetizione. Insomma il Presidente se la prese di brutto e lo rivedo rosso in volto, agitato e sudato, più per l’incavolatura, che non per la calura soffocante.

Un triste lutto – Purtroppo, già affetto da disturbi cardiaci, una settimana dopo il concerto di Pineto, Lucio ci lasciava per lidi migliori, mentre a casa, seduto in salotto si gustava un gelato, prima della consueta siesta pomeridiana. Forse l’arrabbiatura di Pineto non c’entrerà, fatto sta che qualcosa deve essere scattato nell’intimo di quest’uomo buono e accomodante, che smussava prontamente imprevisti e screzi,  pretendendo, nel contempo, l’ordine e l’onestà della parola data. La cosa mi addolorò molto, tanto più che Lucio era mio collega di lavoro e, nella giornata, avevamo operato fianco a fianco fino allo scadere dell’orario d’ufficio. Due ore dopo l’uscita, il “Presidente” non c’era più.

Un altro triste lutto – Già in precedenza la nostra piccola comunità era stata colpita da un altro evento doloroso che avrebbe condizionato tutto il futuro del Sibilla. All’età di appena cinquant’anni era “andato avanti” (giusta un’efficace espressione degli amici Alpini) don Fernando Morresi, il fondatore del nostro gruppo e di altre compagnie di canto, nonché pioniere di un concetto di coralità che in precedenza – fatte le debite eccezioni – non aveva troppo attecchito nelle Marche. Dopo la scomparsa del Maestro, il coro iniziò un nuovo cammino, con l’immediata necessità di trovare un direttore che potesse raccogliere dignitosamente la non facile eredità lasciata da don Fernando.

Il Maestro Luigi Norscini – Si effettuò un’accurata cernita e furono esaminate possibili candidature. Alla fine a salire al timone fu il maestro Luigi Norscini, destinato a guidarci nelle successive avventure. Dopo un necessario periodo di rodaggio e reciproca conoscenza, decidemmo di andare in Sardegna, a seguito di preciso invito, esatta-mente a Orosei in provincia di Nuoro. Per molti di noi (quasi tutti, ritengo) era la prima visita all’isola e per alcuni – forse – fu anche il battesimo del mare, con una tranquilla traversata in traghetto con mare forza zero.

La trasferta in Sardegna – Si iniziò con la trasferta da Macerata a Civitavecchia, porto di imbarco per l’isola. Come sempre a corto di risorse economiche e poiché c’era da “passà ‘a nuttata” a bordo della nave, prima del definitivo attracco al porto di Olbia, dovemmo adattarci a sonnecchiare dalle 22 alle 7:30/8 del mattino seguente sulle poltrone in plastica della classe economica. All’arrivo venne a prelevarci un elegante pullman, pilotato da Peppe, autista-cicerone, che nel collinoso tragitto tra sughereti e improvvise apparizioni di vestigia nuragiche, trovò modo di illustrare con dovizia di particolari e scioltezza di linguaggio le caratteristiche del territorio, le varianti agricole e artigianali, esaltando il culto di un’autonomia dalle radici antiche, arricchendo il tutto con battute di spirito e simpatiche allusioni. La cittadina che ci ospitava, celebrava la ricorrenza del Santo Patrono; erano perciò previste varie manifestazioni come riti religiosi, bande musicali, sfilate in costumi tipici, stand gastronomici con assaggio e degustazione di prodotti locali. Tutto ciò che fa da contorno ad accadimenti popolari come questi.

La calorosa accoglienza – Fin dalla mattinata del nostro arrivo, dopo aver consentito di rinfrescarci in albergo e riprenderci dalla scomoda nottata in mare, ci accompagnarono in giro per le vie del centro; si respirava un’atmosfera di leggera euforia e di simpatica consonanza d’intenti. C’era gente che, plaudendo alla nostra presenza, ci invitava a entrare nelle abitazioni o si appressava alle porte di casa offrendo ai coristi e ai parenti al seguito vassoi di dolciumi tipici e vini liquorosi. Dalle finestre o dalle ringhiere dei balconi pendevano pesanti drappi o coperte riccamente ricamate, in un tripudio di esaltanti variazioni cromatiche. Questo clima d’inusuale accoglienza ci seguì fino all’ora del pranzo collettivo, in cui ci fu data l’occasione di assaggiare il celeberrimo porceddu e il croccante pane carasau. Qualche ipercritico obiettò – per fortuna a mezza voce – che le nostrane “porchette”, a confronto, erano assai più sapide e appetitose del tanto decantato manicaretto sardo!

Lo spettacolo – In serata, su un palco eretto nella piazza centrale, cantammo in modo decente sotto la bacchetta del neo direttore, alternandoci alle esibizioni di ballo e canto di gruppi in costume tradizionale venuti da altre località dell’isola. Passi cadenzati in strette simmetrie e composte coreografie spesso in un abbraccio circolare, a indicare forse la necessità di una coesione e armonica condivisione di vita risalenti agli albori del tempo. Un caleidoscopio di neri, verdi e rossi nell’abbigliamento tipico dei danzatori e nei preziosi  ornamenti della fanciulle dagli sguardi morbidi, alteri e penetranti. Ebbe molti consensi il presentatore del  coro venuto dalle Marche, il quale volle cogliere strane assonanze tra l’idioma locale e… il dialetto maceratese più stretto.

Il sacerdote amico di don Fernando – Il più felice, nella circostanza, fu un sacerdote di origini sarde (Don Cossu) officiante in loco che, dopo la nostra esibizione, libero dagli impegni rituali, venne ad abbracciare maestro e coristi, nel commosso ricordo di don Fernando che aveva conosciuto e stimato durante un periodo di vita professionale trascorso a Macerata presso il locale Istituto Salesiano.

A Rovereto – In alcuni di questi viaggi collettivi abbiamo avuto l’opportunità  di visitare – seppure fuggevolmente – luoghi che hanno lasciato, almeno per quanto mi riguarda, una traccia indelebile per contenuti estetici ed emozionali. Mi risuona nell’orecchio l’esibizione canora, sommessa e commossa, sotto la celebre campana dei Caduti di Rovereto (di cui conservo ancor oggi un modellino standard). La campana, del peso di circa 200 quintali, alta più di tre metri, è posta in un ampio piazzale panoramico, ornato da bandiere di varie nazioni. Tra bassorilievi e decorazioni allegoriche, si leggono, fuse nel bronzo, queste parole: “Nulla è perduto per la pace, tutto può essere perduto con la guerra”. Un monito a cui dovremmo tutti prestare la dovuta ossequiente attenzione.

L’abbazia di Novacella – Come non ricordare l’Abbazia di Novacella  stupendo complesso architettonico nel paesaggio dolomitico, composto da edifici di varie impostazioni stilistiche; inglobata nell’Abbazia la chiesa, in uno stile barocco esasperato, quasi lezioso, tra stucchi e ornamenti tendenti al color rosa/confetto. Capitati durante la celebrazione di una Messa, costretti in fondo al tempio e osservati con curiosità dagli astanti, stavamo tutti con il naso all’insù, abbacinati dalla monumentalità degli interni, a rimirare le soffittature, ridondanti di volute, putti alati e vetrate policrome. La messa era celebrata in tedesco con gli accenti gutturali e rudi di una lingua che risuonava per noi estranea e poco consona alla sacralità del rito. Qualche voce maliziosa del coro, invece del dovuto “Amen” rispondeva agli inviti del celebrante, con un sommesso “Jawohl”...

La “ruffianata” in dialetto veneto – Una delle tante trasferte fu quella di Chiampo in provincia di Vicenza, in un territorio caratterizzato dalla presenza padronale della famiglia Marzotto. Ci esibimmo in una chiesa (forse la Parrocchiale) gremita da un pubblico festante ed eterogeneo, curioso di conoscere le voci della Marca. Chiampo è a un tiro di schioppo da Trissino, località sulla linea turistica che transitando per Valdagno va su su fino a Recoaro Terme. In queste zone, decenni addietro, un mio zio aveva esercitato le funzioni di medico“condotto”. Questa volta, presentando il concerto, cercai la complicità dell’uditorio citando i miei trascorsi veneti quando, da toseto, venivo ospite dello zio dottore. Vidi molte teste canute annuire, quando ne citai il nome. Evidentemente qualcuno lo ricordava. Confortato dal favorevole approccio, mi lanciai in una testimonianza verbale che suonava così: “C’è qualcuno dalle vostre parti che parla ancora de la scarsela del traversato” (la saccoccia del grembiule da fatica). La risata corale fu scontata risposta all’interrogativo e benevola critica alla mia pronuncia. L’espediente servì a conquistare il pubblico e invogliarlo ad accettare un complesso che “osava” varcare il territorio dei “Crodaioli”, celeberrimo coro di Arzignano diretto da Bepi de Marzi, figura di artista, poeta e compositore, arcinoto in Italia e all’estero.

I motori “truccati” – Dormimmo assai poco a Chiampo nella nottata seguente al concerto, non tanto per la consueta cena collettiva e le inevitabili libagioni durante e dopo la cantata (d’altronde la nostra partecipazione era connessa alla tradizione locale della Festa dell’uva) quanto all’assordante rombare di motori imballati, proveniente da un rettifilo asfaltato che passava rasente all’albergo. Erano, ci dissero, automobilisti d’occasione che, con i motori truccati e modificati, si esercitavano di notte sul chilometro lanciato! Nel pieno centro del paese e a pochissimi metri dall’Hotel che ci ospitava. 

Buona la grappa di Bassano! – Durante una sosta a Marostica, i maceratesi si esibirono – tra l’ilarità dai presenti – in una gustosa parodia della partita a scacchi sulla piazza della cittadina veneta, nota per quella manifestazione folcloristica. A Bassano del Grappa, foto di rito sotto le arcate dello storico ponte e poi una visita a una rinomata distilleria del centro, con assaggio del liquore che ha dato nome alla località. Alle 10 del mattino eravamo tutti un po’ alticci. Nella successiva visita al Museo degli Alpini, nei pressi del ponte, Pierluigi F. (quello del registratore Grundig) si avventurò, forse in conseguenza dei fumi dell’alcol, in una piacevole recitazione in stretto vernacolo marchigiano dei versi di Mario Affede dedicati a Macerata. Tripudio degli astanti che apprezzarono l’estemporanea interpretazione in un idioma così lontano da quello locale.

Il Maestro Fabiano Pippa – In altra occasione – stavolta addirittura a Bolzano in un teatro con pareti e soffittature tutte in legno massiccio e dall’acustica miracolosa, dovetti ripetere lo stratagemma già provato a Chiampo. E, in un veneto zoppicante, affermai che la dimostrazione di spontaneo apprezzamento del pubblico era come un cucchiaio di sciroppo ricostituente per un gruppo del Sud che stava facendosi le ossa, cercando di imparare con umiltà e  tentando timidamente l’approccio a un linguaggio musicale non proprio congeniale alle tradizioni e alle ugole del centro Italia! In questo coro maceratese sono tante le storie da raccontare e sono tanti i protagonisti, alcuni dei quali purtroppo scomparsi nella implacabile “sinfonia” del tempo. Oggi il Coro Sibilla, diretto dal Maestro Fabiano Pippa, rinforzato e ringiovanito nel suo organico, musicalmente cerca nuove strade, estendendo il già collaudato repertorio a musiche e melodie più adatte ai tempi e alle esigenze del pubblico odierno. Attualmente il Coro è una delle più apprezzate compagini della nostra regione. Forza ragazzi, avanti così, in piena armonia e concorde unità di intenti!

Il link della prima parte: https://www.larucola.org/2020/12/29/inizia-da-macerata-il-lungo-viaggio-con-il-coro-sibilla-di-don-fernando-morresi/

Goffredo Giachini

9 gennaio 2021

 

Sii il primo a dire che ti piace

Commenti

commenti