Qualcuno sa che in parecchi comuni c’era la via de li ferrà? Era quasi sempre un borgo e i nomi ancora risuonano nella memoria degli anziani paesani. La parola ferrà era nota a tutti, un po’ meno il termine italiano “fabbro” che proviene dalla parola latina faber.
Una corporazione – Quella dei ferrà era una corporazione molto importante per la vita della città ed era anche carica di storia. Oggi nelle nostre cittadine restano solo rare botteghe artigiane in cui si modella il ferro, ma sono sparite le antiche forge. Lu ferrà, quindi, pare essere diventato una sorta di lavoro “di altri tempi” ma l’atmosfera dell’artigiano che modella e batte il ferro, trasformandolo in un pezzo unico con maestria e talento, rimane sempre una emozione spettacolare.
Fin dal 4.000 a. C. – Le prime tracce dell’antico e affascinante mestiere del fabbro risalgono addirittura all’era dell’eneolitico (4.000 a.C.). Infatti, durante quegli anni, i primi artigiani, grazie all’utilizzo di forni, impararono prima a fondere e poi a forgiare i metalli, realizzando arnesi utili ad agevolare e a velocizzare i lavori domestici e quotidiani delle persone. Erano anche e soprattutto fabbricanti di spade e armi varie. La mitologia greca, con Efesto, Dio del fuoco e degli inferi, temutissimo anche da Zeus, padre degli dei, conferì alla figura del fabbro e alla sua arte un’aura magica, che lo ha accompagnato fino ai nostri tempi.
Gli attrezzi – Gli attrezzi tipici di questo mestiere sono arnesi adatti a martellare, curvare, tagliare o comunque a dare forma al metallo quando, riscaldato fino a farlo diventare incandescente, può essere sottoposto alla lavorazione di forgiatura. Per le vie dei paesi ancora risuonano i colpi dei martelli sulle incudini, e gli urli de li ferrà che minacciavano “li garzù” a usare meglio il “mantice”, strumento essenziale per far ardere il fuoco.
Il rischio… del Papa – Per la precisione posso anche dire che negli ultimi cento anni, per soffiare aria sul fuoco, il mantice è stato sostituito dal ventilatore rotativo comandato a manovella. Il ferro veniva infilato sotto il carbon coke incandescente e piano piano diventava arancione, poi si schiariva e puntualmente arrivava l’urlo: “Càccelo, càccelo sennò fà lu Papa!” Sì, c’era pure il rischio del Papa e vi spiego meglio. Dovete sapere che l’acciaio a circa 800 gradi diviene malleabile e con martellate date nella maniera più saggia, prende la forma di ciò che il fabbro ha in testa di realizzare. Il pericolo, però, è che per una svista (li garzù se distrae spesso e chjacchjera troppo…) il ferro si scalda eccessivamente e inizia a emettere scintille: se fa Papa! Il metallo così stracotto non è più buono e va buttato via. Il lavoro va ricominciato daccapo e la rabbia generata è tanta. Qualche volta poteva anche succedere che lu ferrà, per il nervoso, arrivasse pure a lanciare il martello imprecando.
Arte e passione – Quando, però, il lavoro procedeva bene, era un piacere vedere cosa egli riusciva a fare col ferro battuto. Considerare il fabbro “solo un mestiere” non è assolutamente giusto: è una vera e propria arte mista a passione, che incarna un lavoro antico con anche un lato misterioso. Lavorare il ferro e sfornare pezzi sempre unici è la capacità di modellare e vedere nel metallo qualcosa che non tutti vedono.
Alberto Maria Marziali
30 agosto 2021