Dal campo di concentramento di Vellingen l’“anello dei ricordi” di un padre

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Caro babbo, come posso non pensarti… ogni giorno che trascorre aumenta il rimpianto di te. Basta che il mio sguardo si posi sull’anello che mi hai lasciato e che non ho più tolto dal momento della tua morte. Non è d’oro, neppure d’argento ma è il più prezioso gioiello che io abbia mai posseduto. Spesso gli do un bacino ed è come se il bacio lo dessi a te.

I racconti del babbo –  Eri prigioniero di guerra in un campo di concentramento in Germania e ti avevano messo ai lavori forzati sulle ferrovie di Vellingen. Fin da quando ero bambina, dopo che tornasti a casa, finita la guerra, mi raccontavi le tue vicissitudini sui campi di battaglia; mi prendevi sulla ginocchia e, davanti al caminetto, mentre la mamma era intenta alla polenta sul paiolo, mi raccontavi le storie che sempre hai tenuto nel cuore, perché certi episodi significativi di vita lasciano un segno incancellabile che non è possibile dimenticare.

Un discolaccio generoso – Ma tu, per alleggerire i racconti li intramezzavi con battute spiritose e simpatiche: la tua simpatia era proverbiale, una tua prerogativa fin da ragazzo. Non per niente ho potuto scrivere un libro dedicato a te, alle tue avventure birichine di scavezzacollo delle Fosse. Quante ne hai combinate! Scavezzacollo sì, discolaccio pure ma, tanto, tanto generoso e di gran cuore.

Quel fucile puntato in alto – Prima della Costituzione tu sentivi già il desiderio della dignità sociale di ogni cittadino. Mi raccontavi che in guerra non avevi il coraggio di sparare sul nemico e il fucile lo puntavi in alto per non colpire un uomo che poteva essere padre come te, o figlio di una madre che sospirava ardentemente il ritorno a casa della sua creatura.

La corsa delle pulci – Eppure, nei momenti di tregua, tu e i tuoi compagni di sventura avevate il desiderio di evadere, almeno per qualche istante, da quella vita gravosa, condizionata da tante rinunce. Nella sporcizia in cui eravate costretti a vivere le pulci erano un tormento ma vi servivano anche come distrazione. Mi raccontavi che le mettevate in fila sul pavimento per farle correre: vinceva la pulce che giungeva prima al traguardo. Tu, da sotto le ascelle, prendevi la pulce rossa che conservavi con cura poiché era quasi sempre la prima a giungere al traguardo. Che simpatico modo per ingannare il tempo, che bel modo per trarre da tanto squallore un momento di spensieratezza.

Il soldato nemico salvato – Indelebile il racconto che mi facesti in una serata d’inverno, mentre di là dai vetri scendeva fitta la neve. Sulla frontiera di combattimento, dove il ghiaccio era padrone assoluto, ti imbattesti in un soldato nemico accasciato sulla neve: non poteva più reggersi in piedi perché gli si erano congelate le estremità. Sarebbe sicuramente morto congelato. Con eroico coraggio, colmo di umanità, te lo caricasti sulle spalle e dopo un lunghissimo tragitto, che ti sfiancava, lo portasti all’ospedale di campo affinché lo salvassero. A te non importava che fosse nemico, era un uomo che soffriva e che non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere. L’importante era ascoltare il tuo cuore che ti spinse a essere compassionevole. Molto più tardi venisti a sapere che il soldato si era salvato, evitando l’orribile amputazione dei piedi. Sì caro babbo, sei stato un eroe e questo anello con il quale voglio andare nell’aldilà mi ricongiunge continuamente a te.

Le patate – Da prigioniero lavoravi nelle ferrovie e anche agli impianti di tubazioni e da un piccolo tubo di acciaio ricavasti, con la tua fantasiosa abilità, questo prezioso anello che mi ricorda il più significativo dei tuoi racconti. A volte ti capitava di lavorare in un campo di patate e, quando riuscivi a eludere i sorveglianti, estraevi di soppiatto alcune patate dal terreno e le nascondevi gelosamente in un sacchetto tenuto sotto la divisa, per poi cuocerle a fette sulla stufa di ghisa dell’accampamento. Servivano per incrementare la tua magra cena e quella dei camerati. Le condividevi con tutti, specialmente con i camerati più deboli che sapevi essere trattati molto male e, spesso, malmenati. Il rispetto per ogni uomo era per mio padre una regola di vita.

Nasce l’anello – Intanto che le patate cuocevano tu tagliavi e modellavi con pazienza e creatività il piccolo cerchio che ora indosso con grande orgoglio e ambizione, perché è, come una vèra, il cerchietto che mi unisce a te, un simbolo di fede nella speranza di ritrovarci nell’aldilà. E… il momento dell’incontro sarà la grande festa ardentemente anelata dal mio cuore di figlia. E là avremo raggiunto la libertà che non ha confine.

Libertà e dignità sociale – Sì caro babbo, questo anelare alla libertà e il valore della dignità sociale si sono inculcati nella mia vita, grazie a te, a ciò che mi hai trasmesso con il tuo agire di persona retta e sincera. Quando, dopo la guerra, è stata promulgata la Costituzione, questa sembrava ricalcare ciò che tu già avevi nel DNA. Anche l’amore per il paesaggio e per il patrimonio storico e artistico mi trasmettesti, facendomi osservare quanti valori abbiamo nella nostra Italia. Il desiderio di viaggiare per scoprire le bellezze d’arte del nostro Paese non si è mai spento in me e neanche il godimento nell’osservare la bellezza della natura in questi nostri verdi paesaggi da favola.

Se ami i fiori non coglierli – Un giorno mi conducesti ai giardini pubblici e io, staccando la mano dalla tua, andai di corsa su di un’aiuola dove pullulavano le margherite, per coglierne alcune. Non dimenticherò il rimprovero che mi facesti: “Se ami i fiori non coglierli, accorci loro la vita; queste margherite stasera saranno appassite, se le avessi lasciate nel prato la loro bellezza sarebbe durata per giorni!” Ancora oggi non amo i fiori recisi: mi ricordano l’episodio.

La Fonte delle Trippe – Mi sovviene un altro accadimento. Nelle tue passeggiate, ormai da pensionato, scopristi che durante scavi fuori dalle mura di tramontana, a Macerata, per costruire una strada scorrevole al traffico, era stata dissepolta un’antica fonte dove le donne un tempo andavano a lavare i panni. Hai voluto che venissi con te per mostrarmela: “È storica – mi dicesti – è la testimonianza della vita del passato, è la ricchezza secolare lasciata dai nostri avi che va conservata gelosamente anche in vista dello sviluppo della cultura”. In effetti, la Fonte delle Trippe è ancora là, salvaguardata saggiamente dai lavori della strada, testimone di un passato, a indicare che il patrimonio storico e artistico della nazione è un tesoro da conservare, specialmente per i posteri, protesi a sempre nuove ricerche. Grazie, caro babbo, grazie davvero per tutto ciò che mi hai trasmesso con il tuo grande cuore di cittadino esemplare.

Anna Zanconi

2 marzo 2021

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