Overland, l’incredibile avventura – VII puntata, il viaggio da Lhasa a Pechino

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Raggiungo la carovana a Lhasa, in Tibet via Kathmandu. Del Nepal due ricordi. I Burka, i terribili soldati nepalesi che incutono terrore al solo guardarli e il sorriso dolcissimo di una bambina che mi offre un mazzolino di fiori.

Il Tibet un tempo territorio indipendente, governato dal Dalai Lama, capo religioso e politico, potremmo paragonarlo ai nostri Vescovi Principi, poi occupato dai cinesi che lo rivendicano come territorio cinese. Il Dalai Lama si rifugia in India dove vive tuttora, sull’altro versante della catena himalayana. In realtà è l’occupazione con la forza di uno stato da parte di un altro stato, ma la comunità internazionale non si muove, troppo alto è il rischio di un conflitto di notevoli proporzioni. Il paese è buddista, le autorità cinesi tollerano però questo credo religioso per evitare conflitti con la popolazione. Il palazzo del Dalai Lama è enorme, sembra abbarbicato a una parete rocciosa, ha migliaia di stanze. È chiuso e non visitabile.

Palazzo del Dalai Lama

Il Tibet è un grande altopiano, chiuso a sud dall’Himalaya e a nord da un’altra catena montuosa. Viaggiamo verso nord, le valli tibetane sono costellate da piccoli villaggi e tende di pastori. È una economia basata essenzialmente sulla pastorizia con mandrie di yak, pecore e capre. La quota elevata rende difficile l’agricoltura. Con una punta di orgoglio vediamo centrali elettriche che sfruttano il vapore del sottosuolo: sono state costruite da ditte italiane. Molte strade in rifacimento e nuove costruzioni nei villaggi denunciano la presenza cinese.

Gli yak

Lasciamo il Tibet dal passo Tangula a 5231 metri ed entriamo nella provincia dello Qinghai. Il nostro viaggio, per raggiungere Pechino, si sviluppa, prima verso nord attraverso le zone montuose occidentali poi curvando verso est per scendere nella valle del fiume Giallo, culla della civiltà cinese, costeggiando la Mongolia e il deserto del Gobi, la Manciuria con i resti della dominazione giapponese, il confine con la Russia e con la Corea del Nord, uno dei due paesi che non ci ha concesso di entrare, l’altro è la Birmania, per terminare a Pechino. Il tutto attraversando più volte i resti della Grande Muraglia eretta proprio per proteggere la Cina dalle invasioni dal Nord.

Passo Tangula a 5231 metri slm

Lasciato il Tibet ancora un altopiano con una economia simile a quella tibetana per poi scendere nella zona semidesertica del Qinghai, punteggiata da splendide grandi oasi gialle per i campi di colza e di altri cereali. Siamo a Golmud ai bordi del deserto del Takimaklan, nel territorio degli Uiguri la minoranza mussulmana, al confine col Kazakistan. Questa è la porta della Cina verso Occidente, qui passerà la nuova linea ferroviaria ad alta velocità che unirà la Cina con l’Europa, la nuova Via della Seta. Passiamo per Dulan quindi per il lago Qinghai per dirigerci verso la valle del Fiume Giallo, vogliamo raggiungere le sue sorgenti. Passiamo ai piedi dell’Anijemaqen la montagna considerata sacra, poi per il monastero Covargerze e infine da lontano vediamo il monumento che indica la sorgente del Fiume Giallo, Huang He, contornato da pietre di preghiera. Il fiume è sacro perché nella sua valle è tutta la vita e la civiltà del Nord della Cina.

Lanzhou – il fiume Giallo

Torniamo indietro e vediamo uno dei luoghi dei Funerali Celesti. È un argomento che merita due parole a parte (ndr: in fondo all’articolo). Continuiamo a scendere finché arriviamo a Lanzhou, importante meta turistica ed industriale. Qui fu costruito il primo ponte sul Fiume Giallo. Siamo nel Gansu. Abbiamo lasciato alle spalle le montagne e i cantieri sono ancora più estesi ed evidenti. La Cina si muove, anzi corre a una velocità impressionante.

Grande muraglia cinese

Seguiamo la valle del Fiume Giallo, ora siamo in Mongolia, la strada corre bella e veloce lungo il fiume al bordi del deserto del Gobi e la steppa Mu Us Shamo fino a Baotou dove il fiume piega a sud mentre noi andiamo ancora verso est, verso la Manciuria, il confine con la Russia, con la Corea, il Mar Giallo e Pechino, la nostra meta. A Zhongwei vediamo i primi resti della Grande Muraglia. Siamo a circa un terzo del suo sviluppo, da Jiayu, detta la Coda del Drago a Qinhuangdao sul Mar Giallo, la Testa del Drago. Di questa opera imponente, certamente la più grande costruita dall’uomo senza l’aiuto delle macchine, è giusto parlarne a parte.

Confine Russia-Cina

Proseguiamo sempre verso est, indubbiamente la zona più industrializzata della Cina, il benessere aumenta, si nota anche una maggiore cultura per l’ordine e il pulito, in Manciuria sono ancora evidenti i segni della presenza giapponese. Tocchiamo il confine con la Russia, tutto tranquillo, non ci sono più i segni del contrasto tra le due nazioni del tempo di Mao. A Tumen il confine con la Corea del Nord. Il confine è  segnato da un fiume attraversato da un ponte. Si può arrivare fino a metà del ponte. La sponda opposta sembra deserta, solo una grande scritta sul fianco di una collina forse inneggiante al regime coreano.

Confine Cina-Corea

Siamo nella zona delle grandi risaie, l’elemento base dell’alimentazione dei cinesi. Una puntata fin sulle rive del Mar Giallo, ove sorgono molti stabilimenti balneari del tutto simili ai nostri, poi a vedere la Testa del Drago, la Grande Muraglia che prosegue in acqua per un centinaio di metri e siamo a Pechino. Una festa organizzata da Iveco proprio ai piedi della Grande Muraglia con giornalisti e ospiti conclude il nostro viaggio. Pechino, un altro volto da quando la vidi per la prima volta dieci anni fa. Certamente la Città Proibita o Imperiale è ancora al suo posto, alcuni quartieri sono stati salvati e restaurati, ma ovunque una selva di grattacieli, condomini, strade, tangenziali piene di traffico. Irriconoscibile. Ricordo la guida di allora che disse: “Come primo passo dovevamo dare una ciotola di riso a ogni cinese, lo abbiamo fatto, ora dobbiamo dare una casa a ciascun cinese”. Lo stanno facendo. Ma ora dobbiamo tornare indietro, in Europa, in Italia, fino a Roma dove contiamo di arrivare per l’inizio dell’Anno Santo.           

Il funerale celeste

Funerale Celeste

In uno dei nostri viaggi attraverso la Cina, diretti alle sorgenti del Fiume Giallo, abbiamo attraversato la regione del massiccio dell’Anyemaqen abitata ancora da una etnia di religione induista, la religione predominante in India. Uno degli aspetti di questa religione è il credere nella reincarnazione, intesa sia come la vita attuale proveniente da una vita precedente o come reincarnazione in una vita futura. La condizione essenziale, mi si perdoni la semplificazione, è che dopo il decesso il corpo del defunto sia eliminato con uno degli elementi fondamentali della vita: la terra, il fuoco, il cielo. Nella regione montuosa attraversata non esiste vegetazione, non vi sono alberi, è impossibile creare le pire per incenerire i cadaveri. Il terreno è essenzialmente roccioso, ricoperto solo da uno strato sottile di terra e di erba, è impossibile seppellire i corpi. Non resta altra soluzione che farli salire in cielo.  La descrizione è brutale, forse raccapricciante. Il corpo viene disteso su una grande lastra di pietra, che potremmo definire un altare per la cerimonia, ai lati siedono i parenti che assistono alla funzione. Il defunto viene spogliato, poi rasato, i capelli posti a lato. Nel frattempo in aria hanno cominciato a volteggiare delle aquile in numero sempre crescente. L’incaricato procede quindi a smembrare il corpo in tanti pezzi minuti lasciandolo sulla pietra. Quando l’incaricato si allontana insieme con i parenti, quasi fosse un segnale, le aquile si precipitano ad afferrare con i loro becchi i brandelli del corpo allontanandosi per poi ritornare anche più volte fin che non rimane più nulla. Il funerale è stato celebrato, il defunto è asceso al cielo, la sua entità potrà reincarnarsi in un altro corpo.

Gianni Carnevale

7 dicembre 2021

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