Gli ebrei a Corridonia, ovvero vicoli e ponti morti cancellati dall’urbanizzazione

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Penso che parlare di ‘vicoli e ponti morti’ sia un esercizio che evochi, come in un rito, persone ed eventi non più presenti solo a livello fisico. E dopo questa personale riflessione, mi concentro su alcuni luoghi della vecchia Montolmo (Corridonia) che l’evoluzione urbanistica ha cancellato.

La “gabba” di via Mollari – Il vicolo o “gabba” e relativo ponte che voglio ricordare è quello che in via Mollari esisteva a fianco dell’altro ancora esistente della “Gabba de Napoli” (via P. F. Costanzi), che correva parallelo a essa fino a raggiungere via Marche (per “Gabba de Napoli” vedi La Rucola, n°273, febbraio 2021). Nel catasto Gregoriano le strade coperte da ponti venivano indicate con una “X” e quindi facilmente identificabili. Il nostro ponte “morto” ha dalla parte di via Mollari l’accesso al numero 34 con un arco a tutto sesto chiuso da una grande porta (foto Pietro Molini 1); la sorpresa è dal lato opposto dove invece è presente un incredibile arco a sesto acuto murato con una finestra (foto Pietro Molini 2).

Un arco murato – Ricordo bene questo arco perché adiacente alla casa della mia prozia “Clopatra” che frequentavo da bambino: non so perché ma quello strano arco murato mi aveva sempre incuriosito. Inoltre parte del vicolo era lastricato a “mattoni a coltello” (ora quasi tutti scomparsi), il che denotava una certa importanza del passaggio.

Corridonia – mappa

Il ghetto ebraico – Siamo nella zona dell’antico ghetto ebraico di cui non è assolutamente possibile definire i confini esatti: gli storici locali concordano su via Pier Francesco Costanzi (“gabba de Napoli”) ma poi lì si fermano poiché non si riesce a capire nemmeno se la comprendesse tutta (sbuca davanti alla chiesa di San Pietro) e se fosse costituito pure da altre zone. Il ghetto deve essere delimitato da case (e/o mura) e deve avere delle porte: sull’arco di accesso tutti concordano su quello detto della “gabba de Napoli” (foto 4) ma nulla di più sappiamo con certezza.

(foto 4) Corridonia – gabba di Napoli

Manuellino, ebreo banchiere a Montolmo- In Montolmo erano presenti ebrei di un certo livello economico che esercitavano la professione di banchieri: voglio ricordare Manuellino ma non per il solito aneddoto che avesse finanziato la costruzione della sinagoga di Macerata distrutta pochi anni dopo in un pogrom ma, come oggi si direbbe, per un gossip. Manuelino in ascesa sociale, nell’inverno 1555 in Ancona, con una sontuosissima festa e alla presenza del rabbino Yohannan Treves e degli ebrei più importanti della città, si “fidanza” con Sara, la figlia del ricchissimo banchiere Yacob Belcayro. A suggello dell’evento Sara riceve una preziosissima collana.

Salta il patto matrimoniale – Poco tempo dopo però la futura sposa, o meglio la sua famiglia, decide di rompere il patto e di pagare la penale dovuta al caso. Manuelino e i suoi contestano la decisione intraprendendo una lunga causa per dimostrare che la cerimonia del 1555 era un vero e proprio matrimonio e non solo un “Kiddushin” (fidanzamento). Fallito il concordato rabbinico la questione passa alla giustizia pontificia, nelle mani addirittura del cardinale, futuro santo, Carlo Borromeo, all’epoca governatore di Ancona. Alla fine il tribunale cattolico nel 1563, dopo 8 anni, sentiti decine di testimoni presenti alla festa, decide che i due giovani non si sono sposati ma si era trattato solo di un fidanzamento: addirittura sancisce che la costosa collana data in pegno alla futura sposa non sia restituita.

Chi erano i Balcayro – I Belcayro erano una famiglia ricca e potente di livello europeo: il padre della sposa era l’uomo di fiducia di Francisco Barboso, il più importante banchiere portoghese presente in Ancona. Il “marrano” Barboso, convertitosi al cristianesimo, fuggì nel 1555 a Salonicco all’istituzione del ghetto da parte di Paolo IV: nel 1556 nella città furono bruciati 25 marrani accusati di falsa conversione, episodio che provocò sdegno a livello internazionale.

Chi erano i Montolmo di Manuellino – I Montolmo di Manuellino erano ricchi e importanti, in grande e veloce ascesa sociale e stavano spostando i loro interessi ad Ancona, centro strategico per i rapporti con tutta l’Italia ebraica, il Mediterraneo, l’Impero Ottomano, Smirne e Salonicco: Montolmo era diventata troppo stretta per i loro grandi progetti. Il fatto che Manuellino avesse finanziato la sinagoga di Macerata può essere visto come un chiaro atto di mecenatismo a scopo pubblicitario. La storia dei due giovani si innestò nel drammatico contesto dell’istituzione dei ghetti (1555), in un cambiamento di strategie economiche e sociali.

Le “ponteche” – Ritornando a Montolmo, con un po’ di attenzione lungo la “Gabba de Napoli” si riescono ancora a individuare le vecchie “ponteche” (fondaci), laboratori e magazzini degli ebrei: case spesso a un piano con un livello terra/seminterrato a cui si accedeva scendendo poche scale. “Ponteca” deriva da “pontecana”? “Pantegana” in corretto italiano ha la sua radice etimologica da “mus pònticus” cioè “topo del Ponto”, del Mar Morto, i famigerati ratti che attraverso le navi provenienti dall’Oriente avevano portato la “peste nera” nel XIV secolo in occidente. Quindi “ponteche” perché luoghi spesso insalubri e dove non era certo strano vedere aggirarsi “pontecane”? Rimaniamo con questo curioso dubbio, invitando a una passeggiata montolmese con un occhio diverso, perso nella storia.

Modestino Cacciurri

16 giugno 2021

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