Arrivano i rinforzi per la “nostra” storia medievale: Statuti e annali… d’Aspremont

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Nel 2018 ci occupammo de La Chanson d’Aspremont (la Rucola n° 238), il poema epico medievale ambientato in Aspromonte, che narrava una battaglia tra gli eserciti di Carlo Magno e del saraceno re di Spagna Agolant. In questa battaglia, nei pressi di una fontana, la storia narra che il paladino Orlando taglia la testa a Agolant.

Gli Statuti di Montefiore dell’Aso – L’ambientazione ufficiale è l’Aspromonte in Calabria, ma curioso che a Montefiore dell’Aso, dove uno dei colli si chiama Aspromonte, c’è una tradizione che racconta più o meno la stessa storia, menzionata negli Statuti Comunali del 1569. Grazie a Gianfranco De Carolis, montefiorese doc, aggiungiamo qualche elemento.

Secondo i citati Statuti, si legge questo: Fama est enim, Collem ipsum, alias Aspramontem nuncupatum, istuque Carolum Magnum quondam Gallorum Regem, ac Romanorum Imperatorem pro pontificia dignitate conservanda, ac tuenda Religione Italiam ingressum cum exercitu considisse, ad Rotolandum eius nepotem strenuissimum, ac primarium in re bellica ducem Almontem hispanum Regem ferocissimum virum (ceu quondam Achilles Hectora) casside nudatum interfecisse. Cuius rei vel urgens indditium esse potest Fons Quidam, unde lympidissimae scaturiunt aquae, qui ad haec usque tempora antiquum retinens nomen “Fons Aspramonti” appellatur. Fit homines quasdam gravissimae aetatis, ac fidei memini pluribus ab hic annis audisse asserentes, ibi Ulmum dicebant, quod illuc equum Rotolandus post consequntam victoria, alligasset. Hinc etiam in memmoriam tantae victoriae ab ipsa Carolo Ecclesia sub Dini Vectorini nomine in colle erectam, ac aedificatam, quae in haec tempora durata, fuisse credunt. Haec, ac sepulchra plura ibidem comperta, et mire magnitudinis humana capita, et galeae, ac gladiis, ac tube, ac coetera huismodi bellica instrumenta testantur. His etiam fidem addebat Lapidea quaedam Tabula gallicis inscripta literis, ac in frontispicio Fontis apposita, ac demum non multis ab hinc annis ab aliis eiusdem gentis Italiam reversis, ac inde transeuntibus exportata”.

Breve traduzione – Carlo Magno, in memoria di questa vittoria militare e religiosa, fece costruire una chiesa dedicata a San Vittorino, sopra un preesistente edificio sacro (oggi nello stesso luogo c’è la chiesa di San Pietro). Sul frontone della fonte invece, oltre ai trofei appesi, fu apposta una targa in pietra con una iscrizione commemorativa: questa pochi anni dopo fu però portata via da due stranieri.

Documento da un annuario – C’è anche un altro interessante documento, tratto da un annuario del 1865 che proviene dall’archivio privato di Ginevra Giovannetti, persona facoltosa del luogo: Quivi avvenne la famosa battaglia tra l’esercito di Carlo Magno capitanato dal nipote Rotolando (Orlando) e gli Spagnoli guidati dal loro Re Almonte – e proprio presso una fontana tuttora chiamata Aspromonte avvenne lo scontro di cui parla Ariosto nel canto 1° del suo meraviglioso poema.“Che Ferraù giurò per la vita di Lanfusa/ Non voler mai c’altro cimo lo coprisse/ Se non quel buono, che già in Aspromonte/ Trasse dal capo Orlando al fiero Almonte”. In memoria di questo fatto Carlo Magno fece erigere un Tempio a San Vittorino sul colle che attualmente porta tal nome, e sulla fronte della fontana fece porre una lapide commemorativa, che dai Francesi, venuti in Italia con Carlo D’Angiò, venne trasporta in Francia come una memoria di gloria nazionale. Ma fra le guerre intestine, e il reggimento feudale così esiziale alla prosperità delle masse, Aspromonte, già nei documenti chiamato fin d’allora Monte Fiore, perdé sempre più della sua prima fama fino ad essere poco dopo il nono secolo un ammasso di rovine. Senonché ceduta la contea di valle Fiorita alla famiglia Pandolfi in benemerenza dei servigi resi al battagliero Pontefice Giovanni XIII, questa non solo ricostruì Montefiore, ma lo fortificò in modo da offerire un munitissimo asilo. Di tali fortificazioni, non è molto, rimaneva ancora in piedi un Arco a sesto acuto chiamato volgarmente Arco Pinto, ed in fronte del quale leggevasi questa iscrizione, ora andata miseramente perduta: “Incarnationis dominicae, anno millesimo V, indictione tercia, tempore  Domni Johannis Pape XVIII, die Vicesimo Sexsto Aprel in hoc opus faciunt fieri tempore Pandol… com Pef. et Bartholomeus(…)”. Nel 1100 i Conti di Montefiore sposarono la parte ghibellina, per cui da Federico Barbarossa si ebbero molte grazie e privilegi. Nel 1260 fece qui lunga dimora l’antipapa Urbano IV, e nella chiesa di San Francesco tuttora leggesi: Urbanus papa IV me benedixit anno domini MCCLXIV.

Quando sparì la targa? – Da questi annali gli stranieri degli statuti Comunali sono diventati Francesi al seguito di Carlo D’Angiò. Quale Carlo D’Angiò? Deve essere il 1°, con il quale Ubano IV (papa dal 1261) stipulò accordi per osteggiare il potere degli Svevi in Italia. Se nella chiesa di San Francesco troviamo scritto che Urbano IV passò molto tempo a Montefiore tra il 1260 e il 1264 (missioni diplomatiche?), abbiamo il sospetto che la sparizione della targa sia avvenuta in questo periodo. Come mai si sa chi è stato a portarla via nel 1800 e non lo si poté scrivere nel 1500? E come mai negli annali del 1800 Urbano è definito “Antipapa” mentre è ufficialmente papa? Non possono essere degli errori. Gli statuti sono documenti ufficiali sottoscritti dai notabili della Città e ogni parola è misurata. L’autore degli annali del 1800 non può essersi inventato ciò che scrive. Le parole sono opportunamente scelte in base all’aria (politica) che tirava in quel momento.

La strategia della damnatio memoriae – Ora parliamo di una strategia: la damnatio memoriae. Si fa portare via dai francesi la targa commemorativa, rappresentativa dell’orgoglio franco, nel tempo in cui gli imperatori “germanici” stavano perdendo terreno e venivano combattuti ed eliminati. Che fine farà la targa? Un souvenir, uno dei primi strumenti di quella damnatio memoriae che iniziò già dopo il 1000 ed ebbe il suo culmine nel 1700 con Napoleone che si porta in Francia la storia “francese”, e nel 1800 con i tedeschi che si portano in Germania la storia “germanica”. Le storie sono le stesse, cambia la geografia mettendo Aachen a confine tra i due Stati per giustificare la spartizione di personaggi, luoghi ed epoche. Forse è qui che tutto cominciò, con un papa nato a Troyes e istruito a Parigi, che tesse intrighi con il figlio del re di Francia (titolato re di Sicilia, re di Napoli, re del nuovo regno di Arles), e una targa che dal nostro Aspromonte va in Calabria, dove questo toponimo nel 1200 forse non c’era ancora, e gli stornellatori non erano ancora diventati tutti “di scuola siciliana”. Poi nessuno si ricorderà di Carlo Magno, Rotolando e Agolant che si battono vicino alla fontana marchigiana. Peccato che esistano ancora gli Statuti comunali del 1569, gli annali del 1865 e le memorie leggendarie di qualche anziano.

Simonetta Borgiani

31 marzo 2021

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