Il romanzo storico: “La battaglia dei Campi Catalaunici” – XV puntata

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Il raduno Ufficiali era stato convocato da Ezio nel principium dell’accampamento ed era molto affollato essendovi confluiti tutti gli Ufficiali delle Legioni, nonché molti dei Principales, che erano ovviamente i più numerosi. Il Magister utriusque militiae voleva tenerli al corrente degli sviluppi della situazione perché era arrivata notizia di sanguinosi scontri già in essere nei paraggi fra gruppi di Franchi, anch’essi foederati con i Romani e un’orda di Gepidi, alleati degli Unni. A cose fatte si parlerà addirittura di 30.000 morti in questi combattimenti, ma la cifra era sembrata davvero esagerata. Sta di fatto che ormai tutti compresero che il giorno dopo la vera Battaglia avrebbe avuto inizio.

Il discorso di Ezio – Ezio pronunziò un elevato discorso: “Siamo gli ultimi difensori delle nostre terre, sempre più spesso violate. I Barbari sono ovunque ed ora minacciano di impadronirsi delle ricchezze delle nostre genti, saccheggiando ed uccidendo nelle Città e nelle campagne. Gli Unni, che ora li guidano, sono esseri feroci e senza Dio. Non siamo soli a combatterli e, se insieme vinceremo, la civiltà e la pace romana torneranno ad illuminare il mondo. Dalle nostre terre sorge un grido di aiuto e di dolore, tutti aspettano da noi la speranza di porre fine alle scorrerie di questi predoni. Nel ricordo di Costantino che come auspicio di vittoria prese la Croce, io dico a Voi: così facendo noi vinceremo!”. E, detto fatto, a modo di grande rispetto si segnò la fronte, il petto e le spalle.

Morale alto – Una viva sorpresa ed un senso di intensa partecipazione si dipinsero sui volti di quei rudi soldati che assistevano alla scena e subito, di conserva, tutti si segnarono commossi, toccati da quelle parole e decisi a vendere cara la pelle. Nessuno si aspettava che Ezio, conosciuto come brillante politico e al tempo stesso illuminato stratega, covasse nel suo cuore così profondi sentimenti. Da quel momento tutti maturarono la volontà di combattere donando sé stessi alla causa comune e tornarono ai loro reparti per infondere entusiasmo e coraggio nelle menti dei loro uomini. Ognuno conosceva il posto assegnato nello schieramento e pertanto l’ottimismo e una certa serenità di fondo erano all’ordine del giorno e il morale delle truppe era, come suol dirsi: alto.

Il discorso di Attila – Nel campo avverso la situazione era pressoché uguale. Anche Attila pronunziò il suo discorso, il cui senso è giunto fino a noi grazie al resoconto fattone da uno storico Goto, Jordanes, vissuto nel VI Secolo dopo Cristo: “Unni, voi siete nati per la guerra ed oggi avete la possibilità di dimostrare al mondo il vostro coraggio. I nemici non meritano di essere accostati a voi. Spezzate loro gambe e nervi, cadranno perché sono deboli al vostro confronto. Perché mai la fortuna ci ha assistito sin qui se non per trionfare anche in questa decisiva battaglia? Sarò io il primo a battermi assieme a voi e chi si tirerà indietro sarà come se fosse già morto”. Un formidabile grido di guerra si levò a quelle parole, accompagnato dall’assordante rumore delle asce calate con forza sul ferro degli scudi.

I dubbi di Attila – Ma Attila, che così suscitava l’entusiasmo dei suoi armati, dentro di sé covava -mai come questa volta- un dubbio atroce sulla convenienza di attaccare il nemico o di attendere ancora gli eventi. Probabilmente l’incerto esito degli scontri notturni dei Gepidi suoi alleati con i Franchi aveva fatto riflettere che la vantata forza combattiva degli Unni forse si era un po’ spenta dopo una lunga serie di combattimenti, concentrata in breve tempo ed intervallata da lunghe marce a tappe forzate. Vi era poi l’incognita dell’importanza che poteva avere la presenza della collina al centro del campo di battaglia; un ostacolo che poteva rallentare la potente spinta della sua cavalleria. Pesava infine il negativo responso degli aruspici che, come una sorta di iattura, influenzava la credulità di un soggetto abile e ardito quanto si voglia, ma pur sempre un barbaro dotato di istinti primitivi, inconsciamente portato ad attribuire grande peso alle parole degli indovini.

Il vaticinio – L’unico aspetto favorevole era stata la previsione della morte in battaglia di un condottiero nemico. C’era di mezzo l’odio che aveva in cuore nei confronti del Romano, maturato a seguito di tante precedenti vicende e questo aveva suscitato in lui l’idea, poi trasformatasi in profondo convincimento, che a morire sarebbe stato proprio Ezio, simbolo e baluardo in quei momenti dell’Impero. Esitò dunque ancora per tutte le prime ore di quel venti di giugno, ma dopo essere riuscito a far consolidare il suo campo trincerato ove ritirarsi se le cose fossero andate male, dette infine l’ordine di muovere all’attacco.

Lo spettacolo delle truppe romane – Ezio non poteva più attendere e si era mosso in anticipo. Le schiere dei Visigoti sulla destra e degli Alani al centro erano uscite dai loro accampamenti e già avanzavano precedendo le Legioni romane che, tirate a lucido con elmi, cotte di maglia ferrata, armi e scudi stavano per uscire dal castrum. Ed ecco il momento: al segnale di cento buccine, si spalancano le porte ed escono le Legioni. I vessilliferi in testa con le loro pelli d’orso e di leone; i cornicen e i tubicen soffiando a più non posso nei loro sonori strumenti; con i simboli: l’aquila, il toro, la lupa, il leone, l’ariete; i labari con la Croce. Le coorti schierate, una dopo l’altra, ognuna con la propria insegna: un’asta di lancia con ghirlande o falci di luna, il numero. Fuoriescono e subito assumono il loro passo di marcia cadenzato dal rullo dei tamburi e fortificato dal suono penetrante dei corni e delle trombe. Terenzio non crede ai suoi occhi: uno spettacolo nuovo di suoni e sgargianti colori: il freddo scintillio dell’acciaio di migliaia di lance e di spathae; il rosso delle tuniche e dei labari al vento; lo stimolante, ossessionante ritmo dei tamburi che comanda il passo di mille e mille soldati; gli ordini secchi impartiti dagli Ufficiali, rimbalzati da quei Principales, che costituivano il nerbo più forte di tutta l’Armata.

Forti emozioni – Pulsano i cuori dei veterani: Furio Camillo è tornato, con il suo ferro a riscattare la Patria; Scipione è tornato, a caccia di elefanti, a vendicare il Trasimeno e via via tutti gli altri, con in testa Cesare, il conquistatore di quella Gallia, per la quale ora i novelli Romani vanno a morire. Ordinati e decisi avanzano i Legionari e nulla può più fermarli perché lo spirito è forte e la certezza della vittoria li assiste.

Il vecchio re Teodorico – All’incredibile vista di quella massa di luccicante acciaio, di cuori e di menti protesi contro l’ostacolo, cancellati di colpo dubbi, paure ed angosce accumulati in quel tempo incerto, reso buio da recenti e gravi sconfitte, il guazzabuglio di Goti, di Alani, di Franchi e Burgundi, incantato e stupefatto si fermò e li attese. Per camminare con loro. L’ultimo baluardo di Roma era lì e pure loro all’improvviso si sentirono Romani. Sguainata la spada, il vecchio Re Teodorico, a cavallo, balzò alla testa dei suoi ed invano Torrismondo il figlio più forte e coraggioso lo invitò a risparmiarsi. Mulinando in alto la spada, come rivivendo i suoi giorni migliori, incitava a gran voce i suoi Goti, che correvano incontro al destino. Sangibano non era da meno e non era per l’oro dei sesterzi che aveva incassato; alla Storia non si può rinunziare ed infine l’aveva capito. E la Storia non l’ha certo obliato, sol per questo ancor oggi di lui facendo menzione.

Ezio, defilato a cavallo, controllava – “Ed Ezio?” si domanderanno a questo punto i miei affezionati lettori giunti sin qui senza correre da subito a sfogliare l’ultima pagina di ogni buon giallo che si rispetti. Ezio era lì ma, da Condottiero prudente e sagace qual era, sorvegliava l’andamento degli scontri stando defilato a cavallo, circondato dai più valorosi guerrieri della sua Guardia, fra i quali primeggiavano due giganti: Optila e Thraustila, che tanta parte rivestirono in prosieguo nella Storia di quei tempi. Ezio aveva con sé i suonatori di buccina a mezzo dei quali impartiva ordini sonori alle sue truppe, utilizzando anche i messaggeri a cavallo e così mantenendo i contatti con tutti i Legati legionum, che partecipavano direttamente alle operazioni stando in campo; la tecnica dell’epoca non offriva di meglio ed ogni bravo stratega doveva poter adattare i suoi piani all’evolvere delle situazioni.

Movimenti di truppe – Certo Ezio si preoccupava soprattutto di conoscere l’esito delle mosse dei reparti incaricati di raggiungere ed occupare la collina prima che fosse caduta in mano nemica. Attila a sua volta, essendosi avviato con qualche ritardo per le ragioni che conosciamo, volendo riguadagnare il tempo perduto e non avendo previsto l’avanzata dei Romani che aveva immaginato viceversa votati solo alla difensiva, aveva affidato il compito di occupare la collina ad un reparto scelto dei suoi guerrieri, che dunque si stava anch’esso dirigendo sul posto, accompagnato da Lupus, l’ex Legatus legionis di Ezio, che aveva disertato e svelato agli Unni l’operazione tattica compiuta dai Romani per crearsi la riserva di armi in cima al colle.

In campo anche Terenzio – Dalla direzione opposta erano in arrivo al galoppo le dieci turmae romane con il “nostro” Terenzio, al comando di un Praefectus e del Centurione di fiducia di Ezio. Dopo aver inizialmente compiuto la marcia di avvicinamento assieme al resto della loro ala di cavalleria, questi squadroni si erano infine lanciati a briglia sciolta tentando di non farsi notare troppo dal nemico e potersi guadagnare una posizione difendibile, dopo aver ritrovato il deposito. Ne facevano parte anche alcuni dei genieri che avevano nascosto le armi nei giorni precedenti affinché, sotto la loro guida, il ritrovamento fosse più agevole. Arrivati ai piedi del colle e prima di addentrarsi nel sottobosco per salire, i trecento legionari che componevano le turmae liberarono i cavalli, affidandoli per riportarli indietro ad alcuni cavalleggeri che li avevano accompagnati, ottenendo da parte degli stessi, nella speranza di poterla davvero raccontare…, l’assicurazione che a cose fatte sarebbero tornati a riprenderli. Nel frattempo, nelle piane, avvenivano i primi scontri armati. continua

Giuseppe Sabbatini – illustrazioni di Lorenzo Sabbatini

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27 aprile 2021

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