Overland, l’incredibile avventura – V parte: da Capo di Buona Speranza a Capo Nord

Print Friendly, PDF & Email

Abbiamo lasciato i nostri 4 camion a San Paolo in Brasile. Per completare il giro del mondo ora dobbiamo andare in Africa. Ma di mezzo ci sta l’Atlantico, non possiamo andare via terra. E trovare una nave per i nostri camion non è facile, oggi il traffico merci avviene quasi solo con container e le navi sono quasi tutte porta container, e in un container un camion non entra.

Suolo d’Africa – Alla fine troviamo una nave che li porta a Durban, sulla costa orientale, sull’Oceano Indiano. Da lì a Città del Capo via strada e ci appoggiamo al locale concessionario Iveco per la necessaria manutenzione e messa a punto. Dalla Namibia ove eravamo per un evento arriviamo io e Ferruccio, dall’Italia arriva Franco con due tecnici, Luciano e Piero delle ditte allestitrici dei box. Con l’aiuto dei meccanici locali oli, filtri, registrazioni, sostituzione di qualche pezzo usurato o rotto e, in previsione del caldo e della sabbia africana una parziale tropicalizzazione con prefiltri all’aspirazione e miglioramento del raffreddamento del motore. Intanto è arrivato Beppe con Peter, Cesare, Carlo, Gustavo, Bruno e Mimmo. Siamo al completo.

Capo di Buona Speranza

La miniera di diamanti – Il 31 marzo, siamo ora nel 1998, lasciamo Città de Capo dopo una tipica festa locale con ballerini e cantanti. Prima però le foto di rito al Capo di Buona Speranza, la estremità meridionale del continente, il vero punto di partenza. La mia foto dei 4 camion con sullo sfondo la Montagna Tavola, immagine di Città del Capo, è oggi in diversi ambienti degli uffici dell’Iveco. La prima tappa è Kimberley una delle più grandi miniere di diamanti, Da un cono rovesciato, profondo mille metri in cui calore e pressione hanno cristallizzato il carbonio, sono state estratte tre tonnellate di diamanti. Ora la miniera è esaurita ed è solo un’attrazione turistica.

La bambina – Siamo a Johannesburg la principale città del Sud Africa. Qui più che altrove si vede cosa significa apartheid. Anche se ufficialmente abolita non è cambiato nulla. Le case dei bianchi con muro di cinta e fili spinati e la scritta: Risposta armata. La spiegazione ha una sua logica: Se tu sei mio amico, suona il campanello e ti faccio entrare, se scavalchi il muro mi vuoi far del male e prima che lo faccia a me io ti elimino. Andiamo a vedere Soweto, una enorme baraccopoli abitata unicamente da neri.

Qui un episodio commovente che mai dimenticherò: una bambina, 4/5 anni, mi prende la mano e non mi lascia più per tutto il periodo. Desiderio di affetto, di amore forse mai avuto. Passiamo da Pretoria, la capitale amministrativa con il Parlamento e ci fermiamo a Messina, al confine con lo Zimbawe. Cena in una pizzeria italiana, una pizza delle migliori che abbia mai mangiato.

Il fumo che tuona – Superiamo il fiume Limpopo e siamo nello Zimbawe, ci dirigiamo su Harare, la capitale, una veloce sosta e poi verso una meta unica, le Cascate Vittoria ove lo Zambesi precipita in un orrido segnando il confine tra Zimbawe e Zambia. Uno dei luoghi più visitati al mondo. Lo spettacolo è meraviglioso, nuvole di acqua polverizzata dalla caduta si alzano per centinaia di metri inzuppando i visitatori in un rumore assordante. “Il fumo che tuona” secondo i locali.

Lì vicino il monumento a Livingstone in ricordo dello storico incontro con Stanley. L’orrido dello Zambesi è attraversato da un ponte metallico dal quale alcuni sportivi si gettano legati con corde elastiche. Lo attraversiamo e siamo in Zambia.

I grandi parchi – Ci dirigiamo e facciamo sosta a Lusaka, la capitale. Siamo ospiti a cena di Bonocore, l’incaricato Iveco locale. A Nord sosta a Serenje poi verso la frontiera con la Tanzania. Stiamo entrando nell’Africa equatoriale, nella regione dei grandi parchi, creati per salvare dalla caccia indiscriminata e dal bracconaggio la fauna selvatica. Entriamo in Tanzania a Tunduma, attraversiamo con mille precauzioni il parco di Micumi e siamo a Dar Es Salaam. Al mattino un po’ di manutenzione ai camion, in serata cena in ambasciata. Overland ormai ormai è un evento internazionale, ovunque siamo accolti quasi come eroi. Non solo dai rappresentanti degli sponsor tecnici, Iveco, Pirelli, Agip, ma anche dalle nostre autorità diplomatiche che dal Ministero degli Esteri conoscono il nostro percorso.

Kilimangiaro con Beppe Tenti e Gianni Carnevale

Incontri ravvicinati – Ci dirigiamo a Nord, verso la zona più spettacolare dell’Africa equatoriale, la regione dei grandi parchi e delle due montagne simbolo il Kilimangiaro e il Kenia. Passiamo da Arusha e ci accampiamo sulle sponde del lago Manyara. Poi visitiamo il parco del Serengeti e gl’incontri ravvicinati con leoni, bufali, giraffe e iene una delle quali pensa di prendersela con i fanali dei nostri mezzi. I babbuini invece si appropriano delle banane appena comprate. Beppe ne approfitta per salire, per la ventesima volta nella sua vita, il Kilimangiaro, splendido con la sua vetta sempre bianca. Entriamo in Kenia e ci fermiamo nel parco dell’Amboseli.

I Masai – Approfittiamo di un piccolo ultraleggero per alcune splendide riprese dall’alto. Siamo nelle terre dei Masai ancora con il loro abbigliamento tradizionale e la inseparabile lancia. La frontiera tra Tanzania e Kenia, una linea retta ma che inspiegabilmente aggira il Kilimangiaro ha fatto nascere la leggenda del regalo tra la regina Vittoria e il Kaiser Guglielmo II sovrani di due regni ma cugini tra loro. A Nairobi grande festa con Iveco, Pirelli, Agip e il rappresentante dell’Unicef per la quale facciamo promozione. Alcuni aspetti della civiltà sono arrivati anche qui, per farsi fotografare una ragazza che vende frutta ci chiede del denaro.

Il più piccolo aeroporto del mondo –  Ancora verso Nord per raggiungere l’Etiopia. Ci fermiamo in un villaggio turistico sulle sponde del lago Turkana a Loiyangalani. Qui quello che è forse il più piccolo aeroporto del mondo, su una pista in terra battuta attera un piccolo bimotore, resta con i motori in moto, scende il nuovo gruppo di ospiti del villaggio, salgono quelli del gruppo  predente, e l’aereo riparte. L’aerostazione? Quattro pali infissi nel terreno e un tetto di frasche. Una ospite sul registro del Lodge ha scritto: Ho visto il Paradiso e questo mi basta. Una persona che ama la natura non può darle torto.

Strada di acqua e fango – Dopo il Paradiso, l’Inferno. Ci dirigiamo verso Marsabit e Moyaqle per entrare in Etiopia. Non c’è una vera strada solo una pista. Non c’è traffico tra i due paesi. Nei giorni scorsi piogge torrenziali si sono riversate sull’altopiano etiopico e da lì l’acqua è scesa nella pianura del Kenia. Il terreno è tutto allagato, si viaggia con l’acqua al pavimento cabina. Però il terreno è duro e si va avanti. A sera ci fermiamo  su un rialzo per fortuna all’asciutto.

Camion impantanati – Quando finisce la zona allagata e pensiamo di essere in salvo, troviamo del terreno molle, ben 3 camion impantanati, solo uno sul buono. Un giorno intero a lavorare di cavi e verricelli per venirne fuori. La pista è veramente orribile. Prima di Moyale due camion impantanati bloccano la pista. Lunga trattativa per spostarli e poter passare e poi aiutare anche loro. Finalmente siamo al confine a Moyale. Da qui ad Addis Abeba una strada asfaltata e veloce: regalo di noi italiani? Ci aspettano gli amici dell’Iveco e le nostre autorità diplomatiche.

Addis Abeba – Addis Abeba per chi non la conosce è una sorpresa. Palazzi nello stile razionalista degli anni ’30, piazze, strade, viali alberati. Certamente nel breve periodo coloniale abbiamo dato più di quanto abbiamo preso e si capisce perché il Negus, di nuovo sul trono abbia detto: Nessuno tocchi gli italiani. Rimettiamo in sesto i nostri mezzi molto provati dalle brutte piste del Nord del Kenia e anche noi stessi. Io devo lasciare la carovana per tornare in Italia, ci ritroveremo a Sana’a nello Yemen. Sull’aereo mi addormento ancor prima del decollo, all’arrivo in Italia la hostess mi deve svegliare. Dopo una controllata ai camion nella officina Iveco, il 14 maggio i miei amici ripartono da Addis Abeba. Gondar, poi Axum, Asmara, Makallè, infine a Gibuti il traghetto per Aden.

Sana’a, capitale dello Yemen – Da Aden a Sana’a la capitale dello Yemen dove mi ricongiungo alla carovana. Sana’a patrimonio dell’umanità, stupenda, unica nel suo genere di architettura, con le mura medioevali rifatte dall’Unesco, purtroppo rovinata dal progresso, acqua corrente nelle case portata con tubi che corrono per ogni dove, strade lastricate con bottiglie di acqua minerale. Da visitare prima che sia completamente rovinata. Da Sana’a si va verso il Sud lungo quella che fu detta la Via dell’Incenso, Shibam con i suoi incredibili grattacieli di fango e travi di legno e poi una lunga ma veloce pista nel deserto, più di mille chilometri per raggiungere Muscat, la capitale dell’Oman.

Arabia Saudita – Entriamo negli Emirati Arabi, asfalto e grattacieli, e un Islam più di facciata che intimo. Grazie al locale concessionario Iveco, che garantisce per noi, otteniamo il visto per entrare in Arabia Saudita, i primi turisti della storia. Tutto deserto, tocchiamo Riyad la capitale poi un lungo giro per evitare la Mecca proibita ai non mussulmani e arriviamo a Jeddah la capitale economica. Ricevimento e pranzo al Consolato italiano. Tutto asfalto fino ad Aqaba. Una puntata nel Wadi Rum, omaggio alla storia, dove ci sentiamo novelli Lawrence d’Arabia, poi Petra, con la sua chiesa scolpita nella roccia e Amman. Ora non più piste e fuoristrada, solo più asfalto, civiltà e dogane. Damasco, la incredibile Palmira e Aleppo con il suo castello sulla cuspide di una collina. Entriamo in Turchia, attraversiamo la Cappadocia con le sue case scavate nella roccia, Kayseri, Ankara e ci affacciamo sul Bosforo a Istanbul.

In Europa – L’Europa è di nuovo lì. Entriamo in Grecia, Kavala poi Salonicco. Ormai il nostro viaggio non ha più storia. In ogni città, grazie alle autorità diplomatiche, all’Unicef, agli sponsor siamo accolti con mille feste. Sofia, Bucarest, con l’incredibile palazzo di Ceausescu, una puntata in Transilvania per vedere quello che si dice sia stato il castello di Dracula, Budapest, Bratislava, Praga, Varsavia. È il 18 luglio 1998. Quante avventure ancora ci attendono! Entriamo nelle repubbliche baltiche, e visitiamo le loro capitali, Vilnius, Riga, Tallin. Con noi un gruppo di giornaliste di varie testate, ospiti Iveco.

Da Babbo Natale – Inizia il paesaggio del grande Nord. Betulle, conifere, laghi. Da Helsinki puntiamo decisamente verso Nord, il paesaggio diventa tipico, casette in riva ai laghi con barca e sauna. Il caldo africano è solo un ricordo, piove e fa freddo. Raggiungiamo Rovaniemi, nota per essere il paese di Babbo Natale. Qui passa il Circolo Polare Artico. Dalla partenza dal Sud Africa abbiamo attraversato il Tropico del Capricorno, l’Equatore, il Tropico del Cancro e ora il Circolo Polare Artico. Poi entriamo in Norvegia, la frontiera è solo sulla carta, diminuisce la vegetazione d’alto fusto, la ditta italiana che lavora al tunnel per collegare la isola di Capo Nord al continente ci permette di passare nel tunnel finito ma non ancora aperto al transito.

Finalmente a Capo Nord, poi Italia – È il 31 luglio e siamo giunti alla nostra meta: Capo Nord e vento, pioggia, nebbia. Si vede nulla e fa freddo, 6 gradi. Inizia il viaggio di ritorno verso casa, A Stoccolma ritroviamo il caldo, 20 gradi, poi Copenaghen, Gottingam, il Brennero per il primo “espresso” italiano. È il 10 agosto 1998. Piazza San Carlo a Torino ci aspetta per il trionfo finale. Noi ci siamo tutti, tutti quelli che hanno partecipato all’avventura, le autorità regionali e cittadine, i vertici Iveco, i rappresentanti di Unicef, di Pirelli, di Agip, gli allestitori dei mezzi, parenti, amici e tanto pubblico. I numeri: 133 giorni, 35.950 km dal Capo di Buona Speranza, in tutto sono stati 117.440 km dall’inizio del viaggio da Torino, tre anni fa.

Gianni Carnevale

30 settembre 2021

Sii il primo a dire che ti piace

Commenti

commenti