Il rapporto uomo-natura, cibo-territorio, ha preso una ripida discesa e c’è da frenare

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Previsioni poco rassicuranti per il nostro futuro proseguendo con il sistema corrente: cancro, diabete, neonati autistici, infertilità. Come porre riparo? Una soluzione è nel cibo bioregionale.

I vantaggi dei prodotti bio – Uno studio condotto in 57 paesi su 286 aziende agricole biologiche ha mostrato un aumento della resa media del 65% dei prodotti bio rispetto a quelli convenzionali. Le colture bio richiedono 1/10 di calorie da carburanti fossili rispetto a quelle convenzionali e assorbono il 25%  in meno di energia. Secondo la Coldiretti gli alimenti di un pasto medio italiano percorrono 1900 km prima di arrivare a tavola e spesso si consuma più energia di quanta se ne ricava in termini di nutrimento. Gli alimenti bio sono più ricchi di sostanze nutritive rispetto ai prodotti convenzionali, specie di ferro, magnesio, fosforo, vitamina C, polifenoli e antiossidanti.

Rapporto uomo-animali – Tra le componenti che entrano a far parte del vivere in sintonia con l’ambiente naturale e sociale, secondo il bioregionalismo c’è il rapporto uomo-animali. L’Italia è una terra di tradizioni contadine e ricca di prodotti sia di origine vegetale che animale: le eccellenze agricole sono fonte di guadagni e di ricerca di sempre nuovi mercati, perché a causa della crisi economica e della concorrenza c’è la necessità di nuovi sbocchi commerciali. Infatti c’è in questo settore una situazione quasi di sovrapproduzione, almeno riguardo i prodotti tipici, dovuta alla necessità di ammortizzare i costi con una incentivazione della spinta produttiva tramite la meccanizzazione, la selezione di razze sempre più produttive, a scapito però di altri valori come la robustezza, la resistenza alle malattie e la longevità degli animali.

Rapporto cibo-territorio – Nel bioregionalismo si ricerca invece un legame del cibo con il territorio, si suppone che il cibo prodotto localmente e che non ha subito conservazione e trasporto, sia più in sintonia con l’organismo che lo deve ricevere. Ovviamente c’è anche un aspetto “ecologico” in questo: i trasporti e la conservazione degli alimenti sono attività di per sé antiecologiche, comportano consumo o spreco di risorse combustibili fossili sia per il funzionamento degli autoveicoli che delle apparecchiature di refrigerazione.

Il fattore economico ha creato squilibrio – Alla base del disequilibrio che si è creato nel settore dell’allevamento, soprattutto nelle zone a diffusione dell’allevamento intensivo come qui da noi, ci sono fattori economici: una volta, fino a 60 anni fa circa, un’azienda agricola era costituita da un appezzamento di terra su cui venivano coltivati diversi prodotti (e la rotazione delle colture era sempre applicata) e che allevava animali più che altro come integrazione dell’attività, come risorsa di concime e come integrazione all’alimentazione della famiglia o delle famiglie che vivevano nell’azienda. Mangiare un po’ di carne solo una volta la settimana o anche meno era normale, qualche uovo o frittata entravano nella dieta con parsimonia e solo nel periodo di deposizione naturale delle uova da parte delle galline. Spesso era presente nella azienda anche un porcile con uno o pochi maiali che venivano macellati in pieno inverno per farne salumi da consumare nel resto dell’anno.

Carne come status symbol – Poi la carne diventò uno status symbol: mangiare carne era segno di ricchezza o perlomeno di essere benestanti. Quindi con la ripresa economica del dopoguerra aumentò la richiesta di cibi di origine animale, in primis della carne. I piccoli allevamenti annessi alle aziende agricole non furono più sufficienti a soddisfare le richieste e questo fece intravedere la possibilità di guadagni insperati ed ecco gli allevamenti con un numero sempre maggiore di capi, sempre più meccanizzati, sempre più disumani, con animali selezionati a produrre di più fino ad arrivare, ad esempio, a polli tanto pesanti che gli arti non riescono a sostenere il corpo o vacche così produttive in latte tanto che dopo due parti sono già distrutte (mastiti, ipofecondità, lesioni podali), e sono da scartare, quando non muoiono o devono essere macellate in stalla.

Peggiore qualità di vita di animali e allevatori – Il sistema poi implode su se stesso in quanto la speranza di maggiori guadagni, ha fatto moltiplicare queste realtà con un aumento della produzione che per un po’ è stata in equilibrio con i consumi consentendo lauti guadagni, ma la concorrenza poi ha avuto il sopravvento e i ricavi dalla produzione hanno continuato a mantenersi sugli stessi livelli, mentre i costi aumentavano (mangimi, manodopera), lasciando ai produttori margini sempre più risicati. Al peggioramento della qualità della vita degli animali, sempre più sfruttati, è corrisposto un peggioramento della qualità della vita dell’allevatore, costretto a lavorare sempre di più e sempre con minori soddisfazioni.

Etica ed ecologia – Nella Rete Bioregionale Italiana si è molto parlato di regime alimentare, alcuni esponenti vegetariani o vegani per motivi etici si battono per un abbandono totale e immediato del consumo di alimenti di origine animale, altri ritengono che un consumo moderato di prodotti di animali allevati rispettando il loro benessere sia possibile e auspicabile. Certamente non c’è un modus che accontenti tutti, ma è sicuro che dobbiamo tutti prendere coscienza che l’allevamento intensivo non è etico ed è antiecologico: in un mondo dove miliardi di persone muoiono di fame, continuare ad allevare animali consumando risorse che potrebbero nutrire direttamente il genere umano non è più possibile. Inoltre la sofferenza ingenerata in questi esseri viventi, che hanno avuto il destino di vivere la loro esistenza su questa Terra assieme con noi, non può più essere ignorata: non possiamo più ignorare di esserne responsabili, anche indirettamente, così come non possiamo più ignorare di essere, come specie, responsabili, della rovina in cui stiamo mandando il nostro pianeta con tutte le nostre attività, non riferite ovviamente solo all’alimentazione ma a tutti i settori del nostro vivere.

Parola chiave: consapevolezza – Prendere coscienza delle conseguenze del nostro modo di vivere è il primo passo per poter dare alla Terra una speranza di sopravvivenza a lungo termine, cercando di fare in modo per quelle che sono le possibilità di ognuno di noi, di lasciare ai nostri figli e nipoti un mondo meno inquinato e più in armonia di quello di oggi. Ritornare a un sistema di vita semplice, in cui i rapporti umani e la vita nella natura, immersi nel mondo umano, animale e vegetale, ci può dare tutto quello di cui abbiamo bisogno senza necessità di consumi superflui e sprechi che comportino un ulteriore deterioramento di quel paradiso che ci è stato donato e che noi, esseri umani, stiamo rovinando per inconsapevolezza e per il nostro sconfinato egoismo.

Caterina Regazzi e Paolo D’Arpini

Paolo e Caterina

15 giugno 2021

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